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Venerdì, 30 Giugno 2017 00:00

Hong Kong, la città che cambia sempre e non dorme mai

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Fu la pioggia, una pioggia a dirotto che inzuppava folla e bandiere, l'elemento di colore scelto dall'inviato 'par excellence' Tiziano Terzani per raccontare la cerimonia del ritorno di Hong Kong alla Cina, dopo 156 anni di regime coloniale britannico.

Fu l'acqua l'elemento, perché per controcanto alla pioggia Terzani scelse, ma non era solo nota di colore, il dettaglio delle lacrime: rigavano le gote dell'ultimo governatore Chris Patten e testimoniarono la tristezza del principe Carlo, che con il primo ministro Tony Blair rappresentò l'inchino del Leone inglese al Drago orientale. 'Bandiera cinese su Hong Kong - Addio a Londra tra le lacrime' titolò il Corriere della Sera martedì 1 luglio 1997. Le prime pagine dei quotidiani italiani ospitavano quel giorno, oltre allo storico evento, notizie più vicine o più effimere: la fine dei lavori della Bicamerale, la vittoria dei socialisti in Albania e il pugile Mike Tyson che si scusava per aver morso un orecchio di Evander Holyfield sul ring.

Quali lacrime vent'anni dopo

Chissà se pioverà alla mezzanotte del primo luglio 2017, ma lacrime sicuramente ci saranno. Qualcuna di rabbia, come quelle dei manifestanti di 'Occupy Central' e del Movimento degli Ombrelli, che tennero per quasi 80 giorni le strade nell'autunno 2014, rivendicando una riforma elettorale negata da Pechino. Qualcuna dei democratici, come i due autonomisti eletti al parlamento locale e subito sospesi dalla funzione per un giuramento ritenuto offensivo da Pechino. Pure ci saranno le lacrime di chi, nato in epoca coloniale, ha rivalutato il passato solo dopo l'handover: naturale nostalgia di gioventù o di un tempo che, malgrado un dominio nato dalla Guerra dell'Oppio, garantiva libertà e certezze? Poi però ci saranno lacrime di gioia, quelle di chi col ritorno alla Cina ha riacquisito l'orgoglio di appartenere alla nazione che pretende da sempre, già nel nome, di essere il Centro del Mondo. E lacrime di esultanza: per chi plaude alla nuova chief executive, Carrie Lam, che giudica un successo i vent'anni scorsi all'insegna della formula "un Paese, due sistemi". C'è, a garantire questa formula (almeno sulla carta) per trent'anni ancora, la 'Basic Law' promulgata il 4 aprile 1990 a Pechino: 160 articoli più annessi, che hanno fatto dell'ex colonia una Regione amministrativa speciale della Cina.

La libertà non è di carta

Gli articoli dal 24 al 42 sono "aurei", perché garantiscono diritti e libertà fondamentali che nella madrepatria restano ancora difficili o lontani. I fatti ne hanno testimoniato la vigenza ma non l'intangibilità, perciò parecchi hongkonghesi sono poco confidenti in quell'articolo 27, per esempio, in cui sono sancite "la libertà di parola, di stampa e di pubblicazione; la libertà di associazione, di riunione, di corteo e di dimostrazione; il diritto e la libertà di costituire e associarsi a organizzazioni sindacali e di scioperare". Ci sono opposte tensioni che Hong Kong ha sempre sofferto, e che oggi come vent'anni fa rivela al mondo: all'Oriente e a un Occidente cui pure appartiene. La 'Basic Law' fu promulgata pochi mesi dopo i fatti di Tien'anmen, che minarono la fiducia in quel fatidico '97 cui mancavano poco più di sette anni. Chi poteva, si procurava un altro passaporto e mandava i figli all'estero. Quando il navigato leader conservatore Patten s'insediò come governatore, l'ultimo, lasciò un'eredità avvelenata ai cinesi: per la prima volta nella storia, a ottobre 1995, tutti i sessanta membri del 'Legco', il parlamentino, furono designati con libere elezioni. Fu un seme democratico con cui Pechino dovette subito fare i conti, ma che la Gran Bretagna piantò solamente mentre diceva addio alla colonia e la storica dicitura 'Royal', assieme alla testa di Elisabetta II, scompariva dalle monete, dal Jockey Club e dalla Hong Kong Police. Fu sostituita dalla bandiera rossa con il fiore bianco della bauhinia.

Una coppa di caffè e tè

Hong Kong vent'anni dopo ha uno skyline molto diverso. Non a cagione dell'handover, ma perché è Hong Kong, dove l'economia non dorme mai. I grattacieli più alti, quello dell'International Commerce Centre (484 metri) e dell'International Finance Centre (412 metri) sono stati costruiti negli anni Duemila, quasi a riconfermata fiducia nel futuro anche dopo il ritorno alla Repubblica Popolare. Le previsioni più nere si sono rivelate eccessi pessimisti; quelle più rosee, come accessi ottimistici. Non c'è mai una verità così netta e anche le opposizioni possono coesistere, come accade per la bevanda tipica locale. Si chiama 'Yuanyang' e mischia caldi o freddi - in una coppa sola - due gusti che si crederebbe assurdo sposare: caffè e tè inglese. Solo a Hong Kong potevano inventarla. Sono diverse e contrapposte le opinioni che si colgono alla vigilia del ventennale: "L'handover nel 1997 fu la più grande delusione nella nostra storia. Ma venti anni dopo l'handover, l'impatto reale di un trasferimento di sovranità e il dominio comunista sono ormai percepibili. Dall'impennata dei prezzi immobiliari agli attacchi flagranti alla libertà di espressione, come il rapimento dei cinque librai di Causeway Bay, quasi ogni aspetto del nostro modo di vivere soggiace alla minaccia", dice all'AGI uno dei più noti scrittori e blogger hongkonghesi, Jason Y. Ng, presidente del locale Pen Club: "Le crescenti frustrazioni e paure - aggiunge - hanno avvelenato le relazioni e polarizzato la società, culminando nella 'Rivoluzione degli Ombrelli' nel 2014. Queste paure e frustrazioni hanno anche generato voci più radicali, che rivendicano l'indipendenza e la separazione. Resta da vedere se le tensioni, fra Pechino e i movimenti locali che le si oppongono, registreranno una escalation o un allentamento, mentre l'orologio scandisce il conto alla rovescia verso il 2047", ossia l'anno in cui scadra' la 'Basic Law'.

Passaporti stranieri

Assai pessimista è Umberto Ansaldo, di origini italiane, che vive da molti anni nell'ex colonia e insegna Linguistica alla Hong Kong University: "Credo che vent'anni dopo Hong Kong sia più colonizzata di prima. I legislatori - racconta all'AGI - sono cialtroni che pretendono di essere comunisti, ma hanno passaporto, casa e figli in Canada, Gran Bretagna o Stati Uniti". Intanto da Pechino incombe il Partito, "che è l'incarnazione di tutto quanto è disumano, violento e dittatoriale". "Purtroppo la maggioranza degli abitanti hongkonghesi è povera, ineducata e senza speranze. Ma chi capisce e può, se ne scappa. Io stesso mi sto muovendo...". C'è stato, nel corso del ventennio 1997-2017, un punto di svolta nelle vicende locali? Ne è convinto Pete Spurrier, britannico innamorato di Hong Kong dove si stabili' fondando Blacksmith Books, oggi la più influente casa editrice in lingua inglese: "Posso dire che le cose cambiarono pochissimo per i primi quindici anni dopo il 1997 . Ma nel 2012 - racconta Spurrier all'AGI - ci sono stati mutamenti di vertice sia in Cina sia a Hong Kong, in cui hanno prevalso leader dalla linea dura come il presidente Xi Jinping e il chief executive hongkonghese CY Leung. Questi cambiamenti hanno fomentato le proteste 'degli Ombrelli' del 2014 e la tendenza localista-indipendentista che s'è diffusa tra i giovani. Infatti c'è chi definisce CY Leung il vero 'padre dell'indipendenza di Hong Kong', perché proprio la sua linea dura ha portato questa idea alla vita".

Una visita al ponte e le preghiere al tempo

C'è poi chi cambia opinione in un senso opposto. Jimmy Tsoi, pensionato dopo avere servito come interprete nell'amministrazione pubblica, spiega all'AGI perché sia diventato "nazionalista": "Sì, Hong Kong è cambiata in peggio negli ultimi venti anni, ma non per colpa della Cina, piuttosto per gli hongkonghesi stessi. La Cina ci ha lasciato un sacco di libertà, ma come risposta si è ritrovata le velleità degli indipendentisti. Assieme ai 'pan-democrats', hanno frenato ogni ulteriore sviluppo di Hong Kong. Come risultato, abbiamo ceduto il passo ad altre grandi metropoli cinesi, sia per le infrastrutture sia per le comunicazioni". Eppure il presidente della Repubblica popolare Xi Jinping, nel tour celebrativo del ventennale, visiterè il cantiere del maxi-ponte che collegherà Hong Kong con l'altra ex colonia, Macao, ripresa nel '99 dalla dominazione portoghese. E pure visiterà la linea ferroviaria ad alta velocità per Guangzhou (Canton), la metropoli capoluogo della provincia cantonese. Perché Hong Kong è Hong Kong e non si ferma mai mentre si contraddice, ed è per questo che oggi, come vent'anni fa, nelle congestionate strade della penisola di Kowloon il grande tempio taoista di Wong Tai Sin e quello piccolo però più antico di Tin Hau, la Regina del Cielo, sono ugualmente affollati da chi prega. Per un futuro migliore su cui aleggia, adesso come allora, sempre un punto interrogativo nella città che non dorme mai. 

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