Si chiama cobalto, è un minerale, e la corsa per estrarlo sta diventando un problema. Le sue proprietà, a cominciare dalla capacità di immagazzinare grandi quantità di energia in piccole masse, lo rendono un elemento fondamentale nella produzione delle batterie al litio.
Quelle cioè che tengono accesi i nostri smartphone e che alimentano le auto del futuro, elettriche o ibride che siano.
Ma ricavarlo dal terreno non è facile, perché spesso viene estratto insieme a rame o nichel, e poi va raffinato. Le scorte, poi, non sono infinite: secondo il recente Report on Global and China's Cobalt Industry 2018-2022, la domanda è in forte crescita e il Paese che ne ha in maggiore quantità è uno dei più poveri al mondo: la Repubblica Democratica del Congo. Dove tra i 150mila minatori artigianali, ci sono anche bambini.
Un’inchiesta multimediale di Cnn ha cercato di ricostruire il funzionamento del mercato del cobalto: dalla miniera alle batterie al litio, emerge una situazione che rischia di imbarazzare i produttori di auto elettriche. I cronisti americani sono andati a Kolwezi, la capitale della provincia congolese di Lualaba, nel sud del Paese, dove gli abitanti hanno inaugurato quelle che oramai vengono definite vere e proprie miniere artigianali. Si scava nel terreno, si scende fino a venti metri di profondità, e ci si cala in questi cunicoli per trovare il cobalto. Senza le attrezzature necessarie, senza garanzie né alcuna sicurezza.
A spingerli ad avventurarsi in questi tunnel improvvisati sono disperazione e povertà. Il richiamo del cobalto è troppo forte per non ascoltarlo: il suo valore in pochi anni è quadruplicato. Nei primi mesi del 2018, secondo il report di Roskill, una tonnellata di questo minerale valeva più di 90mila dollari; a inizio 2016 il prezzo superava di poco i 20mila. Tra i motivi dell’aumento, scrive Cnn, c’è proprio la forte crescita del mercato delle auto elettriche equipaggiate con le batterie al litio.
La Cina è il fulcro delle transazioni
“Due terzi del cobalto arrivano dal Congo. Un quinto del minerale estratto nel Paese centrafricano viene strappato al terreno in maniera artigianale, direttamente con le mani”. I dati, contenuti nel Mineral Commodity Summaries 2017 pubblicato dalla Us Geological Survey del dipartimento dell’Interno, mettono il Congo sotto i riflettori insieme alle aziende che da Kinshasa importano il cobalto. Ma prima di finire negli smartphone di Apple o nelle auto di Tesla, il minerale fa un giro del mondo che tocca in primo luogo la Cina. Pechino è infatti il cuore della produzione di cobalto: con 45mila tonnellate nel 2016, il Paese asiatico conta per il 47,92% della produzione globale” si legge nel report.
Secondo Cnn, i destini di Congo e Cina sono legati anche da un accordo stipulato tra il governo di Lualaba e la Congo Dongfang International Mining (Cdm), una società sussidiaria del colosso cinese del cobalto, la Zhejiang Huayou Cobalt da cui si riforniva anche Apple prima di scoprire che usava il lavoro di bambini minorenni.
La stessa Cdm, già nel 2016, era stata accusata da Amnesty International: nel rapporto intitolato “This is what we die for”, l’Ong ricostruiva, passaggio dopo passaggio, il destino del cobalto: dopo l’estrazione e il lavaggio in acqua, i grossi sacchi da 50 chilogrammi pieni del prezioso minerale arrivano nei mercati congolesi dove “commercianti indipendenti, spesso cinesi, lo acquistano senza preoccuparsi della loro provenienza, per poi rivenderlo a compagnie più grandi, come la Cdm, che si occupano di esportarlo”. Un’ipotesi confermata a Cnn da una serie di whistleblowers, informatori anonimi, secondo cui la società starebbe continuando ad acquistare cobalto a mercati dove arrivano sacchi di minerali confezionati con il lavoro anche minorile.
I big della tecnologia “non si preoccupano dei diritti umani”
Dalle miniere agli smartphone, passando per i mercato congolesi affollati di traders cinesi pronti a rivendere a società che smercino in tutto il mondo. Il quadro che emerge è questo, e secondo Research And Markets “l’industria cinese di cobalto eserciterà un’influenza sempre maggiore sul mercato globale”. A porre un freno potrebbero essere le stesse società, da Apple a Samsung, da Tesla a Microsoft, da Renault a Bmw, se decidessero di occuparsi della verifica della provenienza del cobalto utilizzato nei propri dispositivi. Interpellate da Cnn, Daimler, Tesla e Chrysler hanno risposto di non essere in grado di risalire all’intera catena di fornitura a causa della “natura complessa” del meccanismo. Soltanto Apple, Bmw e Renault hanno risposto: tra loro, la casa automobilistica francese ha ammesso di acquistare da Huayou. Apple, che sostiene di mappare i propri fornitori dal 2014, ha invece avviato un progetto insieme alla Ong Pact per diffondere la consapevolezza dei rischi del lavoro minorile in seno alle comunità di minatori. (agi)
Sostieni Agorà Magazine I nostri siti non hanno finanziamento pubblico. Grazie Spazio Agorà Editore