ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Sabato, 04 Marzo 2017 00:00

‘Amico’, -a.mi.ku-, ‘Signore. terra. Dio’, -en.ki.du-

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Una bocca amabile moltiplica gli amici, un linguaggio gentile attira i saluti.  Siano in molti coloro che vivono in pace con te, ma i tuoi consiglieri uno su mille. 

Se intendi farti un amico, mettilo alla prova; e non fidarti subito di lui.  C'è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. 
C'è anche l'amico che si cambia in nemico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi.Egli 'è l'amico compagno a tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura. 
Nella tua fortuna sarà come un altro te stesso, e parlerà liberamente con i tuoi familiari. Ma se sarai umiliato, si ergerà contro di te e dalla tua presenza si nasconderà. 
Tieniti lontano dai tuoi nemici, e dai tuoi amici guàrdati. Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro. 
Per un amico fedele, non c'è prezzo, non c'è peso per il suo valore.  Un amico fedele è un balsamo di vita, lo troveranno quanti temono il Signore. 
Chi teme il Signore è costante nella sua amicizia, perché come uno è, così sarà il suo amico. 
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,1-12. 
In quel tempo, Gesù, partito da Cafarnao, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare. 
E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». 
Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 
Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». 
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; 
per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. 
L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». 
Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; 
se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio  

Io leggo in zumero a.mi.ku, per ‘amico’it, amicolat., col significato di: ‘riconoscoku (il) semea dello Spiritomi.

È un riconoscimento che sintetizza il precetto del Siracide vel Ecclesiastico.

È anche la più semplice espressione circolare della fede: ‘chi teme il Signore –che laicamente non è di questo mondo- è costante nella sua amicizia, perché come uno è, così sarà suo amico’.

Chi è di questo mondo fin nello spirito è divisivo, mutevole, incostante nell’amicizia. Metti alla prova un amico nella sventura e capirai.

Io avevo fino a 500 amici, ai tempi dell’Enoteca’73 fino al 1992. Ebbi una sventura e scomparvero. Dunque ho provato l’amicizia della saggezza del Siracide.

Così sono l’amore con la tua donna e l’amore con una donna.

Dunque, nella dimensione dei 4.000 anni, ‘riconoscimento del seme dello Spirito’ è En.ki.du ‘Signore. terra. Dio’, l’amico di Bilgamesh cercato dal re zumero, dopo la sua morte, fino agli inferi.

Leggo precisamente En.ki.du8 foneticamente en. ki. diu, ‘signore. Terra. Dio’.

Diu è l’espressione latina, significativa di ‘lungamente’, riassuntivo del passo del Siracide, 6, 5-17.

Il di.u, signore in Terra, che si rompe nell’ideologia zumera, è

du8

  v., to crack, loosen, open; to take apart (such as plow for storage); to untie, release; to remit (a debt); to redeem, reclaim; (in math. texts) to compute; to adorn, clothe (reduplicated); to yoke; to accumulate, amass (reduplicated); to make disgorge (reduplicated); to spread; to caulk a boss (with pitch); to gouge (eyes); to bake bread/bricks; to prepare the threshing floor (du8 as a noun, cf., duh) (in maru singular, du8-r or du8-ur and in maru participial form, du8-d).

 adj.: free[1].

du8-du8

  n., weaned young; a type of vessel (reduplicated ‘to unite, loosen’).

  Adj., very plentiful[2].

Il secondo lemma, du8-du8, è rivelatore che il singolo du8 è un dio che si rompe, mentre la replica è il latino diu, avv. ‘lungamente’. Dio si rivela sicuramente lungamente.

Per me lungamente negli ultimi 25 anni, dal 4 aprile 1992 quando ebbi un coma da emorragia cerebrale, che mi ha dato per amico Gesù. Se io vi dico di chiamarlo anche GESH.UB, ‘Albero (di) conoscenza’[3], voi potreste chiedermi ‘ma di che albero parli’? In

http://www.agoramagazine.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=14843:la-torre-di-babele-3&Itemid=713

ovvero ne La torre di Babele 3[4], abbiamo osservato:

Col cibo, zum. ki.bu, ‘terra. Conoscenza’, che, solum è mio ed io nacqui per lui, come scriveva Machiavelli sul potere, posso tornare sul paleonimo Sennaar, ed osservare:

gish/u2 she-na2-a; she-nu; she-na-a

the chaste tree [l’albero casto], Vitex agnus-castus, a shrub resembling [assomigliante al succo di limone] hemp/cannabis that grows to a height of 10-20 feet, whose flexible branches were used in the construction of plainted fences, and whose dried berries, leaves, and root were traditonnally used for the treatment of menstrual and menopausal ailments as well as insufficient lactation in nursing (loanword from Akkadian, shuna’a, ‘two each’; cf., Syriac shunaya, “chaste tree” and Akkadian shunu II, ‘chaste tree’)[3].

Adesso andiamo a confrontare questo albero casto con l’albero khuluppu de la Saga di Bilgamesh in Ghilgamesh e gli Inferi, riferito da Giovanni Pettinato in La saga di Gilgamesh, Milano, Rusconi, 1993: 329-340: 330.

È evidentemente il tema dell’albero che sta in mezzo al giardino dell’eden/edin e del serpente sviluppato anche in Genesi 3.

-La storia dell’albero khuluppu (27-31)

[khuluppu: ‘distinguo/Aldilà khu vento ulu soggetto lu up-pu = pu.pu.lu, popolo (via lcz)’].

In quel tempo vi era un albero tutto solo, l’albero khuluppu tutto solo, un albero tutto solo; esso era piantato sulla riva del puro Eufrate, e si nutriva delle acque del fiume Eufrate; il vento del sud sradicò le sue radici, ruppe i suoi rami. L’acqua dell’Eufrate lo trascinò via.

-La dea Inanna salva l’albero (32-39).

Una donna, rispettosa della parola di An, vi passò accanto, rispettosa della parola di Enlil, vi passò accanto, essa prese l’albero nella sua mano e lo portò ad Uruk,

nel santo giardino di Inanna lei lo portò.

La donna non lo piantò con la sua mano, essa lo piantò col suo piede:

-Quanto tempo passerà perché esso diventi una santa sedia cosicchè io mi ci possa sedere sopra?-, essa disse.

-Quanto tempo passerà finchè esso diventerà un santo letto dove io possa giacere?-, essa disse.

-I demoni infestano l’albero (40-46)

Dopo che cinque anni, dopo che dieci anni furono passati, l’albero crebbe imponente, ma il suo tronco non aveva foglie.

Nelle sue radici un serpente che non teme magia, vi aveva fatto il suo nido;

nei suoi rami l’uccello Anzu [‘conoscenza-zu (del) cieloAn’ nds] vi aveva deposto i suoi piccoli; nel suo tronco la vergine fantasma vi aveva costruito la sua casa; la vergine (altrimenti) allegra e con il cuore gioioso, la pura Inanna cominciò a piangere.

-La dea Inanna chiede inutilmente aiuto al dio Sole (47-90).

Quando l’alba stava per spuntare, quando l’orizzonte cominciava a schiarirsi, quando gli uccelli all’aurora cominciarono a cinguettare, quando Utu [il dio Sole] lasciò la sua camera da letto, sua sorella, la pura Inanna, disse a Utu, l’eroico guerriero:

-O mio fratello, in quei giorni lontani, quando i destini [me nds] furono decretati,

quando l’abbondanza [me.lam.mu nds] scese su Sumer, quando An prese per sé il cielo, quando Enlil prese per sé la terra, quando ad Ereshkigal in dono furono dati gli Inferi, quando egli salpò con una nave, quando il padre salpò per il Kur, quando Enki salpò per il Kur, contro il re le piccole pietre si abbatterono, - le piccole pietre sono le pietre della mano, le grandi pietre sono le pietre che fanno danzare le canne-, contro la chiglia della nave di Enki esse si abbatterono come tartarughe; contro il re, l’acqua la prua della nave azzanna come un lupo; contro Enki, l’acqua la poppa della nave colpisce come un leone.

In quel tempo vi era un albero tutto solo, l’albero khuluppu tutto solo, un albero tutto solo; esso era piantato sulla riva del puro Eufrate, e beveva l’acqua del puro Eufrate; il vento del sud sradicò le sue radici, ruppe i suoi rami. L’acqua dell’Eufrate lo trascinò via. Una donna, rispettosa della parola di An, vi passò accanto, rispettosa della parola di Enlil, vi passò accanto, essa prese l’albero nella sua mano e lo portò ad Uruk, nel santo giardino di Inanna essa lo portò. Io, quella donna, non l’ho piantato con la mia mano, io l’ho piantato con il mio piede. “Quanto tempo passerà perché io diventi una santa sedia cosicchè io mi possa sedere sopra?, così dissi. “Quanto tempo passerà finchè esso diventerà un santo letto dove io possa giacere?”, così dissi. Dopo che cinque anni, dopo che dieci anni furono passati, l’albero crebbe imponente, ma il suo tronco non aveva foglie. Nelle sue radici un serpente che non teme magia, vi aveva fatto il nido; nei suoi rami l’uccello Anzu vi aveva deposto i suoi piccoli vi aveva deposto i suoi piccoli; nel suo tronco la vergine-fantasma vi aveva costruito la sua casa; io, la vergine (altrimenti) allegra e con il cuore gioioso, io, la pura Inanna, come ho pianto!-. Suo fratello, l’eroico guerriero Utu, non le volle prestare ascolto.

-Inanna si rivolge a Gilgamesh (91-133)

Quando l’alba stava per spuntare, quando l’orizzonte cominciava a schiarirsi,

quando gli uccelli all’aurora cominciarono a cinguettare,

quando Utu lasciò la camera da letto,

sua sorella, la pura Inanna,

disse a Gilgamesh, il guerriero:

-O mio fratello, in quei giorni lontani, quando i destini furono decretati, quando l’abbondanza scese su Sumer, quando An prese per sé il cielo, quando Enlil prese per sé la terra, quando ad Ereshkigal in dono gli Inferi furono dati, quando egli salpò con una nave, quando il padre salpò per il Kur, contro il re le piccole pietre si abbatterono –le piccole pietre sono le pietre della mano, le grandi pietre che fanno danzare le canne-, contro la chiglia della nave di Enki, l’acqua la poppa della nave azzanna come un lupo; contro Enki, l’acqua la poppa della nave colpisce come un leone.  

In quel tempo vi era un albero tutto solo, l’albero khuluppu tutto solo, un albero tutto solo; esso era piantato sulla riva del puro Eufrate,         115

e beveva l’acqua del fiume Eufrate;

il vento del sud sradicò le sue radici, ruppe i suoi rami. L’acqua dell’Eufrate lo trascinò via. Una donna, rispettosa della parola di An, vi passò accanto, io ho preso l’albero nella mia mano e l’ho portato ad Uruk, nel santo giardino di Inanna io l’ho portato. Io, quella donna, non l’ho piantato con la mia mano, io l’ho piantato col mio piede. “Quanto tempo passerà, finchè esso diventi una santa sedia, cosicchè io mi ci possa sedere sopra?”, così dissi.

“Quanto tempo passerà, finchè esso diventi un santo letto dove io possa giacere?”, così dissi.

Dopo che cinque anni, dopo che dieci anni furono passati,

l’albero crebbe imponente, ma il suo tronco non aveva foglie.

Nelle sue radici un serpente che non teme magia vi aveva fatto il nido; nei suoi rami l’uccello Anzu vi aveva deposto i suoi piccoli; nel suo tronco la vergine fantasma vi aveva costruito la sua casa; la vergine altrimenti allegra e con il cuore gioioso, io, la pura Inanna, come ho pianto-.

-L’eroico gesto del re di Uruk (134-148)

In questa vicenda, di cui sua sorella lo informò,

suo fratello Gilgamesh, il guerriero, prestò aiuto.               135

Egli si cinse di una corazza di cinquanta mine,

-cinquanta mine per lui sono come trenta sicli-;

La sua ascia, che usava per le sue spedizioni,

del peso di sette talenti e sette mine, egli prese nella sua mano.

Nelle sue radici egli colpì il serpente che non teme magia;

dai suoi rami (allora) l’uccello Anzu prese i suoi piccoli e volò nelle montagne;

dal suo tronco la vergine fantasma che vi aveva costruito la sua casa,

cercò rifugio nel deserto.

Quanto all’albero, egli tagliò le sue radici e spezzò i suoi rami,

i suoi seguaci che lo avevano accompagnato,

tagliarono via i rami e ne fecero delle fascine.

Egli lo (= l’albero) regalò a sua sorella, la pura Inanna,

per la sua sedia,

egli lo regalò per il suo letto.

-Il pukku e il mekku e la loro perdita (149-176)-.

E quanto a se stesso, egli prese le radici e fece il suo pukku,

prese i rami e li trasformò in mekku;

egli adorna il pukku e lo porta sulla pubblica piazza.

Suonando e cantando egli cammina fino alla pubblica piazza.

I giovani uomini della città che danzano al suono del pukku,

costretti a correre (simili) a una truppa di orfanelli:

-Oh, la mia nuca! Oh, i miei fianchi!-, essi lamentandosi gridano.

A colui che ha una madre, questa porta pane a suo figlio;

a colui che ha una sorella, questa porta acqua a suo fratello.

Quando venne la sera,

egli fece un segno nel luogo dove il pukku era stato posto,

il suo pukku sollevò davanti a sé e lo portò dentro la sua casa.

All’alba, dove egli aveva fatto il segno, …

per il pianto delle vedove, per il lamento delle giovani,

il suo pukku ed il suo mekku caddero nel profondo degli Inferi;

egli stese la sua mano, ma non potè raggiungerli.

Alla porta del Ganzir, nell’anticamera degli Inferi il pukku ed il mekku si erano depositati.

Gilgamesh versò lacrime, si lamentò amaramente:

-Oh! Il mio pukku! Oh! il mio mekku!

Il mio pukku del cui suono io non mi sono ancora saziato,

e con il quale non ho esaurito la mia voglia di danzare!

Avessi lasciato io oggi il pukku nella casa del falegname!

La moglie del falegname è come mia madre che mi ha partorito. L’avessi lasciato là.

La figlia del falegname è come la mia giovane sorella.

L’avessi lasciato là!

Il mio pukku è caduto negli Inferi, chi me lo riporterà indietro?

Il mio mekku è caduto negli Inferi, chi me lo riporterà indietro?-.               176

(segue la vicenda dell’amico di Gilgamesh Enkidu, che va per lui agli Inferi a prendere il pukku ed il mekku, ma non ritorna, trattenuto dagli Inferi, (177-254).

*

Il mio amico GESH.BU mi suggerisce come leggere tutta la vicenda. Ve ne parlo la prossima volta.


[1] John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006 : 46.

[2] John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006: 47.

[3] John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006: 97, re.: ges-.

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