ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Mercoledì, 05 Aprile 2017 00:00

Venezuela, golpisti in retromarcia. Ma la toppa è peggio dello strappo

Written by  Massimo Cavallini
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Come si usa dire:peggio la toppa dello strappo. Lo scorso 30 marzo, come certo ricorderete, ilTribunal Supremo d Justizia– sulla carta l’equivalente della Corte Costituzionale, ma di fatto l’ufficio legale del governo “bolivariano” del Venezuela –aveva emesso un paio di sentenze(la n.155 e la n. 156, per la cronaca) con le quali spogliava d’ogni autorità l’Assemblea Nazionale(peraltro già da tempo inabilitata dal TSJ perché dichiarata in “desacato”, ossia in stato di “disobbedienza”) attribuendo a se stessa tutte le funzioni che la Costituzione riserva al potere legislativo.

Questo era stato lo “strappo”, il “golpe”, o ancora, il “colpo di grazia” a quellaseparazione dei poteriche,conditio sine qua nond’ogni sistema democratico, nella Venezuela “bolivariana” già versava, se ancora era viva, inun assai precario stato di salute.

Sabato scorso, trascorse appena48 oree misurato lo scandalo causato in Venezuela e nel mondo dal provvedimento,è arrivata la “toppa”. La quale, come vuole l’antico proverbio, ha ancor più evidenziato lemortali dimensioni della feritache squarcia il corpo della democrazia venezuelana. Nella sostanza: il governo venezuelano ed il TSJ (che dell’esecutivo non è, da tempo, che un’inerte e servile appendice) ha preteso di cancellareun atto volgarmente anticostituzionale– per l’appunto: lo scioglimento di fatto del Parlamento – con un altro (e per molti versi ancor più volgare) atto anticostituzionale.

Questo è quel che è accaduto. Le due summenzionate sentenze del TSJ, non avevano, in realtà, provocato soltanto – nelle 48 ore trascorse tra lo strappo e la toppa – la scandalizzata reazione di tutti coloro che ancora credono nella democrazia, ma avevano anche messo in rilievo laprofonda divisione(quella, da tempo strisciante, tra ala dura ed ala moderata) che corre all’interno dello stesso governo venezuelano.La fiscal general Luisa Ortega Díaz– un personaggio che, pure, non è immune da colpe – non aveva infatti esitato a pubblicamente e duramente contestare le due sentenze, definendole“una rottura del filo costituzionale”. E di fronte ad una tanto drastica denuncia, proveniente dalle viscere del medesimo governo, al presidenteMaduronon era rimasto che innescare laretromarcia. Come?Convocando il Consejo de Defensa Nacional– un organismo “collettivo” al quale la Costituzione attribuisce esclusivamente compiti relativi alla difesa militare della integrità territoriale della Nazione – per chiedere al TSJ di “riconsiderare” le sue due sentenze.

Detto e fatto. Con una rapidità ed una puntualità che, molto più eloquentemente d’ogni denuncia dell’opposizione, hanno testimoniato lo stato del suo totale, persino patetico,asservimento all’esecutivo, il presidente del TSJ,Maikel Moreno, ha “corretto” le due sentenze contestate,ripulendoledalle espressioni più sfacciatamente “golpiste” ed adeguandole alle proclamate esigenze “unitarie” del governo. Unafoglia di ficogli aveva chiesto Maduro – ritrovatosi all’improvviso nudo di fronte alla comunità internazionale ed a parte del suo proprio partito – ed una foglia di fico il buon Maikel gli ha,con tutta la goffaggine d’un burattino, prontamente fornito. Peccato che, come tutte le foglie di fico, anche questa ad altro non sia servita che a mettere ulteriormente in risaltole nudità dittatoriali, ormai davvero indecenti, del regime bolivariano.

Soltanto una tempesta in un bicchier d’acqua, dunque? In parte sì, perché, come scritto sopra, il “colpo di grazia” sparato dal TSJ lo scorso 30 marzo altro in realtà non aveva fatto che infierire – come nel caso diFrancesco FerruccieFabrizio Maramaldo– su un corpo morto. La separazione dei poteri non esiste più in Venezuela, da quando, nel 2004, l’“eterno”Hugo Chávezcambiò d’autorità la composizione del TSJ, e da quando l’intero corpo giudiziario è stato depredato d’ogni indipendenza usando l’arma del precariato (il 75% dei giudici non è di carrierae può in qualunque momento esser rimosso per volontà del governo). Nel Venezuela “bolivariano”, il “golpe” è in effetti, da tempo,una sorta di stato permanente, una intrinseca qualità del sistema di potere, un perenne processo acceleratosi da quando il trionfo elettorale dell’opposizione, nel dicembre del 2015, ha messo in evidenzalo stato di minoranza del chavismo. La parola d’ordine, consegnata al TSJ ed al CNE (Consejo Nacional Electoral), gli “arbitri” che il chavismo controlla ed usa senza il minimo ritegno, è stata, da allora, una sola:vietato votare.

A ben vedere, il “golpe” dello scorso giovedì non è stato che un errore di forma,un eccesso di zeloche ha maldestramente rivelato qualcosa che già da tempo esisteva sotto le ceneri d’una Costituzione tanto solennemente invocata quanto brutalmente stuprata in ogni sua parte nel corso di ben più d’un decennio. Il vero scandalo, il veroomicidio della democraziasi era in realtà lentamente consumato, anno dopo anno, nellungo, sistematico massacro dello Stato di dirittoe, più recentemente, nel gioco delle tre tavolette col quale, grazie l’azione congiunta del TSJ e del CNE, tra il marzo e l’ottobre del 2016, il regime ha sbarrato la via alreferendum revocatorio, un diritto che la Costituzione espressamente contempla. Un diritto che è (era) anchel’unica possibile via d’uscitadalla catastrofe nella quale i quasi vent’anni dicaudillismo chavistahanno precipitato il Venezuela. Fonte Il Fatto quotidiano

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