Già nella riunione di maggio come microgruppo avevamo individuato come elemento comune di discussione il tavolo numero 5: "Percorsi di fuoriuscita dalla violenza" perché ci porta a parlare di violenza fisica immediata, che lascia segni indelebili, e quella psicologica, più subdola, che annienta la vittima a poco a poco, devastandone il fisico e la mente. Nell’incontro vi erano 8 donne sia di Carosino che dei paesi vicino Taranto, e donne della stessa città dei due mari. Dalle prime battute è stato messo in evidenza che alcune del gruppo hanno avuto difficoltà a spiegare ai propri compagni cosa ci andassero a fare alla riunione. “Cosa ci vai a fare, noi non abbiamo problemi”, come se i fatti di cronaca e del quotidiano non ci appartenessero. Non sono casi isolati, c’è spesso questo step da superare per partecipare a riunioni con temi legati alla violenza sulle donne. sono argomenti spinosi, danno fastidio, molto fastidio. Discutendo poi sui fatti di cronaca drammatici viene fuori il luogo comune che commenta casi di donne uccise o maltrattate: “Non era cattivo, forse lei lo ha provocato, stuzzicato a tal punto da fargli perdere la ragione”. Per una donna anche alzare la voce è inadeguato, per un uomo anche uccidere può essere giustificato. Bisogna agire sull’autostima, si è detto in riunione. Il nostro compagno che ci molesta con le sue attenzioni eccessive, che noi chiamiamo amore, altro non sono che controllo presso il nostro luogo di lavoro, cosa facciamo, con chi stiamo fuori dalle pareti domestiche, fuori dal suo cono visuale; altra strategia è anticipare le nostre esigenze e ci fa sentire delle persone esclusive, amate coccolate. Ha invece messo in atto azioni di potere, visto che conosce a memoria le nostre fragilità. Ha una memoria forte il compagno che manipola, una intelligenza vigorosa, capace di far crollare a poco a poco le nostre ultime certezze. Anche con azioni apparentemente stupide: Cosa? Io questa cosa non te l’ho mai detta” . Invece è stata più volte ripetuta, ma è un modo come un altro per destabilizzare la vittima. Questo esempio e altri che abbiamo citato vengono fuori da esperienze realmente vissute da alcune donne del gruppo. Che altre donne hanno ascoltato e discusso insieme con forte senso di solidarietà e ricerca di possibili soluzioni. Nelle foto scattate alla fine dell’incontro emerge in ognuna il sorriso pronto ad accogliere. Sorrisi concentrati e mescolati con la forza e voglia di lottare per i nostri diritti. Perché ce lo meritiamo. Ci siamo portate a casa le vite di ognuna di noi, che sono le vite di tutte con il desiderio di rompere le catene e agire per la trasformazione e il cambiamento. Non permetteremo a nessuno, ha detto una del gruppo, di rubarci il sorriso. Un bene che chi vede tutto negativo ci vuole scippare. chi è felice deve trainare l'altro, non il contrario. Affiora il desiderio di fare, di non restare in silenzio a guardare, di non arrendersi alla radicata indifferenza, ai condizionamenti, ai falsi stereotipi. Dice una del gruppo al termine della discussione e confronto “ é stato un bellissimo incontro, ancora oggi continuo a riflettere su tutto ciò che ci siamo dette; c è un duro lavoro da fare, noi ci proviamo. Si colora di luce quel piccolo universo, di donne in fermento, nel cuore e nelle idee.