ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Martedì, 02 Agosto 2016 00:00

Migranti, profughi, integrazione ed empatia

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Anche se oggi l’attenzione è tutta rivolta al terrorismo ed al terrore, non cessa il problema migranti, con migliaia di persone salvate nel week end da navi del dispositivo nazionale di sorveglianza marittima della Marina Militare.

Il loro lavoro di soccorso nel mar Mediterraneo è senza fine.

Nella sola giornata di ieri sono stati tratti in salvo 1.104 persone, più cinque morti, in sei distinte operazioni.

Ma il problema migranti non è solo di soccorso, salvataggio e tutela, ma un problema di accettazione sociale.

Nonostante ciò che dice Salvini, i fatti ci dicono che, per quanto riguarda reddito e patrimoni, il divario tra famiglie italiane e straniere è ancora ampio ed è per questo che sono soprattutto le seconde a beneficiare delle misure di welfare decise da governo e regioni.

Ancora i dati ci dicono che, negli ultimi anni, sono aumentati soprattutto i richiedenti asilo e quindi si dovrebbe agire per sveltire le procedure e accorciare i tempi di accoglimento o di diniego delle domande.

E, nel frattempo, si dovrebbe favorire l’impiego dei richiedenti asilo in lavori socialmente utili.

Ma questo, nonostante le promesse del governo, non accade.

La rigida separazione del mercato del lavoro, che determina una forte concentrazione dei lavoratori immigrati nelle fasce poco qualificate, mantiene un divario significativo tra stranieri e italiani nella disponibilità di reddito e di patrimonio (su cui, oltre ai redditi da lavoro, incidono gli altri redditi e le disponibilità patrimoniali, prima fra tutte l’abitazione di residenza).

 A certificarlo è l’Indagine sui bilanci delle famiglie, pubblicata ad Aprile dalla Banca d’Italia (con dati riferiti al 2014): il reddito medio annuo è di circa 31mila euro per una famiglia italiana e 18mila per una straniera. Anche la natura dei redditi è molto diversa: tra gli stranieri, l’80 per cento deriva da lavoro dipendente, mentre tra gli italiani è molto alta la quota delle pensioni (28 per cento). Conseguenza diretta della disponibilità di reddito è la propensione al risparmio: se gli italiani spendono in consumi il 73 per cento 

Oltre a incidere negativamente sui percorsi di integrazione sociale, la povertà delle famiglie straniere determina una forte concentrazione di esse tra i beneficiari dei provvedimenti destinati alle famiglie meno abbienti. 

Il bonus Renzi, ad esempio, riguarda i redditi medio-bassi (8mila–24mila euro annui) da lavoro dipendente: non sorprende che una percentuale significativa delle famiglie straniere rientri in questi parametri.

Torniamo pertanto a ciò che la CEI aveva detto il 12 agosto dello scorso anno: "Potremmo imparare dalla Germania e copiare le sue leggi. Invece noi abbiamo sempre scritto leggi che in buona sostanza respingono gli immigrati e non prevedono integrazione positiva. Parcheggiamo gli immigrati qui e là in Italia. Se invece ci fosse almeno uno straccio di permesso di soggiorno provvisorio potrebbero lavorare e la gente non li vedrebbe più bighellonare in giro e non direbbe che mangiano a spese degli italiani già in crisi. Ma nessuno spiega che è la legge che impone la non integrazione".

Ancora oggi è così e molti spiacevoli fatti di cronaca recente ci dimostrano che ciò che facciamo è piuttosto “guadagnarci con gli immigrati".

Invece dovremmo prendere il meglio dei processi di integrazione messi in atto dagli Stati nazionali e applicarlo. Possiamo guardare a certi aspetti dell’integrazione che avviene in Svezia, Danimarca e Finlandia per esempio, mandando degli osservatori i in loco a osservare come ciò venga messo in atto. 

L’Italia riceve già aiuti europei. Il problema è la lunghissima burocrazia che favorisce, implicitamente, una corruzione dilagante. Sarebbe necessario snellire il sistema e rendere più veloce ed efficiente tutte le procedure, come, ad esempio, avviene in Germania.

Certo esistono anche problemi identitari ed è vero che spesso gli immigrati non sanno cosa fare della loro vita.

Ma ciò che un paese civile è chiamato a compiere è offrire a tutti sicurezza e democrazia, lasciando che siano le singole persone a trovare individualmente la propria strada nella società.

Secondo la più parte degli psicologi, le emozioni negative (“i rifugiati sono pericolosi”) dovrebbero lasciare spazio a quelle positive (“i rifugiati sono esseri umani come noi e hanno bisogno di aiuto”).
Ma la reazione nei confronti dei migranti è più emotiva che razionale.

Ed è improbabile che possa essere contrastata dalla mancanza di dati che dimostrino un legame diretto tra immigrazione e terrorismo.

Gli studiosi hanno capito da tempo «l'effetto vittima identificabile» per cui entriamo più facilmente in empatia con le immagini dei singoli morti.

“Questo è il motivo per cui foto e storie possono essere così potenti”, sostiene Deborah Small, docente di marketing e psicologia presso la University of Pennsylvania.

“Nel caso della Siria, abbiamo anche colpevoli identificabili, che provocano rabbia e paura. Poi abbiamo statistiche sui rifugiati. Raccontare le loro storie potrebbe rendere il loro dramma più comprensibile”.
L'identificazione dei profughi aumenterebbe la sensazione che anche gli altri siano 'noi' piuttosto che 'loro', e siano quindi degni della nostra empatia.

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Read 1254 times Last modified on Lunedì, 01 Agosto 2016 23:16

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