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Domenica, 20 Settembre 2020 16:47

Amministrative e referendum, l'Italia torna al voto, alle 12 affluenza al 12,25%

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Elettori alle urne per referendum, regionali (Valle d'Aosta, Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia), amministrative e suppletive. Seggi aperti oggi dalle 7 alle 23 e domani fino alle 15. Mascherina e distanza: le norme anti-Covid per i seggi. Crolla l'affluenza in Sardegna e Sicilia. Il premier ha votato a Roma: 'Ho votato in scienza e coscienza'.Il Viminale: regolare apertura dei seggi. Si vota dalle 7 alle 23, lunedì dalle 7 alle 15. Alla chiusura dei seggi seguiranno gli scrutini delle suppletive, del referendum e delle regionali. Gli scrutini delle amministrative cominceranno alle ore 9 di martedì.

Si sono aperti alle 7 i seggi per le consultazioni elettorali di oggi e domani. Si vota per il Referendum costituzionale, le Suppletive del Senato, le Regionali e le Amministrative.

"A noi è stata segnalata dalle prefetture la regolare istituzione di tutti i seggi in tutta Italia". Così - intervistata su Rainews 24 - il prefetto Caterina D'Amato, direttore centrale dei servizi elettorali del ministero dell'Interno. "Ci sono state certamente - ha aggiunto - delle criticità che sono state superate grazie al lavoro encomiabile dei sindaci e degli uffici comunali cui compete l'organizzazione dei seggi".

Alle ore 12 l'affluenza per il referendum costituzionale è del 12,25%%. Lo si rileva dal sito del ministero dell'Interno. Il dato riguarda tutti i 7.903 Comuni coinvolti. Si vota oggi fino alle 23 e domani fino alle 15. Crolla l'affluenza in Sardegna per il referendum costituzionale: alle 12 ha votato il 7,7 %. Lo rileva il sito del ministero dell'Interno. Si tratta di uno dei dati più bassi tra le Regioni italiane: peggio solo la Sicilia con una percentuale che supera di poco il 6,4%. Sul portale ministeriale non compare ancora nessuna rilevazione relativa all'affluenza per le suppletive del Senato per il collegio di Sassari.

"Ogni votazione è espressione di una partecipazione democratica. C'è sempre l'auspicio che ci sia la partecipazione dei cittadini. Io ho votato in scienza e coscienza", ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dopo aver votato in un seggio al centro di Roma verso l'ora di pranzo. E' giunto da solo a piedi al seggio. Ha salutato i cronisti che lo attendevano all'entrata ed è entrato nella scuola. Al seggio ha salutato il presidente, gli scrutatori e la piccola folla di fotografi che lo attendevano. Quindi, è andato via sempre a piedi.

Per il Referendum sono chiamati alle urne 46.415.806 elettori, in un totale di 61.622 sezioni. Per le Suppletive del Senato gli aventi diritto al voto sono 427.824 per la Sardegna (Collegio uninominale 03 Sassari) in 581 sezioni e 326.475 per il Veneto (Collegio uninominale 09 Villafranca di Verona) in 393 sezioni.

Le elezioni regionali (in Valle d'Aosta, Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia) interesseranno 18.471.692 elettori e un totale di 22.061 sezioni.

Le Amministrative si svolgeranno, invece, in 957 comuni, di cui 608 nelle regioni a statuto ordinario e 349 nelle regioni a statuto speciale: per un totale di 5.703.817 elettori alle urne e 6.756 sezioni.

Oggi i seggi saranno aperti fino alle 23, lunedì dalle 7 alle 15. Alla chiusura dei seggi seguiranno gli scrutini delle suppletive, del referendum e delle regionali. Gli scrutini delle elezioni amministrative cominceranno alle ore 9 di martedì 22 settembre.

Il quesito del referendum sul taglio del parlamentari

Gli elettori saranno chiamati ad esprimersi sulla riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. Urne aperte dalle 7 alle 23 di domenica 20 settembre e dalle 7 alle 15 di lunedì 21.

Il quesito sulla scheda 

"Approvate il testo della legge costituzionale concernente 'Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari', approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?".

È questo il quesito che i cittadini troveranno sulla scheda referendaria. Votando Sì si conferma la riforma costituzionale e, quindi, in caso di vittoria dei Sì, il taglio del numero dei deputati e dei senatori verrà promulgato ed entrerà in vigore. Votando No, invece, si 'boccia' la riforma: in caso di vittoria dei No, dunque, resta lo status quo, senza alcun taglio degli eletti.

Gli effetti del sì e del no

Se al referendum dovessero prevalere i Sì il Parlamento sarà così ridisegnato: gli eletti totali scendono a 600. I senatori sarebbero 200 complessivi, mentre i deputati scenderebbero a 400. Se, invece, dovessero vincere i No, non si avrebbe alcuna modifica dell'attuale assetto: gli eletti complessivi resterebbero 945: 315 senatori e 630 deputati.

Lo scrutinio

Il referendum confermativo, per essere valido, non necessita di un quorum. La riforma costituzionale sarà confermata e, quindi, entrerà in vigore se vincono i Sì, anche di un solo voto. La riforma sarà bocciata, invece, se a prevalere, anche di un solo voto, saranno i No.

Domenica e lunedì si voterà anche per il rinnovo di sette Regioni (Valle d'Aosta, Liguria, Veneto, Marche, Toscana, Puglia e Campania), per oltre mille comuni e per le suppletive di Camera e Senato. Gli scrutini saranno 'scaglionati': le prime schede che saranno scrutinate sono quelle delle Elezioni suppletive di Camera e Senato, il cui spoglio inizierà lunedì subito dopo la chiusura dei seggi.Si prosegue con lo scrutinio del referendum costituzionale e successivamente, senza interruzione, si terrà lo scrutinio delle Regionali. Lo scrutinio delle comunali, invece, viene rinviato alle ore 9 del martedì.  

Il via libera del Parlamento

La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari, cavallo di battaglia del Movimento 5 stelle, è stata votata in parlamento in modo differente a seconda delle maggioranze al governo. Significativo il voto finale, che si è svolto alla Camera ad ottobre dello scorso anno, a stretto giro dalla nascita del governo Conte II e con una nuova maggioranza a sostenere l'esecutivo. A differenza di quanto avvenuto nelle precedenti votazioni il Pd, che aveva sempre votato contro, ha votato sì. Il via libera è avvenuto a con una ampissima maggioranza: 553 voti favorevoli, solo 14 contrari e 2 astenuti. Hanno votato a favore tutti i partiti, sia di maggioranza che il centrodestra, all'opposizione. Tra i 14 contrari figurano i deputati del gruppo Misto (13) e 1 deputato di Forza Italia. Nel Pd un astenuto.

Da 945 a 600 parlamentari, taglio del 36,5% degli eletti  

Dagli attuali 945 ai futuri 600 parlamentari. Una 'sforbiciata' degli eletti complessivi pari al 36,5% che, stando ai detrattori della riforma, porterebbe a una riduzione dei costi dello 0,007%. Per i 5 stelle, che della riforma hanno fatto un cavallo di battaglia, si risparmierebbero invece circa 500 milioni di euro a legislatura, ovvero 100 milioni annui. La riforma costituzionale taglia 345 parlamentari. L'approvazione definitiva è arrivata lo scorso ottobre, con il via libera della Camera. E con la nascita del governo giallorosso è stata appoggiata per la prima volta anche da Pd, Leu e Italia viva (nonostante nelle tre precedenti votazioni avessero votato contro).

Hanno votato a favore anche le forze di opposizione, Forza Italia, FdI e Lega. Tuttavia la riforma non viene promulgata e, quindi, non entra in vigore, se non sarà approvata dalla maggioranza dei voti validi al referendum confermativo, a prescindere dal numero di cittadini che si recano a votare. Dunque, l'entrata in vigore si avrà solo in caso di vittoria dei sì. Dopodiché, una volta svolto il referendum, serviranno circa due mesi per ridisegnare i collegi. 

L'effetto diretto della riforma è la diminuzione del numero dei deputati, che passano da 630 a 400 totali, e dei senatori, che scenderanno a 200 totali dagli attuali 315. - CAMERA: i deputati complessivi, ora 630, saranno 400. Viene ridotto anche il numero degli eletti all'estero: si passa dagli attuali 12 a un massimo di 8. A seguito della modifica costituzionale cambia anche il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto. Per la Camera dei deputati tale rapporto aumenta da 96.006 a 151.210.

La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per 392 e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Come cambierebbe il Senato

i senatori passano dagli attuali 315 a un totale di 200. Viene modificato anche il numero degli eletti all'estero, che passano da 6 a 4. Il numero medio di abitanti per ciascun senatore cresce, a sua volta, da 188.424 a 302.420. Al momento la Carta stabilisce che "nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due; la Valle d'Aosta uno". La riforma individua un numero minimo di tre senatori per Regione o Provincia autonoma, lasciando immutata la previsione vigente dell'articolo 57, terzo comma della Costituzione, relativo alle rappresentanze del Molise (2 senatori) e della Valle d'Aosta (1 senatore). Viene però previsto, per la prima volta, un numero minimo di seggi senatoriali riferito alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

I senatori a vita 

La riforma modifica anche l'articolo 59 della Costituzione, prevedendo espressamente che il numero massimo di senatori a vita non può essere superiore a 5. Recita l'articolo modificato: "Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque".

Entrata in vigore della riforma in caso di vittoria del Sì

La riduzione dei parlamentari, dispone la riforma, ha effetto dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale e, comunque, non prima che siano decorsi sessanta giorni. La previsione del termine di sessanta giorni è volta a "consentire l'adozione del decreto legislativo in materia di rideterminazione dei collegi elettorali", che attualmente sono così suddivisi: per la Camera dei deputati sono 232 collegi uninominali e 63 collegi plurinominali; per il Senato 116 collegi uninominali e 33 collegi plurinominali. 

I partiti e le ragioni del Sì e del No  

Nonostante il via libera finale alla riforma costituzionale che dà una sforbiciata di 345 parlamentari sia stato votato dalla stragrande maggioranza delle forze politiche presenti in Aula, non mancano le voci dissonanti in vista del referendum confermativo di domenica e lunedì.

Ufficialmente sono schierati a favore del Sì M5s, Pd, Lega e FdI. Hanno invece lasciato libertà di voto Forza Italia, Italia viva, e l'area di Leu proveniente da Articolo 1. Sono schierati per il No +Europa, Azione e Sinistra italiana, assieme ai Comitati promotori del referendum, in cui figurano diversi esponenti politici di vari partiti, dal Pd a Forza Italia. Non mancano, poi, singoli esponenti di forze politiche schierate per il Sì (o che hanno lasciato libertà di voto) che hanno invece annunciato pubblicamente il loro voto contrario alla riforma.

I partiti schierati per il Sì

M5S: Capofila dei sostenitori del Sì è il Movimento 5 stelle, 'padre' della riforma che rappresenta uno dei primi cavalli di battaglia dei pentastellati. Tutto il Movimento è sceso in campo a sostegno delle ragioni del Sì che, per i 5 stelle, risiedono non solo nei risparmi che si avranno dalla riduzione degli eletti, ma anche nella velocizzazione dei processi decisionali e in una maggiore efficienza del Parlamento stesso.

"Questa è una riforma per i cittadini. È una riforma che rilancia il Paese, lo modernizza, lo rende competitivo, lo riallinea agli standard europei e ci farà risparmiare 300 mila euro al giorno", ha detto ad esempio Luigi Di Maio. "La riforma del taglio dei parlamentari riporta efficienza e allinea l'Italia alle altre democrazie europee per numero di parlamentari", è il ragionamento di Vito Crimi. "La riduzione del numero dei parlamentari è solo l'inizio di un percorso più ampio di riforma. Il sì sarà un nuovo big bang per il cambiamento della Costituzione e delle istituzioni. Vogliamo mettere al centro una sola parola per le riforme che approveremo entro il 2023: partecipazione", è la linea espressa dal presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia. 

PD: i dem sono schierati ufficialmente per il Sì. Lo ha decretato la Direzione del partito di lunedì 7 settembre, approvando la proposta del segretario. Nicola Zingaretti ha motivato il Sì spiegando che si tratta di "un sì per le riforme". Il leader dem ha infatti legato a doppio filo il taglio dei parlamentari alle altre riforme costituzionali e alla nuova legge elettorale, frutto di un accordo di maggioranza siglato lo scorso autunno. Il sì del Pd all'ultima votazione alla Camera, dopo aver votato sempre no, è stato conseguenza diretta della nascita del governo giallorosso, conditio sine qua non posta dai 5 stelle, e dopo che la maggioranza ha stabilito un pacchetto di riforme che hanno l'obiettivo di controbilanciare gli effetti del taglio dei parlamentari.

"Banali e pericolose le argomentazioni di chi motiva la scelta del Sì con i risparmi per lo Stato. Io dico Sì per ripartire con una stagione di riforme sempre bloccate nella storia d'Italia", ha spiegato il segretario, rilanciando anche la proposta del superamento del bicameralismo perfetto, introducendo ad esempio la sfiducia costruttiva e la revoca dei ministri. "Sì al referendum non è punto di arrivo, deve essere il punto di partenza per riforme più larghe costituzionali", ha detto il capo delegazione del Pd Dario Franceschini, proponendo un 'patto per le riforme' con le opposizioni. Non mancano tuttavia all'interno dei dem voci in disaccordo, a sostegno del No. 

LEGA: il partito di Matteo Salvini ha sempre votato a favore della riforma in Parlamento. E ora è schierato a sostegno del Sì. "Voterò Sì al referendum, ho votato Sì per quattro volte in parlamento. Io ho una faccia e una coerenza, credo che il parlamento possa funzionare bene e meglio con meno parlamentari. Certo, non è la soluzione a tutti i mali del Paese", è la linea del 'Capitano'. All'interno della Lega, però, crescono i malumori per il Sì e aumentano i 'big' che si schierano a favore del No, come Giancarlo Giorgetti e il governatore lombardo Attilio Fontana. "La Lega non è una caserma a differenza di altri movimenti siamo uomini e donne liberi. La posizione del movimento e mia è quella del Sì per coerenza", ha tagliato corto Salvini. 

FDI: il partito di Giorgia Meloni ha votato in Parlamento a favore della riforma ed è ufficialmente schierato per il Sì. "Io sono per il Sì", ha detto la leader, "abbiamo sostenuto la legge e penso che il 99% degli italiani, sulla carta, sia favorevole al taglio dei parlamentari". 

I partiti schierati per il No

Chi è contrario alla riforma pentastellata motiva le sue ragioni con una battaglia contro il populismo e il garantismo e a difesa della democrazia e della rappresentanza, spiegando che con il taglio dei parlamentari questa viene messa duramente a rischio:  

+ EUROPA: "È una mutilazione del Parlamento", afferma Emma Bonino spiegando le ragioni del No al referendum. La riforma M5s "è semplicemente il segno della presa del potere da parte di una maggioranza populista trasversale", ha attaccato, spiegando che "la riduzione del numero dei parlamentari senza un disegno complessivo è pura demagogia". 

AZIONE: il partito di Calenda è nettamente contrario alla riforma. "Non è una riforma complessiva dell'istituzione parlamentare, che ne ha bisogno - io sono addirittura favore al monocameralismo secco - ma è un taglio indiscriminato che leva rappresentanza a una Camera e che complica il lavoro parlamentare", è la posizione dell'ex ministro. 

I partiti che hanno lasciato libertà di voto 

Hanno votato a favore della riforma nell'ultimo via libera alla Camera ma al referendum hanno scelto di lasciare libertà di voto, senza schierarsi apertamente per il Sì:  

ITALIA VIVA: il partito di Matteo Renzi non fa campagna elettorale per il Sì. Al suo interno c'è la posizione nettamente contraria alla riforma da sempre espressa da Roberto Giachetti. Ma il resto dei 'big', dallo stesso Renzi a Maria Elena Boschi fino alla capo delegazione Teresa Bellanova, non hanno mai dichiarato pubblicamente come voteranno, pur non nascondendo alcune perplessità. Il voto al referendum “è abbastanza inutile: la riforma riduce il numero dei parlamentari e, sono molto laico, non mi sembra il punto decisivo”. Per l'ex premier "che vinca il Sì o il No al referendum del 20 e 21 settembre, il giorno dopo avremo un problema: dovremo rimettere mano alle regole del gioco, come la legge elettorale e il bicameralismo perfetto". 

FORZA ITALIA: anche il partito di Silvio Berlusconi, pur avendo sempre votato a favore della riforma, ha lasciato libertà di voto. Tra gli azzurri schierati per il Sì figurano, ad esempio, la capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini e la vicepresidente Mara Carfagna (pur non nascondendo alcune perplessità). È per il No l'altra capogruppo, Anna Maria Bernini. Lo stesso Berlusconi, senza 'svelare' come voterà, ha invitato i cittadini ad andare alle urne, ma ha anche spiegato che, "fatto così, come lo vogliono i grillini, il taglio dei parlamentari rischia di essere solo un atto di demagogico che limita la rappresentanza, riduce la libertà e la nostra democrazia". 

LIBERI E UGUALI: il partito nato dall'unione di Sinistra italiana con Articolo 1 ha votato a favore del via libera finale alla riforma. Ma all'appuntamento con il referendum si presenta diviso: Sinistra italiana è per il No. Articolo 1 ha lasciato libertà di voto, ma alcuni big sono schierati per il Sì, come Pierluigi Bersani. 

Le voci dissonanti nei partiti

All'interno delle forze politiche schierate per il Sì al referendum non mancano malumori e distinguo. Anche nel Movimento 5 stelle si è manifestata qualche voce contraria al Sì. Ad esempio Elisa Siragusa, deputata M5s eletta all'estero, pur avendo votato Sì in Aula, ha annunciato il suo No al referendum: "Abbiamo decisamente bisogno che il parlamento diventi più efficiente, ma questo non verrà raggiunto con il taglio dei parlamentari", è la posizione.

Diversi gli esponenti dem che, in dissenso dalla linea del partito, voteranno No: tra questi, Matteo Orini, Luigi Zanda, Tommaso Nannicini (tra i promotori del referendum costituzionale". Ha 'fatto rumore' il No annunciato da Giancarlo Giorgetti e Attilio Fontana, in dissenso rispetto alla linea a favore del Sì della Lega. "Un semplice taglio dei parlamentari in assenza di altre riforme è improponibile. Tagliare del 40% i parlamentari darebbe un potere senza limite alle segreterie di partito, limitando di parecchio la volontà popolare. E’ una deriva da evitare con forza", ha detto Giorgetti spiegando le ragioni del suo No.

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