ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Domenica, 31 Luglio 2016 00:00

Hillary e Donald quale America?

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Finite le convention (i congressi dei delegati eletti durante le primarie dei singoli stati), finiti i comizi dei capi partito e le colorite manifestazioni di tifosi e contestatori piene di musiche, bandiere e cartelloni, riporto frasi e affermazioni dei candidati o dei loro sostenitori, scelte fra quelle che meglio li rappresentano.

Donald Trump. Teniamo presente che i repubblicani si sono recati in massa alle urne per il loro originale candidato showman dai capelli color carota. D. Trump mai eletto o nominato ad una carica pubblica statale o federale, corre per la presidenza solo per la sua fama di uomo d’affari, ma non ha ancora reso pubblica la sua dichiarazione dei redditi. Promette cambiamenti e stravolgimenti dell’attuale modo di governo, in nome della libertà e della grandezza dell’America. “Americanismo, non globalismo”, è uno dei suoi slogan. Parla ai sentimenti più elementari degli americani, ma ignora la complessità reale dell’economia, pur essendo un imprenditore. Ecco ancora uno slogan apparso durante la convention dei repubblicani: I poveri votano democratico da 50 anni e sono ancora poveri. Charles Barkley.

Spigolando qua e là sul web, trovo una dichiarazione di Trump, recentissima, fatta durante la convention democratica. Fissando direttamente le telecamere D. Trump ha detto: “Russia, se mi senti spero che riuscirai a trovare le 30.000 e. mail di Hillary Clinton, non divulgate nell’inchiesta sull’uso improprio del suo indirizzo privato. Sarete ricompensati dalla nostra stampa”. Richiesta pericolosa assai, che probabilmente viola qualche legge federale. Come capo del partito repubblicano, riceverà notizie riservate sulla sicurezza nazionale. Il solo pensiero fa tremare.

Riporto anche un episodio avvenuto a Davenport, nell’Iowa. D. Trump ha riferito le sue reazioni mentre ascoltava gli oratori della Convention Democratica: “Le cose che hanno detto su di me! Sapete che cosa vorrei fare? Volevo picchiare tanto un paio di quegli oratori, avrei voluti picchiarli, uno in particolare, un piccoletto, volevo colpirlo tanto forte da farlo girare…”

Hillary Clinton. I democratici sono finora poco attratti dalla signora Clinton, presente nelle cronache politiche da un ventennio, non rappresenta certo una novità. Otto anni alla Casa Bianca, due incarichi da senatore, segretario di stato nella prima legislatura Obama. La novità è che vuole arrivare alla sala ovale. “Se sei con me, versa un dollaro”, ripete con insistenza da più di in anno, dopo una precisa elencazione dei temi propri del partito democratico. Le più evidenti manifestazioni di passione politica le ha a suo tempo suscitate Bernie Sanders, con la sua particolare idea di rivoluzione nel sistema, e ora deve impegnarsi parecchio per portare i suoi voti a Hillary Clinton.

Hillary è infine riuscita a scrivere una pagina di storia. “Con umiltà, determinazione e infinita fiducia nella promessa americana, accetto la candidatura per la presidenza degli USA”. Mi domando che cosa può significare la parola umiltà per una persona vuole, sempre vuole, fortissimamente vuole arrivare alla Casa Bianca. Promette più equità e di costringere Wall Street, i super ricchi e le corporation a pagare le tasse. Descrive anche un piano per l’occupazione e l’aumento del salario minimo.

Tutte le star del partito democratico, il Presidente attualmente in carica, Barack Obama, lady Michelle, Bill Clinton, ed anche Michel Bloomberg, indipendente ex sindaco di New York, si sono prodigati per scaldare gli animi dei democratici, finora piuttosto riluttanti a recarsi alle urne per Hillary, bravissima, ma gelida e tosta, incapace di trasmettere passione politica. Per lei riporto la dichiarazione di stima di un’altra donna: Madeleine Albright, 64° Segretario di Stato USA: “Ammiro e mi fido di Hillary più di tutti, questo paese ha bisogno che lei vinca queste elezioni”.

Luglio 2016. Racconto un episodio di vita vissuta, che pur essendo limitato al personale, può avere qualche significato. Un barbone biondo e giovanile, accovacciato ai piedi di un sontuoso e luccicante grattacielo del centro di Boston, mostra un cartello invero singolare: “Give me a dollar or I’ll vote Trump” (datemi un dollaro o voterò Trump). Non gli ho dato il dollaro, mi è sembrato un antipatico ricatto morale. Richiesta di carità, protesta contro il sistema, una forma di vendetta e di punizione, minaccia per i democratici e per tutti gli americani benpensanti non in vena di avventurosi cambiamenti. Subito dopo, al Boston Common, un parco frequentatissimo al centro della città, chiedo un commento a questa richiesta ad una donna giovane e carina seduta su una panchina vicino a me: “Io non mi occupo di politica, io lavoro!”, esclama con orgoglio, evidentemente nel suo ordine mentale ancora non riesce a rendersi conto che il lavoro è politica, locale e globale.

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