“Blackout dal 25 al 26, dalle 9 (di sera) alle 4 del mattino, in attesa di un altro anniversario di blablabla, e oggi, 26, è andata via di nuovo (l’elettricità) per festeggiare una bella festa e ricordare perché siamo così in un giorno come questo”, ha scritto su Twitter Hebert Perera (@HebertPerera) lo scorso 26 luglio da Cuba. Era il giorno della commemorazione del 66imo anniversario dell’assalto alla Caserma di Moncada, che ha dato il nome al cosiddetto “Movimento del 26 luglio”, che successivamente portò al potere Fidel Castro e i suoi seguaci nel 1959.
Così il social network ha svelato la realtà cubana al di là del mito del socialismo tropicale. Una semplice ricerca degli hashtag #ApagonesProgramados, #ApagonesCuba e #ReportoApagonCuba su Twitter permette di leggere le testimonianze dei cubani e guardare il vero volto del sogno rivoluzionario, con centinaia di denunce che hanno confermato che l’isola è stata per diverse ore al buio e che la mancanza di luce si stava verificando con una regolarità che di solito caratterizza le interruzioni pianificate.
462 interruzioni di energia elettrica in una settimana e mezzo. È stato il conteggio fatto dall’organizzazione “Inventario”, creata dalla giornalista cubana Barbara Maseda, che ha chiesto ai cittadini cubani di denunciare i blackout sui social. Il risultato? Solo “da lunedì 8 luglio a venerdì 19 luglio abbiamo raccolto 426 segnalazioni da 90 quartieri (identificati) e 69 comuni delle 15 province del Paese”, si legge sul sito proyetoinventario.org.
Ma i blackout sono di vecchia data e ciclici. I cubani intervistati dalla testata online Martí Noticias affermano che i blackout sono in atto da molto tempo e che si verificano soprattutto nelle ore di punta, proprio quando le persone devono cucinare con le pentole e le stufe elettriche che Fidel Castro ha imposto alla popolazione come parte della sua rivoluzione energetica nel 2004. Già dall’anno 2016 la stampa cubana di opposizione aveva messo in allerta sul problema e nel febbraio del 2018 Martí Noticias aveva informato che si erano bloccati quattro dei nove impianti del sistema di generazione termoelettrica cubana.
Come al solito il regime ha tentato di negare la realtà. A giugno la direttrice dell’unità di “Uso Racional de Energía de la Unión Eléctrica” (uso razionale dell’energia dell’Unione Elettrica”), Elaine Moreno Carnet, aveva dichiarato attraverso il sistema televisivo cubano che non erano previsti blackout programmati per questa estate. E poi, di fronte all’evidente crisi energetica, il governo cubano ha confermato il problema: il ministro dell'Energia e delle Miniere, Raúl García Barreiro, ha attribuito le interruzioni del servizio elettrico a "guasti di alcune centrali termoelettriche, che hanno coinciso con la manutenzione programmata in altre”.
E arriva la verità: l’isola ha carenza di carburante per la produzione di energia. Finalmente lo ha riconosciuto il regime su Twitter: “Si è verificato un deficit di importazione di carburante, che ci ha costretto a stabilire misure di restrizione interne per il suo consumo, evitando possibili effetti sulla popolazione e sulle principali produzioni e servizi dell'economia”, ha scritto il ministro Miguel Diaz-Canel Bermúdez, presidente del Consiglio di Stato di Cuba.
La causa? Si è chiuso il rubinetto venezuelano. Circa il 95% dell'elettricità che viene consumata a Cuba è prodotta dalla combustione del petrolio e l’azienda petrolifera venezuelana Pdvsa provvedeva al 98,4% della domanda (secondo dati ufficiali del 2010), come risultato dell’accordo siglato tra Hugo Chavez e Fidel Castro: servizi medici in cambio di petrolio e parte di tale combustibile veniva in seguito riesportato da Castro, un affare perfetto per i cubani. Nel frattempo, il Venezuela si dissanguava fino ad arrivare a una crisi economica senza precedenti, che con il tempo ha obbligato a limitare drasticamente l’invio di petrolio. “Al culmine delle relazioni bilaterali, nel 2012, il Venezuela ha esportato 105.000 barili di petrolio al giorno a Cuba; nel 2017 l'offerta è scesa a 55.000 barili e si stima una riduzione a 47.000 barili a marzo 2019”, hanno affermato gli economisti Carmelo Mesa-Lago e Pavel Vidal Alejandro, sul rapporto “El impacto en la economía cubana de la crisis venezolana y de las políticas de Donald Trump”.
La crisi venezuelana ha avuto metastasi sull’isola. Oltre al problema della mancanza di energia e di lunghe file per il rifornimento di benzina, negli ultimi mesi Cuba ha anche subito carenze di cibo e medicine, rispecchiando il baratro venezuelano. Sono i lasciti perniciosi della rivoluzione di Fidel Castro: “Per Cuba, la crisi del Venezuela è stato un duro colpo. Ma la realtà è che sono loro che hanno contribuito alla distruzione del Venezuela. Hanno portato il loro sistema totalmente inefficiente in Venezuela”, ha detto al quotidiano spagnolo ALnavío Anna Ayuso, ricercatrice senior per l'America Latina presso il Centro internazionale di informazione e documentazione di Barcellona. La crisi venezuelana ha svelato le debolezze del regime cubano. È questione di tempo, il blackout chavista potrebbe significare la fine del castrismo e, di conseguenza, la fine dell’utopia comunista in America Latina.
Pubblicato anche da La Nuova Bussola