ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Martedì, 25 Ottobre 2016 09:08

Una stretta autoritaria?

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Esiste una stretta autoritaria dietro la Riformulazione Costituzionale sottoposta ad approvazione referendaria, come ha sostenuto Ferdinando Imposimato, con una magnifica enfasi napoletana, ad una conferenza pubblica ieri?

Credo di sì e non riguarda soltanto i quesiti costituzionali proposti.
Se qualcuno crede che le restrizioni autoritarie oggi si facciano ancora con gli eserciti e contro la democrazia, vive in un'altra epoca. Quella era una esperienza della società industriale. Oggi non è più così, in nessuna delle parti del mondo che ha vissuto quella esperienza militare. Non c'è in Sud America, non c'è in Russia, non c'è in Spagna e nemmeno in Grecia. Non funziona più nemmeno in Turchia, immaginando che quel tentativo di golpe fosse reale.


Nella società della comunicazione la stretta autoritaria si fa dentro la democrazia, con i meccanismi di controllo dei 3 fattori morfologici dei sistemi politici: gli uomini, cioè il ceto politico; i soldi, cioè il meccanismo fiscale per la distribuzione delle risorse; le idee, cioè il complessivo flusso comunicativo, comprensivo dell'intero percorso scolastico.
Da noi in Italia questa restrizione autoritaria degli spazi di partecipazione democratica è cominciata con i governi Berlusconi. Il governo Renzi l'ha soltanto accentuata.
Rispetto al controllo del ceto politico, è evidente che le varie riforme elettorali ed ora questa riformulazione costituzionale, per dichiarata intenzione di governabilità e allo scopo di ridurre i costi della politica (senza ridurre le spese), restringe il consenso elettorale necessario, il ceto politico disponibile, le istituzioni derivate e gli istituti di garanzia a un manipolo di individui controllati dall'incontrollabile capo di partito, necessari per la produzione di una legislazione eterodiretta. Si tratta del controllo della democrazia minima, la democrazia formale, il controllo della democrazia procedurale, come la chiamava Norberto Bobbio.

Sul piano della distribuzione delle risorse, oggettivamente il sostegno alle banche, cioè il trasferimento dei soldi pubblici a sanare deficit di istituti privati - liberi di rastrellare liquidità che soffoca la propensione al consumo e l'iniziativa delle piccole imprese, anche prelevando soldi discrezionalmente dai risparmi dei correntisti (oltre alle truffe sui titoli) - rappresenta una stretta finalizzata alla realizzazione di un sistema economico composto da pochi soggetti controllabili e addirittura dipendenti dalle istituzione surrogate dal potere unico del capo di partito. Se tutto il sistema economico passa per gli istituti bancari, controllando gli istituti bancari si controlla il sistema economico. Si tratta del controllo della democrazia sostanziale, come l'ha chiamata Giovanni Sartori.

Sul controllo del complessivo flusso comunicativo c'è poco da dire. Prima almeno il direttore generale della RAI era eletto da una commissione parlamentare. Ora è nominato dal Premier che è pure il capo di partito. Le licenze per le frequenze nazionali non si liberalizzano. La scuola è stata riformata riducendo il confronto critico, con il super potere dei direttori didattici. Le università sono state totalmente disarticolate per evitare la produzione delle idee. Internet non è nemmeno una risorsa, è una speranza. In ogni caso anche internet agisce in domini relazionali ristretti, in cui qualsiasi sfogo è comunque controllabile e ogni estensione viene bloccata. Finanziamenti alla cultura e alla ricerca, niente di niente. Tutto questo produce un decervellamento complessivo indispensabile per controllare fette ampie di elettorato, piuttosto che con il principio di rappresentanza (io ti voto e tu mi rappresenti) con la relazione responsiva (introduco un input comunicativo e ricevo un output elettorale), tramite slogan irriflessivi, con una pletora di invasati che rispondono senza l'incombenza faticosa di documentarsi, in analfabetismo funzionale, senza assumere su di sé la fatica del concetto, come l'ha chiamata Hegel.
D'altronde, ogni mutazione sociale, ogni innovazione storica è partita con governi restauratori e conservatori, per poi affermarsi definitivamente, come reazione, nella sua identità democratica. Questa è la nostra.

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