In sostanza sono le stesse risposte che si trovano presso autori più accreditati: ricercatori accademici e appassionati della storia della lingua.
La parola: guappo, per come la si usa oggi deve considerarsi una voce del lessico napoletano, in quanto si riferisce ad una realtà sociologica tutta napoletana. Nello stesso tempo, se essa la si trova usata in tutta Italia (tanto che è riportata sui dizionari della lingua italiana) o in uso anche presso popolazioni alloglotte (parlanti un’altra lingua), sul piano morfologico deve considerarsi un apporto dallo spagnolo, e utilizzata per traslato (metafora) quando si vuole denotare il prepotente, l’arrogante, il bullo di quartiere, che nella realtà, poi, non corrisponde esattamente al guappo napoletano.
Essa è passata nella parlata gergale di Napoli in seguito all’influenza della lingua spagnola, al tempo della lunga dominazione sul Regno di Napoli. Così la parola spagnola guapo, divenuta guappo in napoletano, ha subito un forte scivolamento di significato, passando da una connotazione positiva a quella negativa, propria di guappo.
Pare strano che in molte famiglie di italo-americani, dopo due o tre generazioni, essa non risulti più presente nella memoria dei giovani. Questo lo si può comprendere immaginando che mancando il tipo (cioè il referente linguistico), non se ne sia avvertita la necessità dell’uso. Non è escluso, tuttavia, che lo scarso uso della parola – e quindi la conseguente scomparsa – sia stato determinato da una precisa volontà del gruppo sociale, come per una sorta di rimozione, in base al meccanismo socio-linguistico del tabù. Sia per tenere lontana, per scaramanzia, la realtà che si sarebbe nominata (vero e proprio tabù); sia per non trasmettere ai giovani nati in America una “parola a rischio”, di forte connotazione negativa, il cui uso inoltre avrebbe tradito l’origine culturale del parlante (finalità educativa). Una specie di precauzione da parte dei padri e dei nonni per cercare di mantenere estranea la discendenza da contaminazioni ereditarie, rendendola così immune dal rischio di perpetrarle.
Volendo risalire all’ètimo latino, la supposta comune origine di guappo (napoletano) e di guapo (spagnolo), riconosciuta dai più nella parola latina vappa (vedi anche vapor), deve ritenersi accettabile; in virtù anche della caratteristica fonetica della U/V (semiconsonante) che poteva far pronunciare vappa anche come uappa (vedi anche uva/vino/vigna). E – si sa – che vappa veniva usata in senso figurato col significato di persona stramba.
Un’ultima considerazione sulla voce americana wop. È plausibile, come si ritiene in America, stante alla fonetica, che la parola derivi da guappo, deformatosi in “uappo”, secondo il modo più diffuso di pronunciare a Napoli guappo. Non è escluso, nello stesso tempo, che la parola possa essere considerata un acronimo (serie di iniziali: w.o.p.). Per esempio: With Out Papers oppure White On Paper), così come documentano alcuni ricercatori americani.
Ad avvalorare tutte queste ipotesi, e rendere così scientifica e documentaria la ricerca, sarebbe necessaria una conoscenza storica delle lingue citate (latino, spagnolo, italiano, inglese-americano), acquisita attraverso la frequentazione delle rispettive letterature: cosa che a me francamente manca. Pertanto dobbiamo accontentarci dei percorsi seguiti dagli autori che ci precedono, almeno fino a prova contraria.
L’uso del termine guappo nell’accezione principale di camorrista o boss di quartiere (e anche mediatore e paciere) risale già al 600; e, se veramente la parola deriva dal latino vappa, certamente anche prima. Esso è attestato in particolare per gli anni 1890-1910 (gli anni della massima emigrazione di italiani verso le Americhe), ma risale a più di due secoli prima, visto che la parola compare nella classica ballata Lu Guarracino.
In epoca moderna la figura del guappo, se non è proprio una maschera, è quasi una caricatura, in quanto oggi la parola viene usata per lo più in maniera antitetica e caricaturale. Basti ascoltare le canzoni: Napule ca se ne va, o Guapparia; e … Tu vuo’ fa l’americano.