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Domenica, 26 Marzo 2017 00:00

60° dei Trattati di Roma: nell'euro-ottimismo di Mario Draghi innovazione e tassi d’interesse negativi?

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Nei 60o dei Trattati di Roma, in tanti discutono di una comunità trasformatasi in Unione e in bilico tra una continua e sempre nuova vita, quella dai più auspicata, o la sopravvivenza da molti inseguita ma temuta.

Soffermiamoci sull'ottimismo del Governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, più volte palesato, come nel discorso dello scorso 13 febbraio, di apertura alla conferenza "Fostering innovation and entrepreneurship in the euro area", a Francoforte, e analizziamone brevemente anche la politica monetaria dei tassi d’interessi negativi, pionieristicamente attuata, nonostante il contrasto con le previsioni dell'economista premio Nobel Joseph Stiglitz.

Un governatore innovativo che ama parlare di innovazioni? Nella conferenza citata, sui temi dell’innovazione e dell’imprenditorialità nell’area dell’euro, lo ripetiamo, ha chiarito come "potremmo (già) ottenere grandi benefici sulla produttività semplicemente diffondendo meglio le tecnologie di cui già disponiamo”.

A prima vista potrebbe sembrare un argomento insolito per una conferenza della banca centrale, poiché la politica monetaria opera principalmente dal lato della domanda nell'economia, quindi dopo l'annuncio della Banca Centrale Europea di lasciare invariati i tassi d’interesse, l'attenzione si è concentrata sulle riforme strutturali dal lato dell’offerta. Il Governatore ha rilevato la priorità del problema della debole crescita della produttività, per cui le riforme strutturali hanno un ruolo chiave e ha esortato i governi dell’UE ad accelerarne l'attuazione, per salvaguardare il modello economico europeo che si basa su alti salari e sul welfare state, per contrastare il senso d’insicurezza economica che attualmente si è diffuso in molte delle nostre economie avanzate.

La crescita della produttività non è solo sviluppo di tecnologie innovative che migliorino o rivoluzionino i processi di produzione, le imprese devono implementarle opportunamente nei loro processi produttivi, pertanto non occorre solo la creazione di nuove idee, ma anche la loro diffusione. Alcuni ritengono siano esauriti i profitti derivanti dalla tecnologia dell'informazione e della comunicazione (TIC). Altri sono più ottimisti sul fatto che l'attuale rallentamento della produttività rifletta semplicemente la necessaria transizione verso un'economia a maggiore intensità di conoscenza, e che le tecnologie di uso generale come le TIC miglioreranno nel tempo e genereranno innovazioni complementari.

Tre paesi nella zona euro si collocano tra i dieci più importanti del mondo per l'innovazione, pertanto vi sono le potenzialità per incrementare la capacità innovativa, ma per eliminarne gli ostacoli occorrerebbe il sostegno dei governi. Si osserva, infatti, come in Europa le differenze di capacità innovativa tra i paesi siano strettamente correlate alla spesa pubblica per la Ricerca & Sviluppo, in particolare nella ricerca di base, ma un fattore rilevante contribuisce al rallentamento: la scarsa diffusione dell'innovazione.

L'innovazione secondo Schumpeter implica la costruzione di nuovi impianti, per lo più da parte di nuove imprese ed è associata alla leadership di uomini nuovi. I nuovi prodotti possono dar vita anche a nuovi settori industriali, quindi è molto più importante il processo di creazione del nuovo rispetto all'amministrazione dell'esistente, di cui si occupa la teoria economica tradizionale. Tuttavia le imprese sono eterogenee e non in modo temporaneo, e nel corso del tempo i vantaggi competitivi dovuti a risorse e competenze superiori possono spostarsi, diffondersi tra i diversi concorrenti nei diversi territori.

Le asimmetrie territoriali sono un problema di lunga data per l'area dell'euro, inoltre, guardando altrove, l'adozione delle TIC negli Stati Uniti è a un livello più elevato e sembra spiegare la maggior parte del differenziale di produttività tra gli USA e l'UE-15 dal 1995 al 2007.Immagine

Come possiamo migliorare la diffusione dell'innovazione alle aziende ritardatarie, in particolare all'interno dei vari settori? Sono tre i principali ambiti d’intervento che migliorerebbero la capacità e spingerebbero le imprese ad adottare le nuove tecnologie: l'investimento nel capitale umano e nelle capacità manageriali, gli investimenti in beni immateriali cioè orientare la propria Ricerca & Sviluppo, sviluppare la propria proprietà intellettuale, quindi gli investimenti in branding, software e database, e l’aumento del dinamismo economico, cioè una concorrenza con più alti tassi d’ingresso-attività, che può svolgere un ruolo importante nello spingere le imprese ad adottare le più recenti tecnologie.

Naturalmente, creare le condizioni di mercato, il quadro normativo per incoraggiare l'innovazione e promuovere la sua implementazione in nuovi prodotti e processi, è molto complesso, e non esiste alcuna formula vincente prestabilita. E, purtroppo, l’innovazione non è l'unico euro-problema!

Riguardo all’ottimismo sui tassi d’interesse negativi, ma non parliamo di demurrage*, la BCE si è mossa per prima in questa direzione, quando, nel giugno 2014, ha deciso un taglio del tasso di deposito dallo 0% al      –0.1%, dopo averne segnalata la possibilità per almeno un anno. La motivazione principale alla base di tale decisione, da parte di Mario Draghi, era “assicurare un saldo ancoraggio delle aspettative d’inflazione del medio-lungo periodo”. La BCE ha. quindi. ridotto il suo tasso di deposito a –0.2% nel settembre 2014 e in seguito a –0.3% nel dicembre 2015, - 0,4% nel 2016.

 Una politica dei tassi d’interesse negativi ha l’obiettivo di scoraggiare le banche commerciali dall’accumulare grandi volumi di liquidità, non investiti nell’economia. Pertanto, creando una “tassa” sui depositi, si ha un “incentivo” ai prestiti, costringendo le banche commerciali a svolgere il loro ruolo all’interno dell’economia: aumentare il credito e le attività d’investimento. I tassi negativi, una volta trasmessi ai tassi sui prestiti per le imprese e le famiglie, avranno una serie di effetti positivi a catena, con maggiori investimenti e consumi, che faranno così ripartire l’economia.

In una delle sue più recenti relazioni, Mario Draghi ha affermato, ottimisticamente, che, operando in tal senso, investire è diventato più allettante, altrimenti il costo del credito sarebbe stato più alto del rendimento e quindi l’economia sarebbe rimasta in recessione. La disoccupazione sarebbe rimasta elevata più a lungo, comportando una perdita di competenze, gli investimenti sarebbero ristagnati per un periodo più prolungato, e la capacità produttiva dell’economia sarebbe stata danneggiata in maniera permanente.

“Il contesto mondiale dei bassi tassi d’interessi e dei tassi negativi non è la causa ma il sintomo delle problematiche presenti nell’economia internazionale” spiega Mario Draghi “e per far risalire i tassi a livelli positivi e duraturi bisogna in primo luogo affrontare le cause di fondo”. “L’obiettivo primario della politica monetaria dell’Europa è mantenere la stabilità dei prezzi, definita come un tasso d’inflazione inferiore seppure vicino al 2%, in un orizzonte di medio termine.”

Un altro effetto ricercato della politica dei tassi negativi è la svalutazione della moneta che rende più cari i prodotti d’importazione e più competitive le esportazioni.

Ci sono dubbi sul fatto che la politica dei tassi d’interesse negativi della BCE stia avendo gli effetti sperati. I tassi d’interesse negativi sono insoliti; un territorio ancora inesplorato e rappresentano un’importante sfida per molti agenti economici, in particolare per gli investitori. Tuttavia gradualmente si potrebbe arrivare a comprenderne la logica adattandosi a tale nuova situazione. Se, invece, la banca centrale incrementasse i tassi d’interesse, in termini aggregati l’incentivo si sposterebbe verso il risparmio a scapito dei consumi e degli investimenti, e ciò potrebbe contribuire a rallentare un’economia già colpita da inflazione.

Secondo Mario Draghi i risparmiatori possono comunque ottenere dei rendimenti soddisfacenti diversificando le loro attività, anche quando i tassi sui depositi e sui conti di risparmio sono molto bassi. Per esempio, negli Stati Uniti le famiglie investono circa un terzo delle loro attività finanziarie in azioni; il dato per Francia e Italia è circa un quinto e per la Germania appena un decimo. Le famiglie tedesche detengono quasi il 40% delle loro attività sotto forma di contante e depositi, e quelle francesi e italiane approssimativamente il 30%. Il dato corrispondente per gli Stati Uniti è meno del 15%. Secondo il governatore della BCE: “ Infatti, considerati insieme, a livello aggregato, risparmiatori e prenditori hanno, di fatto, lo stesso interesse di vedere l’economia tornare sul suo livello potenziale senza ritardi e crescendo a ritmi tali da generare reddito sufficiente per entrambi…nel lungo periodo”.

Sono, però, differenti le opinioni di altri economisti, secondo i quali è ancora troppo presto per considerare positiva tale politica, è invece necessario valutarla nel lungo periodo. Inoltre non è possibile ridurre il tasso d’interesse in modo illimitato, poiché, a un certo livello, diviene più conveniente detenere “cash”, nonostante i costi associati, piuttosto che pagare un tasso d’interesse negativo. Tale punto non è stato ancora raggiunto, ma altri tagli nell’area della negatività potrebbero avere effetti non lineari, le reazioni degli operatori in situazioni estreme non possono ancora essere previste.

Anche l’opinione di Joseph Stiglitz è un po’ discorde, infatti, ritiene che se l’Europa avesse abbassato i propri tassi d’interesse nello stesso modo in cui l’ha fatto la Federal Reserve, la ripresa negli Stati Uniti sarebbe arrivata molto più lentamente! Il paradosso, secondo J. Stiglitz, dunque, è che gli Stati Uniti dovrebbero ringraziare l’Europa per aver aiutato la ripresa dell’economia americana tramite le proprie politiche monetarie sbagliate. Inoltre poiché gli Stati Uniti sono considerati un’economia innovativa, dobbiamo ricordare che le innovazioni più importanti, come Internet ad esempio, sono state sostenute e finanziate attivamente dal governo con una politica attiva dell’innovazione, contrapposta a quella del rigore vigente in Europa.

 Osserviamo tuttavia che la stessa politica dei tassi negativi ha avuto presupposti e sortito effetti differenziati, lì dove adottata, non si tratta, infatti, di esperimenti di laboratorio replicabili in condizioni controllate.  (https://www.investing.com/central-banks/).  Infatti, in seguito alla grande crisi finanziaria del 2008, diverse banche centrali di tutto il mondo hanno avviato politiche monetarie non convenzionali per favorire la crescita economica. Dal 2014 al 2015, la Banca Nazionale Danese (DN), la Banca Centrale Europea (BCE), la Banca Centrale Svedese (Riksbank), la Banca Nazionale Svizzera (BNS), e più di recente la Banca del Giappone, (BoJ) hanno tagliato i loro tassi di riferimento al di sotto dello zero.

La Banca Nazionale Danese (DN), nel 2014 ha deciso di tagliare il tasso sui certificati di deposito da +0,05% a –0,05%, seguita dalla BCE. In realtà la Danimarca iniziò ad adottare tassi d’interesse negativi sui certificati di deposito già a partire da luglio 2012. Le ragioni furono differenti e principalmente legate al tasso di cambio.

La Banca Nazionale Svizzera (BNS) è passata a un tasso di deposito negativo nel dicembre 2014, quando annunciò che i depositi che superano una certa soglia avrebbero avuto un tasso pari a –0,25%, con effetto dal gennaio 2015.

In seguito la Riksbank svedese ha deciso di ridurre il tasso a pronti contro termine a –0,1% nel febbraio 2015, per “salvaguardare il ruolo dell’inflazione come un’ancora nominale, per stabilire i prezzi e formare i salari”.

La BoJ Giapponese, nel gennaio 2016, ha annunciato un tasso pari a –0,1% a partire dai saldi dei conti correnti e su ogni futuro aumento di riserve, con l’obiettivo di raggiungere la stabilità dei prezzi al 2%.

Di conseguenza è ancora presto per redigere un bilancio definitivo sulla politica europea, anche perché non solo le opinioni non sono univoche, ma i dati non sono esaustivi.

Servirà altro tempo, salvo che un successivo governatore della BCE decida di adottare un diverso tipo di politica economica, considerando che alcuni paesi europei ne stanno beneficiando maggiormente, altri sicuramente meno, forse la stessa Germania!

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