Il decreto che vieta la separazione delle famiglie dei migranti al confine tra Messico e Stati Uniti, che Donald Trump si accinge a firmare, sarebbe un risultato a cui ha lavorato intensamente Melania Trump. Lo riporta Cnn citando un alto funzionario della casa Bianca, secondo il quale la First lady la lavorato in ombra per diversi giorni incoraggiando in privato il presidente americano a fare questo passo.
"Vogliamo tenere insieme le famiglie", aveva detto Trump, parlando alla Casa Bianca. "Firmerò qualcosa presto", aveva poi aggiunto, indicando che il passo sarà seguito da una legge. Il presidente americano si riferisce, probabilmente, alla normativa di cui domani discuterà la Camera dei rappresentanti, annunciata da Paul Ryan. "Le famiglie non vanno separate, punto", aveva detto lo speaker repubblicano, che ha poi aggiunto: Trump ha invocato "l'approvazione della legge, in modo da mettere fine" alla separazione delle famiglie di migranti.
La Casa Bianca e il Congresso hanno raggiunto un compromesso, che giovedì 20 giugno sarà messo al voto alla Camera. "Il provvedimento annunciato da Trump ordinerà al dipartimento della sicurezza nazionale di tenere insieme le famiglie e chiederà al Pentagono di contribuire ad ospitarle", scrive Repubblica, "visto che molte delle strutture di detenzione sono al completo (e i tribunali di Texas e California intasati dai ricorsi). Il presidente Usa vorrebbe ancora che il Congresso varasse una delle due leggi presentate dai repubblicani, ma insiste che dovrebbe prevedere anche il finanziamento per il Muro con il Messico, che resta il suo grande obiettivo (e cavallo di battaglia)".
La Stampa invece riporta anche un aneddoto: Trump infatti avrebbe "persino rinviato il tradizionale picnic con i parlamentari e i loro famigliari previsto per domani alla Casa Bianca: 'Non mi sembra giusto farlo', ha spiegato, timoroso che circolassero scene di divertimento in contrasto con quelle dei bimbi che piangono nelle gabbie alla frontiera. Con la sua mossa, il tycoon dà ragione di fatto ai vituperati democratici, secondo cui il presidente ha il potere di mettere fine alla separazione dei bimbi. E mette una toppa in attesa di un voto incerto domani al Congresso".
Con l'uscita degli Usa dal Consiglio Onu sui diritti umani, per i diritti umani non cambia nulla
Washington se ne va dal Consiglio delle Nazioni Unite per il rispetto dei diritti umani. La rottura è traumatica: si tratta della prima volta che un Paese membro del consiglio decide di andarsene spontaneamente. L’unico precedente di esclusione riguarda la Libia, nel 2011: l’inizio della rivolta che Gheddafi cercò di stroncare sul nascere. Ma fu, per l’appunto, un’esclusione.
I motivi dell’abbandono
In realtà i rapporti tra Washington ed il Consiglio non sono mai stati idilliaci: quando quest’ultimo fu creato, nel 2006, l’allora presidente George W. Bush, si rifiutò di aderire. Fu solo Barack Obama, tre anni dopo, a decidere di farne parte.
L’addio si è consumato dopo che, già lo scorso dicembre, l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite Nikki Haley aveva annunciato che la permanenza nell’organo era stata sottoposta ad una procedura di revisione. Motivo: “un pregiudizio contro Israele” che avrebbe portato, da parte dei 46 membri del Consiglio, ad una lunga serie di condanne nei confronti del principale alleato americano in Medioriente.
Come sul clima, come sul nucleare
L’addio non è l’unica decisione di questo tipo adottata da Washington nei confronti di un organismo, o di un accordo, internazionale. L’Amministrazione Trump, in particolare, ha abbandonato quasi all’inizio del suo mandato il Trattato di Parigi sull’ambiente e i cambiamenti climatici.
Lo stesso è avvenuto, più di recente, per l’accordo sul nucleare iraniano firmato dalla precedente amministrazione Obama e frutto di un’intesa che coinvolgeva anche i principali partner europei.
Diverso il caso della Nato, e del Trattato dell’Atlantico del Nord su cui si poggia. Qui Trump manifesta apertamente le sue insofferenze per quella che lui ritiene essere la sbilanciata distribuzione degli oneri finanziari tra alleati, ma non ha mai lasciato trapelare l’intenzioe di compiere gesti di rottura.
Il precedente dell’Unesco
Il 12 ottobre 2017 gli Stati Uniti hanno invece deciso di ritirarsi dall'Unesco, dopo le tensioni sull'ingresso della Palestina come membro dell'agenzia Onu che si occupa di «promuovere la pace tra le nazioni» attraverso la scienza e la cultura.
La decisione è stata motivata accusando l'organizzazione basata a Parigi di "inclinazioni anti israeliane". Washington ha sostituito la propria rappresentanza attuale con una "missione di osservatori". In particolare ha pesato una risoluzione votata l’anno prima dalla assemblea generale dell’organizzazione su Gerusalemme.
E adesso?
Per capire le possibili conseguenze del ritiro annunciato in questi giorni basta considerare che, ai suoi tempi, Ronald Reagan e Margaret Thatcher se ne andarono, sbattendo la porta, dall’Ifad e dalla Fao, accusandole addirittura di sostenere la Siria, paese all’epoca indicato come sponsor del terrorismo internazionale.
Le due organizzazioni dovettero stringere la cinghia (Washington è da sempre uno dei principali donatori dell’Onu e dei suoi derivati), ma nessun danno irreparabile risultò dall’abbandono. In più, tempo alcuni anni e Gran Bretagna e Usa rientrarono. Anche questa volta Haley ha lasciato intendere che di ritiro temporaneo potrebbe trattarsi.
Diverso il discorso quando si tratta di accordi internazionali. Politica. Sia nel caso del Trattato di Parigi, sia del nucleare iraniano, il ritiro americano ha pesato, eccome. E gli altri contraenti si sono trovati nella difficilissima posizione di tenere in piedi l’intesa, cercando di trovare un accordo di carattere innovativo, pena far saltare tutto. (agi)
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