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con 66 accessi. Li ringrazio dell’attenzione. Voglio comprovare la potenza dell’archeologia del linguaggio confidando che altri vorranno seguire la pratica aperta a tutti.
Prendete una carta geografica dell’Africa con la zona del Nilo. Osservate in Nubia lo svolgimento del fiume più lungo del mondo alla 4° cataratta vicina alla città di Merowe. Adesso, aprite le Metamorfosi di Apuleio, libro 1, 13:
-Come udii queste parole, disgraziato che ero! mi sentii correre un sudore freddo pel corpo, le budella mi ballavano per il gran convulso e il tremito si comunicava al lettuccio. Il quale ondeggiava e saltava irrequieto sulla schiena. Dal canto suo, la brava Pantia interloquì:
-“Non sarebbe meglio, sorella mia, di fare a pezzi per il primo costui alla maniera delle Baccanti, oppure di legarlo come un salame e tagliargli i testicoli?”.
-Al che Meroe (e in effetto cominciavo ad accorgermi che il nome si adattava bene ai racconti di Socrate) replicò:
-Al contrario. Lasciamolo pure in vita, e che seppellisca in poca terra il cadavere di questo sciaguratello”.
Claudio Annaratore, il traduttore, commenta la puntualizzazione in parentesi dell’autore con: Perché questo nome, Meroe, -si adatta bene ai racconti di Socrate-?
La ragione non è chiara. Forse il nome deriva da merum: vino schietto, il che indicherebbe che a Meroe non dispiaceva il vino.
Il traduttore commentatore è consapevole della spiegazione povera ma si compiace di alludere implicitamente al fatto che Meroe era anche un’ostessa. Siamo al livello delle favole per tonti, un livello importante per spiegare l’enorme diffusione mondiale avuta dall’opera di Apuleio tradotta in oltre quaranta lingue.
Non spiega, però, l’interesse suscitato nelle persone colte, come sant’Agostino, cui si deve, probabilmente, il sottotitolo di Metamorphoseon libri XI, Asinus aureus, L’asino d’oro, recte: l’asino d’Horo.
Meroe era anche una maga, come Pantia. Apuleio fu un mago del linguaggio. Il positivismo ottocentesco ha creduto di cancellare la magia, ha irriso tutta la tradizione che trasmetteva Publio Virgilio Marone come mago e si è fatto abbindolare dal De magia di Apulejo, dove l’autore si è limitato a confutare di aver fatto malefici per sedurre la donna poi sposata senza mai negare di essere un mago bianco, come Virgilio. Il diritto romano puniva la magia nera perniciosa e nulla decideva sui credi religiosi.
Il significato religioso zumero di me-ta-morfosi è di ‘trasformazionemorfosi della naturata del ME’ [detto in modo sintetico]. Horo è il figlioletto di Iside, la terza trasformazione religiosa (te-le-ta), subita da Lucio nell’XI libro. Lucio è l’eponimo con il quale Apuleio si identifica. Vuol far luce sulla magia per gli iniziati e lo fa con i nomi. Lascia agli altri, a coloro che restano asini, il filo dei racconti. Socrate, stimato da Apuleio, è un facchino colpito da Iside-sfortuna e lasciato mezzo morto in un trivio, dove Aristeo, il principale narratore di questa favola, suo amico, lo trova. Una volta rimesso in sesto e rifocillato gli narra che la sua disgrazia era stata Meroe. Mentre dormono, la maga ritorna.
Socrate verrà sbudellato ed il mattino dopo sarà di nuovo vivo, per poi morire. La me-tem-psycosi viene suggerita in favola, in modo che anche i più tonti dovrebbero capire.
La Nu.bi.a suggerisce il significato: -a, ‘seme’, -bi- ‘proprio’, nu ‘dell’immagine’.
W è il raddoppio di tutto.
ME.RU.E, ‘cuoree sacroru MEparola divina creativa.
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