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Domenica, 24 Febbraio 2019 09:00

Dai pizzini letti e bruciati alla super app cifrata, così comunicano i boss mafiosi

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La caccia a Matteo Messina Denaro si svolge anche sulla Rete e sui social. Gli agenti dell'intelligence anti-cosche cercano di decifrare le conversazioni che potrebbero condurli al covo del re di Castelvetrano

 Le nuove tecnologie a uso e consumo delle vecchie famiglie mafiose. Comunicazioni sempre più impalpabili e difficili da tracciare creando una caccia all'ultima chat. A partire da alcune app impossibili da penetrare. Anche per questo i linguaggi di criptazione sono diventati l'ultimo baluardo perfino della latitanza di Matteo Messina Denaro, capomafia originario di Castelvetrano (Trapani) in fuga dal 1993.

Una fuga iniziata 26 anni fa, negli anni in cui gli uomini della Catturandi di Palermo cercavano di adeguarsi allo switch dai telefoni Tacs (Total access communication system) a quelli Gsm. “Fu dura, poi su indicazione di un tecnico lavorammo sul Timing Advance, un dato che ci dava la distanza in metri del cellulare rispetto alla cella a cui è agganciato”, racconta Claudio Sanfilippo, adesso questore di Trapani ma per anni alla Squadra Mobile di Palermo.

Pizzini letti e bruciati

Adesso i sistemi di trasmissione sono cambiati ma continuano ad amalgamarsi con i vecchi metodi ormai radicati nella mafia siciliana. A partire dai pizzini, un metodo rodato, più volte finito nel radar delle indagini. Almeno dal 1998 – anno in cui il padre Francesco morì in latitanza - Matteo Messina Denaro ha utilizzato un flusso di pizzini regolare. Pezzettini di carta piegati ripetutamente e poi avvolti nello scotch.

Una volta ricevuti e letti, il diktat è quello di bruciarli, anni fa però la Squadra Mobile di Trapani recuperò i resti di alcuni pizzini strappati all'interno di un tombino. Reti consolidate, tanto che uno dei pizzinari dell'epoca, recentemente è finito ancora una volta in galera per aver messo su un'altra rete di transito e smistamento di messaggi provenienti dal boss.

iPhone impenetrabili

È frequente l'utilizzo dei servizi Gmail e Google Drive, anche perché la società di Mountain View raramente permette l'accesso dei magistrati ai server. Dal gennaio 2018 però gli investigatori possono utilizzare i Trojan (cavalli di Troia informatici) che servono a introdursi nei dispostivi ma sugli smartphone Apple raramente attecchiscono.

Gli Iphone sono difficili da penetrare anche a causa de frequenti aggiornamenti che destabilizzano ogni tentativo di intrusione. Basti pensare che negli anni la Dda di Palermo ha sequestrato decine di dispositivi, mai ispezionati e tuttora negli armadi della Procura. Recentemente la Cellebrite, un azienda israeliana specializzata in informatica forense, ha scoperto un metodo. “Ma bisogna fare numerosi tentativi e ognuno di questi costa 3000 euro”, racconta un investigatore.

Di certo la nuova frontiera della comunicazione sono ovviamente le app di ultima generazione. I complici del boss sono degli habitue' di chat e telefonate riservate su Skype, Whatsapp, Facebook, Telegram e perfino Signal, così come i trafficanti di esseri umani che lucrano sulla fuga dei migranti.

Una nuova app cifrata

Però nel blitz Mafiabet condotto dai carabinieri con il coordinamento della Dda di Palermo è emerso l'utilizzo di un nuovo software per smartphone e tablet. Si tratta di “Threema”, un applicazione “caratterizzata da un livello di cifratura molto elevato e dal totale anonimato in quanto, in sede di attivazione, non viene richiesto di comunicare né un numero di telefono né un indirizzo e-mail”. Si trova su tutti gli App Store a un costo di 2,99 euro e si basa sulla cifratura end-to-end e nel 2014 ebbe un boom di nuovi iscritti in fuga dopo l'acquisizione di Whatsapp da parte di Facebook. Le chat si basano su un Id generato in modo casuale, da fornire ai contatti con cui si vuole iniziare una conversazione.

A usarla era Calogero “John” Luppino, imprenditore nel settore delle scommesse online proiettato sul mercato internazionale, “accortissimo nella scelta dei mezzi di comunicazione”, più volte intercettato mentre tentava di bonificare l'ufficio e la sua auto da microspie delle forze dell'ordine.

La comunicazione è lo snodo centrale delle indagini sul latitante e alcuni anni fa alcuni dettagli li aveva raccontati l'architetto Giuseppe Tuzzolino, collaboratore di giustizia poi arrestato, condannato e velocemente espulso dal sistema di protezione riservato ai pentiti. Tra le varie cose aveva raccontato che Messina Denaro era in contatto via Voip con un altro capomafia, utilizzando un cellulare dal nome “Vertu”, prezzato 4 mila ero e non intercettabile. L'azienda britannica è fallita nel 2017 ma molte aziende hanno provato a commercializzare cellulari difficili da tracciare.

Le chat su Facebook

L'intelligence però da anni cerca di scardinare l'impenetrabilità delle conversazioni criptate. Facebook alcuni anni fa mise i server a disposizione dei magistrati palermitani. Nel frattempo profili e chat erano state però cancellate da alcuni utenti sensibili. Certo è che nel 2013 la sorella Patrizia in pochi giorni ebbe una risposta dal fratello e “in quei giorni non si è mossa da Castelvetrano e dunque l'incontro è avvenuto o fisicamente o attraverso le moderne tecnologie, ma sicuramente non attraverso pizzini”. Stessa cosa per Rosario Allegra, cognato del boss arrestato nell'operazione Anno Zero e da allora in carcere. Per i magistrati l'uomo era “in possesso di canali di comunicazione con il latitante che, nonostante le lunghe e complesse attività investigative espletate nel corso degli ultimi anni sono allo stato ancora ignoti”. (agi Marco Bova)

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