ANNO XVIII Dicembre 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Lunedì, 10 Aprile 2017 09:24

Insistente Terrorismo Inesistente

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Leggo molti libri di recente pubblicazione, ed altri più datati, sul terrorismo di varia tipologia e di vario genere. Lo faccio per interesse personale e vincolo professionale.

            Molti spiegano la differenza tra Al Qaeda e Isis, altri sezionano nel dettaglio, nella micro specializzazione questo o quell’attentato, infestano di nomi improbabili e irripetibili le loro pagine, come se si trattasse di una saga familiare mafiosa, di cui è indispensabile sapere il nome di tutti i parenti e le relative battute eccellenti. Ad ogni attentato poi siamo bombardati, direi soffocati, da improbabili analisti che cercano le novità negli identici attentati dicendo sempre le stesse cose, sempre le stesse dichiarazioni, sempre gli stessi giudizi.

            Devo dire la verità, considero tutta questa pubblicistica inutile e insignificante.

            Le organizzazioni, specie le organizzazioni criminali e, tra queste, le organizzazioni terroristiche, cambiano lentamente, sulla base di una strategia definita e consolidata, con una tattica sperimentata e, dunque, ripetitiva.

            Il tempo poi, per le organizzazioni terroristiche islamiche, che fuggono ai ritmi ossessivi e ossessionanti dell'informazione occidentale, è una variabile indipendente e autonoma, non corrispondente alle esigenze radio-televisive dentro e fuori dal web. I ritmi delle organizzazioni sono molto, ma molto, più lenti. E molto più conservatori. Per questo considero inutile (e inutilizzabile) tanta pubblicistica concentrata sulle innovazioni. Sarebbe molto più utile studiare le ricorrenze, le costanti, la continuità ripetitiva delle azioni che indicano una direzione, piuttosto che cercare una inesistente intuizione illuminante.

            Inoltre, quella pubblicistica è insignificante perché, sapere quanti sono i figli di Bin Laden, o la data di nascita di Al Zarqawi, o gli amori di Al Zawahiri, o gli umori di Al Baghdadi, è perfettamente privo di senso rispetto ad una organizzazione che è fatta essenzialmente di aspettative di ruolo e di funzioni, come ogni organizzazione politica o militare.  Quando si disattende una aspettativa di ruolo, non c’è leadership che tenga; come sa lo stesso Bin Laden che, quando ha voluto cambiare la connotazione di Al Qaeda – passando, a modello di tutti i terrorismi arabi, a movimento politico – è stato fatto eliminare dai suoi stessi protettori. A quel punto tutte le micro informazioni sulla vita e le opere scritte e, peggio ancora, riscritte centinaia di volte, sono risultate decisamente insignificanti e rapidamente scartate. Sarebbe stato meglio, per prevederne l’evoluzione, eliminare questo rumore di fondo dannoso e concentrarsi sulle costanti storiche, per capire che quasi sempre i movimenti politici arabi – siano islamici o no – sono nati come organizzazioni terroristiche e per stabilire il tasso di elasticità evolutive dei terrorismi religiosi. Argomento questo molto più significativo.

            Tuttavia, gli ultimi conflitti specialmente, e gli attentati ricorrenti in Egitto particolarmente, mi hanno convinto di un trend evolutivo molto forte, che a me appare decisamente evidente: il terrorismo non c’è più.

            Non esiste più in termini di categoria politica da qualche anno. Gli attentati a cui assistiamo, con una certa frequenza, sono attentati finalizzati:alla estensione del potere di influenza per ridefinire la morfologia e la legittimità delle relazioni politiche internazionali;agli esiti politico-elettorali interni alle nazioni, principalmente a quelle democratiche.           

            Il terrorismo rivendicativo e rivendicazionista che abbiamo conosciuto in tanti anni, non c’è più. Perfino i baschi dell’ETA riconsegnano letteralmente le armi. I terroristi non sono più militanti, sono militari di eserciti asimmetrici, costruiti per esigenze di legittimazione e ridefinizione degli equilibri della geopolitica globale.

            Il sospetto mi è venuto per ogni attentato in Egitto, puntualmente programmato ogni volta che la politica estera di quel paese si avvicinava all’Occidente, rompendo la continuità della Piattaforma Continentale di Nazionalità islamica. E mi si è rafforzato, ancor di più, con il bombardamento americano dell’aeroporto siriano, proprio perché impreciso, troppo impreciso, talmente impreciso da salvare le cose importanti e preziose: i nuovi aerei e le piste per il decollo. Piuttosto che un bombardamento mi è sembrata una strategia politica – e una tattica di accelerazione – finalizzata a realizzare un polo egemonico islamico-sunnita tra Siria-Iran per il controllo del continente arabo, ora che gli sciiti di Isis sono stati sostanzialmente debellati (magari vengono tenuti in vita proprio perché la loro minaccia rafforza le politiche di integrazione sunnita). Tutto questo sotto l’egida e l’influenza politica russa e il suo nuovo protagonismo mediterraneo dopo l’accesso definitivo ai mari caldi, con la conquista della Crimea e del Mar Nero. È come se Trump avesse pagato il prezzo dell’aiuto offerto alla sua elezione. La guerra al terrorismo e i diritti umani non c’entrano proprio niente.

            È una situazione che ben conosciamo e che in Italia abbiamo perfettamente vissuto alla fine degli anni ’70. Siamo stati talmente scossi dai terrorismi di vario colore e dallo Stato che metteva le bombe, da scandali e attentati, da assassinii e loro commemorazioni, da non accorgerci che il sequestro e la fredda esecuzione di Aldo Moro è stato in realtà un soft golpe (rispetto a quello di Pinochet in Cile) per evitare l’ingresso dei comunisti in un governo atlantico. Anche in quel caso, come oggi per Isis, le Brigate Rosse erano già finite ed opportunamente epurate, per trasformarle in strumento di un assetto politico controllato ed etero-diretto. Sebbene la situazione storica e territoriale sia decisamente diversa, la connotazione politica mi sembra identica.

            La lezione che possiamo trarne è che, sempre, nella sua fase decrescente, il terrorismo diventa strumento per inconfessati obiettivi del nemico che ha combattuto.

 

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