Era stata la Piave prima che Gabriele D’Annunzio, il vate, la mascolinizzasse, Plaba lat., Pal.aba in zumero-accado, vel Bal.aba in zumero stretto.
Baldenich, a comprova, è rimasto il quartiere del centro di Bel-lu-no. Un fiume straripante -ogni nove anni in media- prima che la Serenissima lo arginasse ben bene. Ora giace con le sue Grave quasi esangue. Ricorda, però, di essere un fiume torrentizio capace di improvvisi disastri, come quello del Vajont, quando gli uomini peccarono per insipienza, vollero costruire la diga che agevolò la caduta del monte Toc turbando l’eco-sistema. Ed il fiume scorse pieno di detriti di vite perdute.
Ed io lo vidi in piano dal ponte della Priula ed a monte passando il ponte di Fenèr: le file di cadaveri di vacche gonfie con le zampe ritte contro il cielo, quel pomeriggio in cui risalii il Fadalto, in bici con Radivo e Maino, miei compagni di liceo, a vedere il disastro. La sera prima, il Real Madrid trionfava mentre il monte franava.
Oggi, andrò con mia sorella Maria Luisa allo studio Maino di Bassano per fare i complimenti a Giovanna per il successo nel controllo delle apnee notturne causate dalla mia ronco-patia, vel russamento esagerato. Chi non sa che 140 apnee in una notte portano al rincretinimento, o all’ictus, non può capire come anche il mormorar dormendo può esser condizione limite del disastro. Ora ne ho 30, normali.
Io sto scrivendo in Zeneda, ‘immagineda (della) casa-e illuminataZen’.
Se non siete del luogo e venite, potrete entrare nell’anfiteatro morenico costruito dal ghiacciaio del Piave, che ora scende dal monte Peralba [per.ba.al!], riconoscere il colle bicima sul quale nel 1952 venne eretta una croce alta nove metri un po’ più in basso della ‘vetta’ (460 mt. sul mare), il colo maledicto dai primi cristiani locali che dannarono il culto del vitello d’oro che si celebrava nell’anfiteatro retro alla cima. Oggi, è parzialmente coperto da ramaglie perché il pascolo non è più curato.
Lassù, un po’ più ad occidente, portai Bruna in macchina e affondai nella melma-neve ad un centinaio di metri dalla casa della vecchietta saggia, che non sono più andato a visitare. Perché saggia? Perché voleva vivere e morire lassù, con la figlia ed il figlio che la visitavano una volta al mese. Suo marito era tornato dalla miniera per la pensione quella sera. Le aveva detto: -Cena, da domàn, mi e ti stèn qua insieme, come in Paradiso-. E la notte morì.
Rivolta alla tv accesa, si interruppe e disse: -Còssa corèo tànt! Vivè puito, sereni!-.
Maurizio, il compagno di Gisella, venne a disincagliarmi lavorando col suo pick-up, aiutato da quello di un amico, col figlio di mio cugino Ruggero, Riccardo, insieme. E tornò anche la sera, con la morosa ora sposa, per accertarsi che c’eravamo riusciti!
Auguri, Bruna!
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