ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Martedì, 06 Marzo 2018 02:49

Renzi si dimette con stile renziano, secondo Mentana raddoppia il conto

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La cronaca delle dimissioni, peraltro secondo molti osservatori dovute - visto il tracollo in una percentuale mai vista, a un punto dalla Lega di Salvini - e della cui cronaca potete leggere nell'articolo di ieri sera, può far riflettere su alcune sfumature, ben messe in risalto da Mentana nella sua lunga e stakanovista maratona televisiva.

Il conduttore de La7, subito dopo le dichiarazioni delle 17,00 di ieri pomeriggio, coglie un'aspetto sul quale concordiamo: Renzi si dimette ma blinda l'intera linea, lo fa in differita, mantenendo la guida della trattativa con il Colle, al quale manda un messaggio chiaro sulla indisponibilità a qualsiasi alleanza, anche solo di scopo, con le forze "antististema" e lancia anche un messaggio chiaro  - niente inciuci -  all'interno del partito, dove pure era balzata l'idea di una possibile intesa con il mondo pentastellato, che pure raccoglie una buona fetta di voti di elettori collocati mentalmente a sinistra, per creare un argine allo tzunami della destra e al ritorno di Berlusconi. I democratici riflettano!

L'idea di una collocazione all'opposizione ci sta, nella storia dell'alternanza che è una regola normale in politica, ma in una situazione di ingovernabilità le rigidità hanno un'altro segno dichiararsi fuori e sfasciare il partito che, com'è si è visto e in fribillazione. Poi c'è questa gatta da pelare con Matterella, al quale Renzi non perdona di non aver voluto votare nel 2017 e poi c'è la scabrosa vicenda di Bankitalia che ha visto Mattarella irremovibile sulla richiesta di dimissioni di Visco. Per Repubblica si tratta di un passo indietro congelato, eh sì,  perchè avverrà quando ci sarà un governo che in queste situazioni potrà durare moltissimo tempo. Insomma il partito democratico meriterebbe di meglio.

Questo in una situazione in cui va fatta una riflessione che parte da una domanda: perchè il M5S non ha lo stesso risultato a livello regionale? Le due regioni di ieri, una,  la Lombardia di Maroni, è tornata a guida leghista, e l'altra il Lazio a guida centro sinistra con Zingaretti, riconfermato. Perchè sull'istituzione locale il parametro è più valutabile dal cittadino, mentre a livello nazionale la crisi della politica nasce da più lontano, dal vedere le stesse persone da troppo tempo nello stesso posto di potere. Altra visione politica di Al Gore che nel suo ultimo film la Scomoda Verità2 parlando del suo impegno politico istituzionale lo definisce una piccola parentesi - peraltro dolorosa - mentre il fare politico nella vita è di tutt'altro spessore. Il voto al M5S va compreso, non è più solo, come si pensava, un voto di protesta, è un segnale di una parte dell'elettorato che prima votava partito comunista o democrazia cristiana, che non trova idealità, bensì bugie, meschinità, nei partiti tradizionali e soprattutto nel partito democratico, mentre dall'altra parte una forza politica che porta nel parlamento più di 300 parlamentari, rende questo segnale troppo forte, come si fa a non vederlo. Al di là di alcune perplessità sulla forma movimento e non partito, il sistema che molti cittadini premiano e che vorrebbero che tutti i partiti lo facessero, una volta per tutte,  e quello di non occupare lo scranno per più di due mandati, eliminare i privilegi eccessivi per il ruolo politico - non siamo più nel povero dopoguerra - eliminare le mele marce - e qui in verità occorrerebbe una legge sui partiti (art49 della costituzione) e via dicendo. 

Tornando al partito democratico non vorremmo che la rigidità in un momento di stallo voglia essere una sorta di lasciare sbattere gli altri e soprattutto il partito di Di Maio e Grillo per rendere impossibile alcun ruolo anche se la loro base accettasse - con un referendum interno -  un'alleanza su alcuni temi cardine. 

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