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Lunedì, 10 Settembre 2018 06:50

Un utile retroscena sulla furiosa litigata di Serena Williams con l'arbitro agli Us Open

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Accusata di 'coaching' durante la finale persa nella notte di sabato con la giapponese Osaka, la tennista americana ha accusato il giudice di sedia di sessismo. Uno scontro che passerà alla storia. E che ha diversi precedenti. sempre con arbitri portoghesi

 Voleva vomitargli addosso: “Portoghese di…”, aggiungendoci qualche colorito sostantivo che ha imparato da bambina a Compton, nel ghetto nero di Los Angeles, prima di diventare Mrs Williams, la più vincente, famosa e pagata atleta della storia. Voleva magari tirarlo giù dal seggiolone dell’arbitro e picchiarlo selvaggiamente. Come si leggeva chiaramente nello sguardo preoccupato e sconcertato della sorellona Venus che l’osservava in tribuna, scuotendo la testa, come chissà quante altre volte ancora davanti alle sfuriate della sorellina viziata e un po’ violenta. Invece Serena Williams, in una delle sue ricorrenti notti di follia agli Us Open, ha detto “Sessista” all’arbitro e ha continuato a mascherarsi dietro questa parola che negli Stati Uniti è come una “fatwa”.

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Mai accusa, in verità, fu più vacua anche in uno dei paesi più femministi e in un torneo come gli Us Open che ha varato - fra mille polemiche - gli stessi premi per uomini e donne. Sessista all’arbitro da parte dell’eroina dell’universo afroamericano, l’esempio delle teenagers e, da un anno in qua, anche delle neo mamme, ha un peso specifico importante. Che Serena ha sostenuto anche dopo, davanti ai microfoni e alle telecamere di tutto il mondo, ricordando molto lo sfogo, comprensibile, ma eccessivo di Gigi Buffon dopo il rigore subito contro il Real. 

Sessista all’arbitro che le ha comminato un’ammonizione per “coaching”, perché ha ricevuto un aiutino dall’allenatore in tribuna per uscire dai guai contro un’avversaria molto più giovane, scattante, determinata e fredda che la stava battendo, e l’ha battuta, legittimamente, nella finale di New York. Nella seconda finale consecutiva di uno Slam, allontanando l’aggancio al record assoluto di Majors di Margaret Smith Court a quota 24.

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Il mondo del web si scandalizza e si schiera in parte contro il cattivaccio che ha fatto piangere la povera Serena e ha rovinato la finale. Balle! Gli spogliatoi e chi conosce Serena, Ramos e la storia del tennis hanno sorriso bonari. Senza peraltro sottovalutare la gravità del gesto. Perché Carlos non è il ruvido e “cattivo” stopper Sergio Ramos del Madrid, ma un brav’uomo che fa diligentemente, da 40 anni, il suo lavoro. Ha sempre una parola buona e una spiegazione per tutti, è dimesso, non cerca la ribalta, è un ottimo funzionario che si mette volentieri da parte quando occorre.

Ma come avreste reagito voi se vi avessero dato pubblicamente del ladro? Non credo che anche negli Stati Uniti conoscano il luogo comune sui portoghesi che si avvantaggiano al massimo delle situazioni e magari entrino di soppiatto allo stadio senza pagare il biglietto. Sappiamo però che le Williams hanno dei precedenti con gli arbitri portoghesi. Quindi, non solo con Ramos, e non una volta sola con Ramos.

E che cosa direste se vi dicessimo che il problema è nato addirittura con una donna sul seggiolone, smontando ulteriormente l’accusa di sessismo di Serena? Se vi dicessimo che quel “Mi devi chiedere scusa” urlato dalla regina senza corona del tennis nasce dalle scuse ufficiali che la minore delle famose sorelle Williams aveva ricevuto per gli errori di un altro arbitro portoghese sempre agli Us Open?

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Il famoso precedente si è verificato nei quarti di Flushing Meadows, l’8 settembre 2004, quando l’arbitro portoghese Mariana Alves effettuò cinque chiamate, cinque, tutte negative, contro Serena Williams, una in particolare con un clamoroso over-rule, negando il vincente a un rovescio dell’afroamericana nel delicatissimo primo game del terzo set contro Jennifer Capriati. Serena perse il derby in un momento molto delicato della carriera (dopo un’operazione al ginocchio,  con le sorellone che quell’anno, per la prima volta dal 1998, non si aggiudicarono alcuno Slam di famiglia), papà Richard parlò apertamente di “problemi dell’arbitro portoghese con i Williams”, il torneo sospese la Alves per le ultime partite e si scusò poi ufficialmente con Serena, varando dall’anno successivo il famoso Hawk-Eye, la moviola che poi anche il calcio ha copiato dal tennis. Pochi sottolinearono che Serena aveva parlato apertamente di “essere stata ingannata e derubata”, accusando l’arbitro di “essere diventata temporaneamente folle”, decretando la sua condanna: “preferisco non averla più come arbitro, è anti-Serena”.

Anche se poi l’arbitro era talmente bravo che ha diretto tutti i tornei dello Slam e, a Wimbledon 2010, anche quello di Wimbledon vinto da Serena contro Zvonareva.

Volendo ricordare un altro precedente spinoso, al Roland Garros 2016, Carlos Ramos aveva ammonito Venus Williams sempre per coaching e anche quella aveva molto protestato, in modo comunque più composto della sorella: “A 36 anni, non ero mai incorsa in una simile infrazione. Io gioco corretto, con onestà, né direi a qualcuno di farlo”. Ma il fatto resta, e riaffiora nel momento della clamorosa scenata di Serena agli Us Open 2018. Che, comunque, si porta dietro la famosa minaccia al giudice di sedia, sempre degli Us Open, del 2009, che aveva osato chiamarle un fallo di piede mentre soffriva contro la neomamma Kim Clijisters: “Questa palla te la caccio in gola e te la faccio ingoiare”. Allora le scuse furono di Serena, non immediate, perché gliele dovettero estirpare con forza dalle labbra. 

Quel giudice di linea non era portoghese: Shino Tsurubuchi è giapponese proprio come Naomi Osaka, il sole nascente del tennis mondiale che ha fatto perdere la testa alla grande Williams, troppo viziata dalle avversarie a lasciarle libero il tappeto rosso. Altro che sessismo. (agi Vincenzo Martucci)

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