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Mercoledì, 20 Dicembre 2017 12:15

Qual è lo stato di salute delle startup italiane? Numeri, fatturato e occupazione creata

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Le cifre della relazione annuale del ministero dello Sviluppo economico raccontano problemi e opportunità delle aziende innovative italiane 

 Aumentano il numero delle startup innovative italiane, i loro dipendenti e il valore della produzione. Le giovani imprese falliscono poco ma diventano grandi ancora meno: c'è un problema di dimensioni e di capacità di crescere. Che si intreccia con quello degli investimenti in venture capital, sempre più lontano dagli altri Paesi europei e con round maturi "inesistenti". La “Relazione annuale del Ministro al Parlamento sullo Startup Act italiano” fotografa un ecosistema numericamente in espansione, ma ancora alle prese con le zavorre che da tempo lo frenano. Prima tra tutte la loro capacità di attrarre investimenti nel capitale di rischio. 

Per quanto il registro speciale dedicato alle imprese innovative non rappresenti l'intero mondo delle startup italiane (per accedervi le società devono avere meno di 5 anni e un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro), rappresenta un termometro per cogliere alcune tendenze. Al 30 giugno 2017, le startup innovative erano 7.398. In un solo anno sonno aumentante di 1456 unità (+24,5%) e in due del 74%. Aggiornando il dato al 18 dicembre, le iscritte arrivano a 8315. In quattro casi su dieci, sono ben al di sotto dei limiti di anzianità perché fondate da non più di un anno e mezzo.

La geografia delle startup italiane è sempre più diffusa: ce n'è almeno una in 1.518 comuni italiani (su quasi 8.000) e in tutte le province del Paese. I grandi centri, però, fanno da poli. Soprattutto Milano, dove ce ne sono 1207, il 14% del totale e il 62% della Lombardia. Molte più di quante non ce ne siano nelle altre due regioni che compongono il podio: Emilia-Romagna (862) e Lazio (813).

Le startup innovative rappresentano però ancora una frazione ridotta delle società di capitali attive in Italia: sono pari allo 0,67%. L'incidenza è ben oltre la media ad Ascoli Piceno e Trieste (1,88%). Tra le grandi province, Milano supera la media nazionale (1%, al decimo posto), mentre Roma è al di sotto (0,41%, al 71esimo).

Quanto lavoro creano le startup?

Le 7.398 startup hanno dato lavoro a 34.120 persone, con 23.858 fondatori e 10.262 dipendenti. Dati a due facce. Quello migliore ci dice che il numero dei dipendenti è più che raddoppiato in due anni. Il fatto però che ci siano ancora molti più fondatori che dipendenti ci racconta un sistema ancora pulviscolare, che vive soprattutto di risorse (umane) proprie.

Si tratta però di imprese giovani fondate da giovani (o almeno tali se confrontate con la media nazionale): il 21,5% delle startup ha in maggioranza soci under 35, percentuale più che tripla rispetto alle altre società di capitali. Solo uno su cinque è donna. E solo il 15% delle startup innovative è partecipato in maggioranza da donne.

Le società, com'è normale che sia, sono piccole. Forse, però, troppo. Secondo i bilanci 2016, le iscritte al registro hanno prodotto beni e servizi per 773 milioni di euro (si arriva a 2 miliardi allargando alle Pmi innovative). Anche qui, è un dato bifronte: da una parte si apprezza la crescita, del 32% rispetto all'anno precedente. A fine 2016, le iscritte nel 2015 hanno in media raddoppiato la propria produzione in un anno, quelle iscritte nel 2014 l’hanno triplicata in due anni e tra le iscritte nel 2013 una su dieci ha un fatturato oltre i 500.000 euro.

Cosa sono le startup in Italia?

Dall'altra parte, però, c'è un dato medio di 164.000 euro. Le startup sono spesso poco più di un'idea. Che però, sotto la tutela del registro speciale, ha il tempo di consolidarsi: tra le iscritte nel 2013, solo una startup su dieci è fallita. Il tasso di sopravvivenza è quindi molto elevato. Merito di un insieme di agevolazioni: esonero dai costi camerali, dilazione dei termini per il ripianamento del capitale sociale in caso di perdita, disapplicazione della fiscalità sulle società di comodo e in perdita sistematica.

La relazione passa in rassegna i risultati di alcuni strumenti previsti per agevolare l'ecosistema. L'Italia Smart Visa, che permette di avere un visto in modo più agevole per gli imprenditori extra Ue che vogliano fare startup in Italia, ha ricevuto fino a ora 310 candidature, provenienti soprattutto da Cina e Russia. Nel 2017 sono state 149 candidature, 50 in più rispetto al 2016. Sono prevalentemente fondatori seriali di startup, manager, ingegneri e informatici dipendenti di grandi aziende e studenti.

Il fondo di garanzia, le agevolazioni per le società

Da settembre 2013, le startup innovative possono ottenere una garanzia sul credito bancario da parte del Fondo di Garanzia per le PMI, che copre fino all’80% di ciascuna operazione, per un massimo di 2,5 milioni di euro. A quattro anni dall’entrata in vigore, sono stati erogati finanziamenti per di 573 milioni di euro, destinati a 1661 startup e Pmi innovative.

Gli incentivi per gli investimenti in equity hanno animato il panorama italiano: nel 2015 (l'ultimo dato disponibile) più di 82 milioni di euro sono stati coperti dall’incentivo. Una fetta notevole dei circa 100 milioni in ventura capital registrati quell'anno. 666 startup hanno ricevuto almeno un investimento da 2.703 investitori (+61,6%), per un beneficio fiscale complessivo di 11,6 milioni di euro.

Neppure gli incentivi, però, sono riusciti a spingere il venture capital italiano. Come riconosce lo stesso rapporto, “il capitale di rischio in Italia continua a crescere, nel 2017 soprattutto grazie alla crescita degli investimenti dall’estero che superano quelli nazionali. Ma negli altri Paesi europei la crescita è stata molto più significativa e, con il passare degli anni, il gap continua ad allargarsi”.

Una distanza che non si amplia tanto nel comparto “seed” (cioè tra le startup ai primissimi passi) ma nei finanziamenti di taglio maggiore, diretti a imprese che hanno raggiunto uno stadio di sviluppo successivo. Manca la cosiddetta fase di scale-up, di crescita su più ampia scala. “I round di serie B-C e successivi sono pressoché inesistenti in Italia, sia per numero che per ammontare investito”. (agi paolo fiore)

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