L'unità nazionale di Mario Draghi prenderà forma nel secondo giro di consultazioni. Il premier incaricato definirà perimetro e linee programmatiche della sua maggioranza.
Solo dopo, non in una trattativa con i partiti ma facendosi carico di fare sintesi tra i desiderata di ciascuno, comporrà la sua squadra di ministri, da portare al Quirinale per proporla al capo dello Stato. In un mix che dovrebbe essere tecnico-politico, per dare "gambe" forti nei partiti e in Parlamento al governo. Con una significativa presenza di donne e il possibile ingresso a Palazzo Chigi di sottosegretari alla presidenza politici. Ma senza i leader di partito, perché far sedere in Cdm Matteo Salvini con Nicola Zingaretti o Roberto Speranza sarebbe arduo.
Draghi continua a lavorare nel più assoluto riserbo, trascorre la domenica nella campagna umbra di Città della Pieve, impegnato in diversi colloqui telefonici. Il premier incaricato sarebbe tornato a sentire anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal quale dovrebbe tornare a sciogliere la riserva entro la settimana. Agli atti resta il breve discorso tenuto mercoledì da Draghi al Quirinale e che reca impresse le grandi priorità per portare il Paese fuori da quella che ha definito una crisi economica, sanitaria, sociale ma anche culturale ed educativa.
In cima all'agenda l'ex presidente della Bce porrà la gestione dell'emergenza sanitaria e un'accelerazione del piano vaccinale, unica via per poter costruire il rilancio. Subito il governo dovrà affrontare il nuovo dpcm anti contagio e varare il decreto con i ristori per i quali il Parlamento aveva approvato uno scostamento di bilancio da 32 miliardi. Poi il grande progetto cui mettere mano è il Recovery plan e i partiti si aspettano di capire meglio, nel secondo giro di consultazioni, se il nuovo premier intende riscriverlo o ripartire dalla bozza del governo Conte, nel segno di maggiori investimenti e meno bonus.
Tra i primi dossier spinosi che Draghi avrà sul tavolo c'è poi la fine del blocco dei licenziamenti, prevista a fine marzo. Ne dovrebbe discutere - secondo fonti parlamentari - in un tavolo di concertazione con aziende e sindacati con i quali, come detto al Quirinale, intende interloquire. Ma non è escluso che prima di sciogliere la riserva senta i segretari confederali e i vertici delle associazioni datoriali per un primo, più generale, confronto. Lavoro e tasse sono i temi su cui è più alta l'attenzione dei partiti, anche considerato che in una maggioranza da Leu alla Lega le distanze sarebbero su alcuni punti notevoli: dalla flat tax alla progressività fiscale, da quota 100 leghista allo stop ai condoni fiscali dei Dem. Altro tema spinoso, con una maggioranza così vasta, è quello della gestione di sicurezza e immigrazione. Ma dopo il primo giro di consultazioni la convinzione è che il premier incaricato si concentri su altre priorità per iniziare, come la scuola.
Quanto alle riforme, Draghi potrebbe puntare sulla pubblica amministrazione, mentre quelle istituzionali come la legge elettorale dovrebbero essere lasciate al confronto parlamentare.
Fin qui il programma. La spinta di Pd, M5s e Leu resta quello per una maggioranza omogenea e quindi - è il ragionamento - più forte, con l'europeista Berlusconi ma senza l'euroscettico Salvini. Non sembra però questa la strada imboccata da Draghi. Anzi, alcune fonti accreditano già un possibile ingresso nel governo di Giancarlo Giorgetti. E l'ipotesi che si affaccia è che torni a Palazzo Chigi da sottosegretario alla presidenza, magari insieme a due sottosegretari per Pd e M5s (circolano i nomi di Andrea Orlando e Stefano Patuanelli), che facciano da camera di compensazione politica per il governo.
I più escludono che Draghi faccia della lista dei ministri un oggetto di contrattazione con i partiti. Come sempre, i nomi da lui proposti saranno vagliati dal presidente della Repubblica, ma sarà il governo di Draghi. Certo, se anche il secondo giro di consultazioni confermasse che per il M5s e per la Lega avere ministri politici è una condizione, difficile che il premier si sottragga. Di qui le ipotesi di Luigi Di Maio, magari ancora alla Farnesina, di Giuseppe Conte, nonostante le smentite, di Giorgetti ma anche di Antonio Tajani agli affari europei, e Roberto Speranza - se Leu deciderà l'appoggio - alla Salute. Una parte del Pd spinge perché i ministri siano tecnici d'area e non politici. Ma anche in questo caso, deciderà Draghi, anche sul mix dei nomi (si ipotizzava 12 politici e 8 tecnici).
Per l'economia non si esclude che Draghi possa tenere l'interim o incaricare Daniele Franco (Bankitalia). Per ministeri economici si fanno anche i nomi di Francesca Bria, presidente di Cdp venture capital, Marcella Panucci, ex Confindustria, Dario Scannapieco, della Bei, Lucrezia Reichlin. Agli esteri potrebbe andare Elisabetta Belloni, al Viminale restare Luciana Lamorgese e alla Giustizia, se non Conte, Marta Cartabia o Paola Severino, a segnare una forte presenza di donne. Circolano poi nomi come Vittorio Colao e Carlo Cottarelli. Ma per ora sono ancora solo indiscrezioni. Come anche quelle sulle deleghe: da un ministero per i giovani, a una delega ad hoc per il Recovery a un tecnico come Marco Buti. Ansa