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Sabato, 12 Novembre 2016 04:13

Taranto - Lavoratore Ilva licenziato per futili motivi, avrebbe rubato buste per la spazzatura

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La vicenda narrata ha un due risvolti, il primo riguarda, nella narrazione dei fatti, una posizione di parte che non possiamo verificare e che raccontiamo cosi com'è, il secondo è più legato al diritto del lavoro, dopo la riforma Fornero e l'abbandono dello Statuto dei lavoratori.

Il lavoratore in questione è un giovane, sposato e con una prole con segno positivo che va oltre la crescita zero della media italiana. Prima del licenziamento, ha lavorato 16 anni all'Ilva, prima in un'area del siderurgico dove aveva a che fare col fuoco e negli ultimi tempi, dopo un incidente che gli ha comportato alcuni cambiamenti fisici, in un lavoro nei magazzini degli attrezzi perché non può stare vicino a fonti di calore. Pare che quest'ultimo fatto abbia provocato due reazioni: una, aziendale di fastidio rispetto a questa imposizione medica; la seconda di invidia da parte di alcuni lavoratori per un posto di lavoro più... tranquillo. Questa la premessa di parte che continua con il fatto scatenante il licenziamento.

Il lavoratore sostiene che mentre faceva la doccia aveva messo il borsone su una panca lontana e quando ha finito ha messo l'accappatoio, bagnoschiuma nel borsone. Mentre si avviava verso l'uscita osserva un comportamento anomalo del capo reparto che tornava dal gabbiotto dell'ingresso e al posto di vigilanza non un addetto, addirittura tre. Quando gli hanno aperto il borsone c'erano dei rotoli di buste per la spazzatura e ovviamente il capo reparto tornato subito indietro. Ovviamente il lavoratore non riesce a dimostrare il perchè si trovi quel materiale nel suo borsone peraltro abbandonato aperto durante la doccia. Il capo reparto tronca la discussione, il lavoratore voleva chiamare i carabinieri, ecc e dice che tutto è a posto e che l'indomani avrebbe chiarito con il lavoratore e ordina la restituzione del badge. L'indomani il badge non funziona più  e per 20 giorni al lavoratore gli è impedito di entrare in fabbrica. Ora da questo racconto assurdo si potrebbe trovare il filo della matassa di un comportamento discriminatorio, di una presenza ingombrante, la creazione di una sorta di tranello, ecc; ma saremmo, a torto, nella difesa di parte. Allora cambiamo il ragionamento, ammettiamo il furto, e la giusta causa, e parliamo del licenziamento per futili motivi. Lo scrivente ricorda un fatto della sua esperienza sindacale e di un lavoratore della Pellegrini che mentre impiattava pranzi destinati alle mense dell'Italisider, mangiò una mozzarella con il licenziamento in tronco. Una telefonata di due ore con il responsabile aziendale di Roma riportò la vicenda nella normale contestazione scritta. Ma parliamo di cosa rimane ora di tutela dopo la riforma Fornero.

 

La legge, riconfermando la possibilità del licenziamento,. gia previsto dallo statuto dei lavoratori, nelle grandi aziende ( più di 20 dipendenti) per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dice che deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore. In tale comunicazione il datore di lavoro dovrebbe peraltro indicare le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. Qui si avvia una procedura di convocazione tra le parti, la commissione provinciale, ecc che appare una sorta di gioco dell'oca o parte di una commedia dove, se fallisce la conciliazione, il lavoratore viene comunque licenziato. Questo spiega perché entrano subito in gioco gli avvocati. Il tema diventa di squisito diritto e punta alla considerazione della nullità del licenziamento, come era previsto dall'art 18 e che richiama la stessa Legge Fornero quando scrive: "  Puo' altresi' applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma" In sostanza la legge quantifica sempre in alto o in basso le indennità da corrispondere ma non parla di reintegro. Più avanti, se vogliamo, la giurisprudenza.  

La Suprema Corte (Cass. civ. Sez. lavoro, 02/12/2015, n. 24530), nel pronunciarsi su una fattispecie precedente all’entrata in vigore della riforma Fornero, ha statuito che il furto di un porta cellulare di modico valore (€ 3,60), da parte di dipendente di un supermercato, non riveste quel carattere di particolare gravità tale da poter determinare la rottura del vincolo fiduciario e da legittimare la sanzione massima di carattere espulsivo.

A nulla rileva inoltre la circostanza che il lavoratore abbia cercato di celare l’oggetto rubato e di disfarsene, senza ammettere la propria colpa; si tratta di un comportamento facilmente spiegabile in relazione alla preoccupazione del dipendente delle conseguenze del gesto probabilmente commesso e non di una condotta connotata di riprovevolezza e di pervicacia. Pertanto tenuto conto dell’unicità dell’episodio, della particolare modestia del prodotto sottratto, dell’anzianità del lavoratore (16 anni senza sanzioni disciplinari) la sanzione disciplinare del licenziamento appare obiettivamente sproporzionata e non può essere giustificata sulla sola base della condotta dopo la sottrazione del bene che comprova solo lo stato di agitazione del lavoratore. Il fatto ben poteva essere idoneamente sanzionato con una misura diversa dall’estremo ratio del recesso per giusta causa. Alla luce del ragionamento di cui sopra la S.C. ha reintegrato il lavoratore nel posto di lavoro  ex L. n. 300/1970, ex art. 18.

Nella disciplina giuridica post Fornero entra la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-10-2015, n. 20540 e 20545) la quale nell’esaminare una fattispecie in cui si applicava la riforma Fornero, ha statuito che con riferimento alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione, restando estranea al caso presente la diversa questione della proporzione tra fatto sussistente e di illiceità modesta, rispetto alla sanzione espulsiva (Cass. 6 novembre 2014 n.23669, che si riferisce ad un caso di insussistenza materiale del fatto contestato). In altre parole la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e da perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art. 18, comma 4 cit.

Nel caso esaminato dalla S.C. (sentenza n. 24545/15) ha escluso che l’indicare il numero di telefono aziendale sul proprio profilo Facebook possa causare un grave nocumento all'azienda datrice di lavoro, tale da giustificare un licenziamento o possa integrare gli elementi di una fattispecie illecita passibile di licenziamento.

In conclusione di questa trattazione, per la quale mi sono avvalso di quanto scritto dall’Avv. Francesco Cucinella, trovato in diversi siti, viene fuori un orientamento della giurisprudenza che attenua il disastro della Fornero e che sul futile motivo, arma nelle mani dei datori di lavoro per proporre licenziamenti, occorre insistere per reintegrare i lavoratori licenziati.

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