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Martedì, 29 Novembre 2016 07:26

Firenze – Consiglio Comunale, Amato, Verdi e Noferi sul tema la violenza sulle donne

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Da Firenze arrivano contributi, attraverso il servizio stampa del Comune di diverse rappresentanti donne del consiglio comunale del M5S, di Firenze a sinistra e di AL che intervengono sul tema della violenza sulle donne e del mese dedicato a questo tema

Violenza sulle donne, Amato (AL): “le denunce non bastano. Necessaria una battaglia culturale e sociale”

“La violenza sulle donne continua a mietere vittime e a generare violenza. Le denunce troppo spesso non bastano. Si tratta del resto di una questione che riempie le nostre cronache di vite spezzate. Il rispetto nei confronti della donna deve essere insegnato fin da bambini, fin da piccoli, così come il rispetto del proprio corpo e di quello altrui. Fondamentali sono gli insegnamenti, i valori e i comportamenti che si apprendono nelle scuole, in famiglia e nella società”. Questo l’intervento di Miram Amato nel corso del consiglio comunale odierno.
“Come consigliera comunale, e soprattutto come madre, sto lavorando molto sul concetto di rispetto, sulla capacità di entrare in empatia con gli altri e di saper accettare e affrontare le proprie emozioni, dalla gioia alla frustrazione. L’amore non è né violenza né aggressività o subordinazione dell'altro: la violenza uccide anche coloro che non muoiono , viene perpetuata sotto diverse forme in diversi luoghi ma con un unico comun denominatore: annienta le vittime. La violenza è sempre stata presente nella società ma oggi almeno riusciamo a parlarne: per anni il tabù ha reso il tema ancora più ostico”.
“Assistiamo spesso ad una sorta di concorso di colpa della vittima che può credere di meritare, tende a giustificare e spera che attraverso il suo amore potrà redimere l'altro, farlo diventare più umano. La vita così si annulla, priva di prospettive e di futuro: ad ogni trauma se ne aggiunge un altro. La responsabilità – ha concluso Amato – è da ricercare nella società e in tutti gli stereotipi uomo-donna da combattere”. (s.spa.)

 Donella Verdi: “non è sufficiente manifestare condanna e sconcerto. Le istituzioni rendano una priorità la lotta contro il fenomeno”

Questo l’intervento in consiglio comunale della consigliera del gruppo Firenze riparte a sinistra Donella Verdi  “Sabato scorso, le donne da tutta Italia sono scese in Piazza per manifestare, in occasione della giornata Mondiale contro la violenza maschile sulle donne, per ribadire che “la libertà delle donne è la libertà di tutti”.
Una manifestazione imponente a cui i telegiornali hanno riservato i titoli di coda.
Le donne hanno invaso Roma per dire che non basta più manifestare sconcerto e sdegno ogni volta che una donna viene uccisa.
Venerdì 25 novembre, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, prima dell’intitolazione del Giardino di Ugnano a Andreea Cristina Zamfir, la lapide a lei dedicata è stata vandalizzata.
E’ stato un atto gravissimo col quale si è voluto colpire anche il semplice ricordo di Cristina, perché prostituta, perché donna.
La violenza maschile sulle donne è un fenomeno che affonda le sue radici in un modello patriarcale, di dominio sulla donna che attraversa tutte le società, da quelle ricche a quelle povere, da quelle più evolute a quelle meno, senza distinzioni di sorta.
Ma proprio per questo occorre che tutti facciano la loro parte, a cominciare dalle istituzioni, tutte, centrali e locali e che ritengano quello della violenza un tema prioritario e che ognuna metta in atto, non affermazioni di principio ma azioni concrete a cominciare dall’attuazione della Convenzione di Istanbul che l’Italia ha ratificato nel 2013 ma che non trova applicazione concreta in Italia che, insieme alla Grecia non ha ancora introdotto l’educazione affettiva nelle scuole.
Se, come è dimostrato, si deve incidere sul cambiamento culturale, occorre agire in modo strutturale, attraverso l’educazione, la prevenzione, la formazione, immagini e linguaggi non stereotipati.
I finanziamenti previsti e non ancora erogati sono irrisori al confronto dell’enorme costo che la violenza sulle donne comporta.
I centri anti violenza e le case rifugio stentano ad andare avanti e spesso si trovano a ridurre le attività per mancanza di fondi e invece svolgono una funzione determinante per l’accoglienza, protezione e per offrire percorsi sicuri di accompagnamento delle donne fuori dall’ambiente violento e di aiuto a riprendersi la vita.
I dati sono allarmanti, l’ISTAT calcola che sono circa 7 milioni, in Italia, le donne che hanno subito violenza. Ma sappiamo che si tratta di un dato assai sottostimato e difficile da far emergere, soprattutto quando la violenza avviene in ambito domestico dove, insieme alle donne, a subire impotenti, sono anche figlie e figli che crescono in ambiente familiare deviato.
Le donne uccise sono solo il tragico epilogo di una catena di violenza che accompagna la vita delle donne, da quella fisica a quella psicologica.
Le donne, in questi anni hanno acquisito maggiore consapevolezza e non accettano di continuare a subire e sottostare al dominio maschile.
E’ questo che scatena la violenza maschile. Non si tratta di amore malato come spesso viene definito dai media.
L’uomo non accetta di perdere il controllo su ciò che considera una sua proprietà e allora usa la violenza fino ad uccidere, fino a cancellarne completamente l’identità.
Per questo è importante utilizzare tutti gli organi di parità previsti dalla legge, anche la Commissione per le Pari Opportunità come spazio autonomo di discussione, confronto, elaborazione e proposta nei confronti di Giunta e Amministrazione Comunale e che le consigliere del PD hanno respinto.
A parole si dice di contrastare la violenza ma poi, nei fatti non si utilizzano pienamente nemmeno i mezzi che si hanno a disposizione”. (fdr)
 

Violenza sulle donne. Silvia Noferi (capogruppo M5S): “occorre cambiare la mentalità e lavorare insieme, uomini e donne”

 

“La recente Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 nel preambolo riconosce che “la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”.
Il recente Rapporto Globale sulla Disparità di Genere del World Economic Forum che dal 2006 cerca di quantificare i progressi nel campo della disparità tra uomini e donne (Global Gender Gap Report) riporta i numeri di questo divario – aggiunge la capogruppo del Movimento 5 Stellle Silvia Noferi – e continuano ad impressionare. L’indice utilizzato si basa su:
1) salute (aspettative di vita e rapporto tra sessi alla nascita),
2) istruzione (educazione elementare e superiore),
3) economia (leadership, partecipazione al mercato del lavoro e salari)
4) politica (rappresentanza).
Nella classifica stilata dal World Economic Forum, troviamo l'Italia al cinquantesimo posto su 144. Siamo l’ottava economia del mondo, il 51 percento della popolazione italiana è composto da donne, eppure arranchiamo sulla parità di genere, sorpassati da Paesi quali il Burundi, la Serbia, il Mozambico.
Siamo sedicesimi su venti in Europa Occidentale, seguiti solo da Austria, Cipro, Grecia e Malta.
L'Italia scivola in 117esima posizione per accesso e partecipazione alle medesime opportunità economiche.
Come scrive Francesca Larosa sull’Huffington Post del 22 novembre 2016:
“Alla base di un divario cosi vergognoso per l'ottava economia del mondo nell'anno 2016, vi è una profonda matrice di stampo socio-culturale. Una cultura che vede ancora responsabilità distinte nella cura della casa e dei figli tra uomo e donna.
Una cultura che ci dipinge come “saputelle” se vogliamo dire la nostra, "troppo esplicite" se godiamo liberamente del sesso. Una cultura che continua a denigrare il bisogno di affermazione ed emancipazione e a definirlo come “esibizionismo”, una cultura-non-cultura alla quale tutti, uomini inclusi e soprattutto, devono opporsi con forza.”
Sono queste le premesse delle cifre dell’orrore che arrivano dagli organi ufficiali.
Il 27 settembre del 2002 il Consiglio d’Europa affermò che la violenza è la prima causa di morte (in Europa) per le donne fra i 14 e i 44 anni e l’ISTAT ci fece sapere che in Italia ogni tre morti violente, una riguarda una donna uccisa per mano del proprio patner. Anche l’ultimo rapporto ISTAT e non è cambiato di molto, sembrano dati da paleolitico invece sono dati del nostro paese.
Alessandra Arachi sul Corriere della Sera il 25 novembre 2016 ribadisce:
“La prima causa di morte vuol dire che un marito, un fidanzato, un convivente uccide più di un incidente stradale, un tumore, la depressione, o qualsiasi disgrazia vi venga in mente”.
Passi avanti sono stati fatti, con la legge 15 febbraio 1996 n. 66 “Norme contro la violenza sessuale” e l’importantissimo decreto-legge sullo stalking del 23 febbraio 2009 ma per combattere il fenomeno della violenza contro le donne le riforme giuridiche, sia nazionali che internazionali, non sono sufficienti se non vengono adeguatamente supportate da un cambiamento culturale: non basta qualificare un comportamento come illegale per sradicarlo dalla vita quotidiana e dalla mentalità comune; occorre invece modificare abitudini e convinzioni radicate, eliminare stereotipi e immagini degradanti del genere femminile.
Anche a noi spetta un compito importante, forse più che agli altri, riallacciare ogni giorno e in ogni occasione quel filo rosso che ci lega come esseri umani prima che come esponenti di partiti o movimenti, per dare l’esempio ad un nuovo corso.
Quel filo – conclude Silvia Noferi – che dovrebbe legarci tutti, uomini e donne”. (s.spa.) 

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