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Domenica, 13 Settembre 2015 10:06

Clima – Si va verso l’abolizione delle fonti fossili, ma ci ancora resistenze su carbone e trivelle

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Tre segnali confortanti arrivano dalla lotta al riscaldamento globale. Il Fondo d’investimento norvegese, che amministra 900 mld di dollari ha eliminato dal suo portafoglio, investimenti in aziende legate al carbone.

L’altro segnale proviene dalla francese Axa, una compagnia di assicurazione, che opera a livello mondiale, che ha deliberato di disinvestire nel carbone e triplicare gli investimenti nelle rinnovabili. Infine centinaia di università degli USA, a fianco di quella di Harward e di quella di Glasgow hanno lanciato il Divest Fossil un movimento, per il disinvestimento nei combustibili fossili.

Il giornale britannico Guardian ha lanciato nel mese di marzo il’Keep it in the Ground' la campagna, per cedere le partecipazioni in aziende legate ai combustibili fossili. Questi episodi generano un poco di ottimismo, che riscatta il fallimento del Protocollo di Kjoto, che chiedeva il taglio globale delle emissioni del 5% rispetto alle emissioni del 1990 e ci troviamo, invece oggi con un aumento del 56% rispetto al 1990.  Sappiamo che nei prossimi 35 anni le emissioni dovrebbero essere tagliate del 40%, rispetto a quelle del 1990 per evitare un incremento di temperatura media del pianeta superiore ai 2 gradi.

L’Unione Europea ha stabilito un obiettivo vincolante un taglio delle emissioni del 40%, rispetto a quelle registrate nel 1990. Questi i dati relativi agli impegni, ma ci sono altri due dati sui quali i responsabili degli Stati dovrebbero riflettere e assumere conseguenti decisioni.

A maggio scorso il Mauna Loa Observatory delle Isole Hawaii, che registra quotidianamente i dati delle concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera ha registrato 403 ppm.  Concentrazioni che sono le più alte di quelle registrate negli ultimi 800 mila anni e risultate dall’analisi delle bolle d’aria contenute nei carotaggi dei ghiacci antartici. La concentrazione era di 200 ppm durante il periodo glaciale, 280 ppm nel 1750 a inizio della rivoluzione industriale, 400 ppm nel 2013.

Secondo gli scienziati di IPCC il limite da non oltrepassare di concentrazione è di 450 ppm, cui corrispondono impatti gestibili. A opinione invece di altri autorevoli scienziati e tra questi uno dei massimi climatologi mondiali Jim Hansen, che è stato anche direttore dell’ufficio studi della NASA, il limite di concentrazione da non oltrepassare è di 350 ppm. Uno degli effetti misurabile e misurato del riscaldamento globale è la riduzione della superficie dei ghiacciai italiani, che negli ultimi trenta anni si è ridotta del 40%, da 609 Kmq a 368. 

Il dato risulta nel Catasto dei ghiacciai italiana e la verifica è stata fatta dal Comitato Glaciologico italiano, in collaborazione con Ev-K2-CNR. Uno degli effetti poco trattato e prodotto dall’aumento di anidride carbonica è il processo di acidificazione degli oceani. Una parte considerevole delle emissioni di anidride carbonica viene catturata dagli oceani e, questo altera la chimica del mare con notevoli conseguenze. La quantità di anidride carbonica assorbita dagli oceani e dalla vegetazione terrestre è di circa il 60%.  Applicando una specifica tecnica chiamata di Gruber ai dati di due progetti “JGOFS” e “WOCE” è stato possibile verificare che la metà dell’anidride carbonica rilasciata dalla combustione delle fonti fossili dalla Rivoluzione Industriale è stata assorbita dagli oceani.

Un tipo abbondante di forma di vita negli oceani è una specie di fitoplacton chiamato coccolitoforidi, che insieme agli organismi planctonici e alle piccole lumache marine tutti organismi, che rappresentano un’importante fonte di cibo sia per i pesci sia per i mammiferi marini potrebbero essere colpiti dall’acidificazione degli oceani. Altra preoccupazione è nei confronti dei coralli, che si nutrono filtrando il plancton dell’acqua e generando scheletri (carbonati di calcio). In questo modo si formano i banchi di corallo e le alghe coralline.

Un esempio è rappresentato dalla Grande Barriera corallina della costa oceanica. Il pericolo dell’acidificazione degli oceani è rappresentato dalla possibile disintegrazione dei gusci di molti organismi marini e delle barriere di corallo. Insomma fitoplacton e zooplacton calcareo, e altri organismi dell’ecosistema marino, che rappresentano un anello importante della catena alimentare degli oceani e che sono il cibo di pesci, balene e uccelli marini potrebbero subire effetti devastanti dal fenomeno dell’acidificazione.

 Lo ribadiamo fino alla nausea: la Cop 2 di Parigi del prossimo dicembre è importante ma lo è ancor più la consapevolezza della situazione da parte dei cittadini. Tutto questo a noi italiani ci preoccupa molto considerate le scelte fatte dagli ultimi governi di penalizzazione delle fonti alternative a quelle fossili e dalla possibilità di trivellare i mari per la ricerca di combustibili fossili dei quali si chiede il superamento anche se realisticamente l’obiettivo è ambizioso e non di facile raggiungimento

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