Si vota domenica e lunedì fino alle 15. Il referendum è confermativo ovvero non si tratta di abrogare una legge, ma di approvare una riforma. Gli elettori sono infatti chiamati a confermare o bocciare la riforma degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione italiana, modifica approvata dal Parlamento l’anno scorso che prevede il taglio dei parlamentari, riducendo l’attuale numero da 945 a 600, per un totale di 400 deputati (ad oggi sono 630) e di 200 senatori (al momento sono 315), mantenendo i senatori a vita (ma riducendone il numero, al massimo 5 in totale). Prevista anche una diminuzione dei parlamentari all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4.
Il quorum non serve per il referendum sul taglio del parlamentari trattandosi di un referendum costituzionale confermativo. L’esito delle urne sarà valido anche se il 20 e 21 settembre 2020 non si raggiungerà il 50% più uno dei votanti. A differenza di quanto succede invece con i referendum abrogativi, questa volta l’astensione dal voto non “varrà” come un no. Questo è il quarto referendum confermativo della storia della Repubblica italiana.
Se vincono i Sì il taglio dei parlamentari entrerà in vigore dopo le prossime elezioni politiche. Resteranno i senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica per altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario, ma potranno essere un massimo di 5 (finora cinque senatori erano quelli che ciascun Capo dello Stato poteva nominare, secondo l’articolo 59 della Costituzione).
Quello di domenica e lunedì è un election day, ovvero una tornata elettorale che accorpa diverse elezioni: regionali, amministrative, suppletive e anche il referendum costituzionale confermativo. Gli scrutini saranno quindi a tappe. Si parte dalle suppletive (un collegio in Sardegna e uno in Veneto) il cui spoglio inizierà subito dopo la chiusura dei seggi lunedì alle 15.
Si prosegue con lo scrutinio del referendum costituzionale, quindi sarà il turno delle regionali. Successivamente, senza interruzione, si terra' lo scrutinio delle Regionali. Lo scrutinio delle comunali, invece, partirà da martedì mattina alle 9.
Il quesito del referendum sul taglio del parlamentari
Gli elettori saranno chiamati ad esprimersi sulla riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. Urne aperte dalle 7 alle 23 di domenica 20 settembre e dalle 7 alle 15 di lunedì 21.
Il quesito sulla scheda
"Approvate il testo della legge costituzionale concernente 'Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari', approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?".
È questo il quesito che i cittadini troveranno sulla scheda referendaria. Votando Sì si conferma la riforma costituzionale e, quindi, in caso di vittoria dei Sì, il taglio del numero dei deputati e dei senatori verrà promulgato ed entrerà in vigore. Votando No, invece, si 'boccia' la riforma: in caso di vittoria dei No, dunque, resta lo status quo, senza alcun taglio degli eletti.
Gli effetti del sì e del no
Se al referendum dovessero prevalere i Sì il Parlamento sarà così ridisegnato: gli eletti totali scendono a 600. I senatori sarebbero 200 complessivi, mentre i deputati scenderebbero a 400. Se, invece, dovessero vincere i No, non si avrebbe alcuna modifica dell'attuale assetto: gli eletti complessivi resterebbero 945: 315 senatori e 630 deputati.
Lo scrutinio
Il referendum confermativo, per essere valido, non necessita di un quorum. La riforma costituzionale sarà confermata e, quindi, entrerà in vigore se vincono i Sì, anche di un solo voto. La riforma sarà bocciata, invece, se a prevalere, anche di un solo voto, saranno i No.
Domenica e lunedì si voterà anche per il rinnovo di sette Regioni (Valle d'Aosta, Liguria, Veneto, Marche, Toscana, Puglia e Campania), per oltre mille comuni e per le suppletive di Camera e Senato. Gli scrutini saranno 'scaglionati': le prime schede che saranno scrutinate sono quelle delle Elezioni suppletive di Camera e Senato, il cui spoglio inizierà lunedì subito dopo la chiusura dei seggi.Si prosegue con lo scrutinio del referendum costituzionale e successivamente, senza interruzione, si terrà lo scrutinio delle Regionali. Lo scrutinio delle comunali, invece, viene rinviato alle ore 9 del martedì.
Il via libera del Parlamento
La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari, cavallo di battaglia del Movimento 5 stelle, è stata votata in parlamento in modo differente a seconda delle maggioranze al governo. Significativo il voto finale, che si è svolto alla Camera ad ottobre dello scorso anno, a stretto giro dalla nascita del governo Conte II e con una nuova maggioranza a sostenere l'esecutivo. A differenza di quanto avvenuto nelle precedenti votazioni il Pd, che aveva sempre votato contro, ha votato sì. Il via libera è avvenuto a con una ampissima maggioranza: 553 voti favorevoli, solo 14 contrari e 2 astenuti. Hanno votato a favore tutti i partiti, sia di maggioranza che il centrodestra, all'opposizione. Tra i 14 contrari figurano i deputati del gruppo Misto (13) e 1 deputato di Forza Italia. Nel Pd un astenuto.
Da 945 a 600 parlamentari, taglio del 36,5% degli eletti
Dagli attuali 945 ai futuri 600 parlamentari. Una 'sforbiciata' degli eletti complessivi pari al 36,5% che, stando ai detrattori della riforma, porterebbe a una riduzione dei costi dello 0,007%. Per i 5 stelle, che della riforma hanno fatto un cavallo di battaglia, si risparmierebbero invece circa 500 milioni di euro a legislatura, ovvero 100 milioni annui. La riforma costituzionale taglia 345 parlamentari. L'approvazione definitiva è arrivata lo scorso ottobre, con il via libera della Camera. E con la nascita del governo giallorosso è stata appoggiata per la prima volta anche da Pd, Leu e Italia viva (nonostante nelle tre precedenti votazioni avessero votato contro).
Hanno votato a favore anche le forze di opposizione, Forza Italia, FdI e Lega. Tuttavia la riforma non viene promulgata e, quindi, non entra in vigore, se non sarà approvata dalla maggioranza dei voti validi al referendum confermativo, a prescindere dal numero di cittadini che si recano a votare. Dunque, l'entrata in vigore si avrà solo in caso di vittoria dei sì. Dopodiché, una volta svolto il referendum, serviranno circa due mesi per ridisegnare i collegi.
L'effetto diretto della riforma è la diminuzione del numero dei deputati, che passano da 630 a 400 totali, e dei senatori, che scenderanno a 200 totali dagli attuali 315. - CAMERA: i deputati complessivi, ora 630, saranno 400. Viene ridotto anche il numero degli eletti all'estero: si passa dagli attuali 12 a un massimo di 8. A seguito della modifica costituzionale cambia anche il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto. Per la Camera dei deputati tale rapporto aumenta da 96.006 a 151.210.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per 392 e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Come cambierebbe il Senato
i senatori passano dagli attuali 315 a un totale di 200. Viene modificato anche il numero degli eletti all'estero, che passano da 6 a 4. Il numero medio di abitanti per ciascun senatore cresce, a sua volta, da 188.424 a 302.420. Al momento la Carta stabilisce che "nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due; la Valle d'Aosta uno". La riforma individua un numero minimo di tre senatori per Regione o Provincia autonoma, lasciando immutata la previsione vigente dell'articolo 57, terzo comma della Costituzione, relativo alle rappresentanze del Molise (2 senatori) e della Valle d'Aosta (1 senatore). Viene però previsto, per la prima volta, un numero minimo di seggi senatoriali riferito alle Province autonome di Trento e di Bolzano.
I senatori a vita
La riforma modifica anche l'articolo 59 della Costituzione, prevedendo espressamente che il numero massimo di senatori a vita non può essere superiore a 5. Recita l'articolo modificato: "Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque".
Entrata in vigore della riforma in caso di vittoria del Sì
La riduzione dei parlamentari, dispone la riforma, ha effetto dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale e, comunque, non prima che siano decorsi sessanta giorni. La previsione del termine di sessanta giorni è volta a "consentire l'adozione del decreto legislativo in materia di rideterminazione dei collegi elettorali", che attualmente sono così suddivisi: per la Camera dei deputati sono 232 collegi uninominali e 63 collegi plurinominali; per il Senato 116 collegi uninominali e 33 collegi plurinominali.
I partiti e le ragioni del Sì e del No
Nonostante il via libera finale alla riforma costituzionale che dà una sforbiciata di 345 parlamentari sia stato votato dalla stragrande maggioranza delle forze politiche presenti in Aula, non mancano le voci dissonanti in vista del referendum confermativo di domenica e lunedì.
Ufficialmente sono schierati a favore del Sì M5s, Pd, Lega e FdI. Hanno invece lasciato libertà di voto Forza Italia, Italia viva, e l'area di Leu proveniente da Articolo 1. Sono schierati per il No +Europa, Azione e Sinistra italiana, assieme ai Comitati promotori del referendum, in cui figurano diversi esponenti politici di vari partiti, dal Pd a Forza Italia. Non mancano, poi, singoli esponenti di forze politiche schierate per il Sì (o che hanno lasciato libertà di voto) che hanno invece annunciato pubblicamente il loro voto contrario alla riforma.
I partiti schierati per il Sì
M5S: Capofila dei sostenitori del Sì è il Movimento 5 stelle, 'padre' della riforma che rappresenta uno dei primi cavalli di battaglia dei pentastellati. Tutto il Movimento è sceso in campo a sostegno delle ragioni del Sì che, per i 5 stelle, risiedono non solo nei risparmi che si avranno dalla riduzione degli eletti, ma anche nella velocizzazione dei processi decisionali e in una maggiore efficienza del Parlamento stesso.
"Questa è una riforma per i cittadini. È una riforma che rilancia il Paese, lo modernizza, lo rende competitivo, lo riallinea agli standard europei e ci farà risparmiare 300 mila euro al giorno", ha detto ad esempio Luigi Di Maio. "La riforma del taglio dei parlamentari riporta efficienza e allinea l'Italia alle altre democrazie europee per numero di parlamentari", è il ragionamento di Vito Crimi. "La riduzione del numero dei parlamentari è solo l'inizio di un percorso più ampio di riforma. Il sì sarà un nuovo big bang per il cambiamento della Costituzione e delle istituzioni. Vogliamo mettere al centro una sola parola per le riforme che approveremo entro il 2023: partecipazione", è la linea espressa dal presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia.
PD: i dem sono schierati ufficialmente per il Sì. Lo ha decretato la Direzione del partito di lunedì 7 settembre, approvando la proposta del segretario. Nicola Zingaretti ha motivato il Sì spiegando che si tratta di "un sì per le riforme". Il leader dem ha infatti legato a doppio filo il taglio dei parlamentari alle altre riforme costituzionali e alla nuova legge elettorale, frutto di un accordo di maggioranza siglato lo scorso autunno. Il sì del Pd all'ultima votazione alla Camera, dopo aver votato sempre no, è stato conseguenza diretta della nascita del governo giallorosso, conditio sine qua non posta dai 5 stelle, e dopo che la maggioranza ha stabilito un pacchetto di riforme che hanno l'obiettivo di controbilanciare gli effetti del taglio dei parlamentari.
"Banali e pericolose le argomentazioni di chi motiva la scelta del Sì con i risparmi per lo Stato. Io dico Sì per ripartire con una stagione di riforme sempre bloccate nella storia d'Italia", ha spiegato il segretario, rilanciando anche la proposta del superamento del bicameralismo perfetto, introducendo ad esempio la sfiducia costruttiva e la revoca dei ministri. "Sì al referendum non è punto di arrivo, deve essere il punto di partenza per riforme più larghe costituzionali", ha detto il capo delegazione del Pd Dario Franceschini, proponendo un 'patto per le riforme' con le opposizioni. Non mancano tuttavia all'interno dei dem voci in disaccordo, a sostegno del No.
LEGA: il partito di Matteo Salvini ha sempre votato a favore della riforma in Parlamento. E ora è schierato a sostegno del Sì. "Voterò Sì al referendum, ho votato Sì per quattro volte in parlamento. Io ho una faccia e una coerenza, credo che il parlamento possa funzionare bene e meglio con meno parlamentari. Certo, non è la soluzione a tutti i mali del Paese", è la linea del 'Capitano'. All'interno della Lega, però, crescono i malumori per il Sì e aumentano i 'big' che si schierano a favore del No, come Giancarlo Giorgetti e il governatore lombardo Attilio Fontana. "La Lega non è una caserma a differenza di altri movimenti siamo uomini e donne liberi. La posizione del movimento e mia è quella del Sì per coerenza", ha tagliato corto Salvini.
FDI: il partito di Giorgia Meloni ha votato in Parlamento a favore della riforma ed è ufficialmente schierato per il Sì. "Io sono per il Sì", ha detto la leader, "abbiamo sostenuto la legge e penso che il 99% degli italiani, sulla carta, sia favorevole al taglio dei parlamentari".
I partiti schierati per il No
Chi è contrario alla riforma pentastellata motiva le sue ragioni con una battaglia contro il populismo e il garantismo e a difesa della democrazia e della rappresentanza, spiegando che con il taglio dei parlamentari questa viene messa duramente a rischio:
+ EUROPA: "È una mutilazione del Parlamento", afferma Emma Bonino spiegando le ragioni del No al referendum. La riforma M5s "è semplicemente il segno della presa del potere da parte di una maggioranza populista trasversale", ha attaccato, spiegando che "la riduzione del numero dei parlamentari senza un disegno complessivo è pura demagogia".
AZIONE: il partito di Calenda è nettamente contrario alla riforma. "Non è una riforma complessiva dell'istituzione parlamentare, che ne ha bisogno - io sono addirittura favore al monocameralismo secco - ma è un taglio indiscriminato che leva rappresentanza a una Camera e che complica il lavoro parlamentare", è la posizione dell'ex ministro.
I partiti che hanno lasciato libertà di voto
Hanno votato a favore della riforma nell'ultimo via libera alla Camera ma al referendum hanno scelto di lasciare libertà di voto, senza schierarsi apertamente per il Sì:
ITALIA VIVA: il partito di Matteo Renzi non fa campagna elettorale per il Sì. Al suo interno c'è la posizione nettamente contraria alla riforma da sempre espressa da Roberto Giachetti. Ma il resto dei 'big', dallo stesso Renzi a Maria Elena Boschi fino alla capo delegazione Teresa Bellanova, non hanno mai dichiarato pubblicamente come voteranno, pur non nascondendo alcune perplessità. Il voto al referendum “è abbastanza inutile: la riforma riduce il numero dei parlamentari e, sono molto laico, non mi sembra il punto decisivo”. Per l'ex premier "che vinca il Sì o il No al referendum del 20 e 21 settembre, il giorno dopo avremo un problema: dovremo rimettere mano alle regole del gioco, come la legge elettorale e il bicameralismo perfetto".
FORZA ITALIA: anche il partito di Silvio Berlusconi, pur avendo sempre votato a favore della riforma, ha lasciato libertà di voto. Tra gli azzurri schierati per il Sì figurano, ad esempio, la capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini e la vicepresidente Mara Carfagna (pur non nascondendo alcune perplessità). È per il No l'altra capogruppo, Anna Maria Bernini. Lo stesso Berlusconi, senza 'svelare' come voterà, ha invitato i cittadini ad andare alle urne, ma ha anche spiegato che, "fatto così, come lo vogliono i grillini, il taglio dei parlamentari rischia di essere solo un atto di demagogico che limita la rappresentanza, riduce la libertà e la nostra democrazia".
LIBERI E UGUALI: il partito nato dall'unione di Sinistra italiana con Articolo 1 ha votato a favore del via libera finale alla riforma. Ma all'appuntamento con il referendum si presenta diviso: Sinistra italiana è per il No. Articolo 1 ha lasciato libertà di voto, ma alcuni big sono schierati per il Sì, come Pierluigi Bersani.
Le voci dissonanti nei partiti
All'interno delle forze politiche schierate per il Sì al referendum non mancano malumori e distinguo. Anche nel Movimento 5 stelle si è manifestata qualche voce contraria al Sì. Ad esempio Elisa Siragusa, deputata M5s eletta all'estero, pur avendo votato Sì in Aula, ha annunciato il suo No al referendum: "Abbiamo decisamente bisogno che il parlamento diventi più efficiente, ma questo non verrà raggiunto con il taglio dei parlamentari", è la posizione.
Diversi gli esponenti dem che, in dissenso dalla linea del partito, voteranno No: tra questi, Matteo Orini, Luigi Zanda, Tommaso Nannicini (tra i promotori del referendum costituzionale". Ha 'fatto rumore' il No annunciato da Giancarlo Giorgetti e Attilio Fontana, in dissenso rispetto alla linea a favore del Sì della Lega. "Un semplice taglio dei parlamentari in assenza di altre riforme è improponibile. Tagliare del 40% i parlamentari darebbe un potere senza limite alle segreterie di partito, limitando di parecchio la volontà popolare. E’ una deriva da evitare con forza", ha detto Giorgetti spiegando le ragioni del suo No.