Ho atteso qualche giorno prima di affrontare il caso di tre carabinieri imputati di aver ucciso a percosse un giovane sotto effetto di droga. Mi sono illuso che qualcuno fosse capace di descrivere i silenzi dei vertici su Stefano e l’affondo del militare indagato, “Vogliono solo colpire l’Arma” [la Repubblica, 19 gennaio: 11] e si domandasse alla fine: ma esiste una difesa legale del cittadino che capita nelle mani della forza pubblica? Invano!
Io amo l’Arma dei carabinieri, che sul Carso fu capace di assaltare per giorni delle postazioni nemiche governate da mitragliatrici cadendo a centinaia e continuando ad assaltare fino a commuovere i difensori per il loro obbedir tacendo. Adesso, apprezzo il comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette, che sta ai fatti senza farsi travolgere dalle decine di migliaia di consensi pro i tre accusati. Sottolineo però il silenzio della stampa che omette di alzare il dito contro tutti gli uomini politici che tengono silenzioso l’art. 49 che ho riprodotto in sottotitolo.
Io sono un cittadino che ha rinunciato all’uso delle armi e confido nella forza pubblica. Se mi capitasse il caso di Cucchi, se venissi preso dai servitori dello Stato e bastonato, se perdurasse l’associazione dell’uso della forza pubblica priva del controllo di una legge che disciplini il diritto associativo, dovrò passare la stessa via crucis, subire le stesse angherie, disattenzioni, bugie date sotto giuramento di medici complici e conniventi?
Cara Ilaria, io ti stringo forte forte. L’anno scorso hai evitato di farti coinvolgere in politica nella campagna elettorale del comune di Roma. Adesso, sei una bandiera d’Italia e laureata in legge.
Alza il tema dei fondamenti del diritto associativo. Sorelle e fratelli d’Italia ti saranno grati.
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