Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero;
ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia.
Un ospite di passaggio arrivò dall'uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò via la pecora di quell'uomo povero e ne preparò una vivanda per l'ospite venuto da lui".
Allora l'ira di Davide si scatenò contro quell'uomo e disse a Natan: "Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte.
Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà".
Allora Natan disse a Davide: "Tu sei quell'uomo! Così dice il Signore, Dio d'Israele: Io ti ho unto re d'Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul,
Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l'Hittita.
Così dice il Signore: Ecco io sto per suscitare contro di te la sventura dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un tuo parente stretto, che si unirà a loro alla luce di questo sole;
poiché tu l'hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole".
Allora Davide disse a Natan: "Ho peccato contro il Signore!". Natan rispose a Davide: "Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai.
Tuttavia, poiché in questa cosa tu hai insultato il Signore (l'insulto sia sui nemici suoi), il figlio che ti è nato dovrà morire". Natan tornò a casa.
Il Signore dunque colpì il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide ed esso si ammalò gravemente.
Davide allora fece suppliche a Dio per il bambino e digiunò e rientrando passava la notte coricato per terra.
Gli anziani della sua casa insistevano presso di lui perché si alzasse da terra; ma egli non volle e rifiutò di prendere cibo con loro. Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 4,35-41.
In quel medesimo giorno, verso sera, disse Gesù ai suoi discepoli: «Passiamo all'altra riva».
E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui.
Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena.
Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?».
Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia.
Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?
Nel giorno in cui Gesù spiegava le parabole disse ai suoi discepoli: -Passiamo sull’altra riva-. È il passo più importante! Aveva spiegato la parola come similitudine al fine di persuadere alla ricerca del regno di Dio, che è pieno nell’altro mondo, ma comincia ad attuarsi qua in Terra.
Il –passiamo sull’altra riva- è la conferma dell’invito fondamentale a lasciare questa riva, di perdizione, per entrare in quella di salvezza.
Il passaggio fatto con Gesù è possibile ed è l’unico sicuro. Nella sua barca si attraversano le tempeste della vita che, piccole o grandi, sono inevitabili proprio come il bel tempo è solo una delle tre manifestazioni meteorologiche, ed il tempo favorevole una delle temporanee situazioni vitali. Ci sono le avversità, il cattivo tempo e la tempesta. Gesù placa la tempesta. I seguaci sono scossi dal miracolo e si domandano chi sia colui che si fa obbedire dal vento e dal mare.