Di fatto è stato "piegato" prevalentemente alle esigenze dell'industria dell'acciaio, obsoleta e non comperitiva. Per tali motivi, la priorità condivisa a parole da tutti, è stata quella di valorizzare il suo appeal per le navi commerciali, portacontainer di ultima generazione con un pescaggio maggiore. Ciò ha reso necessario alcuni lavori di adeguamento. L'ampliamento del nostro porto aveva come prospettiva l'assunzione di nuovo personale qualificato, in un contesto che puntava ad intercettare il traffico del canale di Suez.
Il risultato qual è stato? Gli appalti per ampliare il porto e per renderlo competitivo si sono sistematicamente impantanati nei ricorsi; gli accordi presi tra lo Stato italiano e le multinazionali che finora lo avevano utilizzato, Evergreen ed Hutchison, sono stati disattesi; il porto greco del Pireo è risultato più appetibile per tali compagnie. Da fonti interne, apprendiamo che i sindacati avrebbero chiesto un altro anno di Cassa integrazione ma che il sottosegretario De Vincenti avebbe già chiarito che ormai è inutile, in quanto l'azienda sta chiudendo.
La Grecia, un Paese in gravissima difficoltà economica, è riuscito a capire che il suo porto era prioritario; noi, che siamo tra i magnifici 8, no. Circa mille lavoratori, tra diretti e indiretti, rischiano di rimanere per strada, malgrado gli innumerevoli appelli, le solite promesse e le immancabili conferenze stampa. In compenso, la banchina torpediniere sita in Mar Piccolo, è stata acquisita dall'autorità portuale e diventerà uno scalo di grossi yacht, in barba al rilancio della mitilicoltura; il governo Renzi sforna decreti per salvare le banche creditrici dell'ILVA; le PMI locali o i loro dipendenti restano al margine.
Come Verdi Taranto esprimiamo la nostra vicinanza ai dipendenti della TCT e dell'indotto portuale e chiediamo, a coloro che possono, di agire per il rilancio del porto di Taranto e i livelli occupazionali.