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Venerdì, 07 Ottobre 2016 12:19

Taranto – Le Città che vogliamo presenta i dati Forastiere, nudi, crudi, amari, veri

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Raccolti; studiati; analizzati fino all’ultimo grado possibile; classificati per tipologia di aree, di inquinanti, con particolare attenzione ai dati riferiti alle persone direttamente esposte e indirettamente  soggette alle emissioni.

Un lavoro certosino, utilizzando algoritmi e modelli matematici e meteorologici, quasi come nella serie tv “Numbers” (lì la matematica era al servizio del Dipartimento di polizia di New York), per arricchire la preziosa banca dati e stabilire, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il nesso causa-effetto tra emissioni industriali (Ilva in primis) e danno sanitario.

Così è nato il “Rapporto Forastiere”, un dossier corposo che la Regione Puglia ha commissionato nell’ambito delle attività del suo Centro Salute e Ambiente e che ha visto la collaborazione del Dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, della Asl di Taranto, di Arpa Puglia e di AReS Puglia. Un dossier che, come ha detto la dott.ssa Antonella Mincuzzi, coordinatrice del Registro tumori Asl di Taranto, “è già stato inoltrato alla Procura di Taranto, come del resto è prassi comune”.

E lo studio Forastiere è stato al centro, giovedì sera, di un dibattito organizzato dal consigliere regionale Gianni Liviano, in collaborazione con l’associazione “Le città che vogliamo”, al quale sono intervenuti il dott. Sante Minerba, responsabile Unità statistica e epidemiologia Asl Taranto, la dott.ssa Antonella Mincuzzi, coordinatrice del Registro tumori Asl Taranto, la dott.ssa Angela Morabito di Arpa Puglia, e Cosimo Nume, presidente dell’Ordine dei medici di Taranto.

“Agitare eventuali chiusure dell’Ilva senza fornire risposte e senza investire risorse per assicurare un futuro di speranza significa lanciare slogan buoni per conquistarsi titoli di giornale. Purtroppo”, ha sottolineato nel suo intervento introduttivo Gianni Liviano. “Purtroppo, - ha aggiunto il consigliere regionale tarantino - questi dati rappresentano una realtà che ben conoscevamo, sono un’ulteriore conferma della difficile situazione ambientale che viviamo a Taranto”. Per questo, adesso, “dalla fase delle denunce occorre passare a quella dei fatti concreti. Dopo aver annunciato che Taranto è una città così fortemente inquinata occorre investire in maniera forte sul territorio, valorizzando nuove possibilità di sviluppo. La legge regionale speciale per Taranto potrebbe contribuire in maniera notevole al raggiungimento di questo obiettivo”.

Dati su dati, quelli esposti dal dott. Minerba, frutto di un lavoro, ha sottolineato il responsabile dell’Unità statistica e epidemiologia dell’Asl di Taranto, “che comincia nel 1990, quando Taranto fu dichiarata area a rischio ambientale. Da allora - ha aggiunto Minerba - sono stati realizzati diversi studi descrittivi (che riportano semplicemente il fenomeno e un eccesso di patologie di una zona rispetto all’altra) che, a loro volta, sono stati la base di ulteriori indagini”. Fino ad arrivare a quello, ultimo in ordine di tempo, realizzato dal prof. Forastiere, responsabile scientifico del gruppo di lavoro che ha visto insieme Asl Taranto, Arpa e AReS Puglia, che ha superato la fase descrittiva per andare a indagare la causalità tra emissioni e danno alla salute. Ma, soprattutto, ha certificato ulteriormente che all’interno dell’area industriale la parte del leone la recita l’Ilva perchè questo rapporto, ha evidenziato Minerba mentre sul muro della sede di via Fiume scorrevano slide e diapositive, “indica come fonte causale l’Ilva in quanto lo studio è in grado di dimostrare che, all’aumento della produzione corrisponde un aumento delle patologie, e che, se la produzione cala, cala anche il rischio per la cittadinanza, soprattutto per quella a ridosso dell’area industriale”.

Per giungere a queste conclusioni, Arpa Puglia e Asl Taranto hanno proceduto attraverso l’utilizzo di un modello di dispersione. La coorte in studio è costituita dalle 321,356 persone, residenti tra il 1 gennaio 1998 ed il 31 dicembre 2010 nei comuni di Taranto, Massafra e Statte. Sono stati utilizzati gli archivi anagrafici comunali per l’arruolamento delle coorti dei residenti, il Registro Regionale delle Cause di Morte, le Schede di Dimissione Ospedaliera e il Registro Tumori di popolazione. Tutti i soggetti sono stati seguiti fino al 31 dicembre 2014, ovvero fino alla data di morte o di emigrazione.
Ad ogni individuo della coorte, sulla base dell’indirizzo di residenza, sono stati attribuiti gli indicatori dell’esposizione alla fonte di inquinamento presente nell’area utilizzando i risultati di modelli di dispersione in atmosfera degli inquinanti scelti come traccianti (PM10 ed SO2, ovvero polveri sottili e anidride solforosa). L’esposizione individuale dei soggetti della coorte è stata ricostruita a partire dal 1965 (anno di avvio dell’impianto siderurgico) al 2014 integrando i risultati del modello di dispersione con i dati effettivi di produttività Ilva, i dati quinquennali di emissioni dall’impianto (fonte Ispra), e la storia residenziale individuale. Per ciascun soggetto della coorte si è resa dunque disponibile un’esposizione relativa a ciascun anno di residenza. 
I dati derivanti dallo studio campionario “Passi” sono stati utilizzati per verificare l’ipotesi che fattori di confondimento legati alle abitudini individuali (ad esempio il fumo di sigarette, l’alcol) potessero essere responsabili dei risultati ottenuti. È stata infine analizzata la coorte di Taranto per il periodo 2008-2014 per verificare la relazione tra i cambiamenti temporali delle esposizioni ambientali e i cambiamenti temporali della mortalità.

“Certo - ha poi sottolineato la dott.ssa Morabito di Arpa Puglia - a fronte di una situazione ambientale migliorata per effetto della riduzione della produzione Ilva così come previsto dalle prescrizioni Aia, rimane il problema della valutazione della tossicità degli agenti inquinanti che uno studio basato su dati epidemiologici non è in grado di offrire”.

Che fare, allora? Secondo il dott. Nume, presidente dell’Ordine dei medici, occorre “accelerare

sulla realizzazione del Polo oncologico che, però, deve essere autonomo dall’istituto oncologico Giovanni Paolo II di Bari, come è nei piani della Regione Puglia. Non vorremmo assistere - ha spiegato meglio Nume - a pose di prime pietre come avvenuto nel recente passato con il San Raffaele di Milano. Quando tento di guarire un paziente - ha concluso non prima di aver sottolineato la frettolosità delle scelte fatte nel piano di riordino per l’ospedale di Grottaglie - cerco di eliminare del tutto la causa del suo male. Per questo auspico un futuro dove non ci sia il baratto tra salute e lavoro”.

Insomma, alla questione sanitaria non può non affiancarsi l’iniziativa politica. “L’Asl, l’Arpa, l’AReS possono solo spiegare e commentare i dati degli studi epidemiologici - ha poi concluso Liviano -. Sono altri organismi, e tra questi la politica, che devono intervenire”.

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