"Canova è faticoso, pesante, anche per me che lo devo raccontare.
Non puoi fare battute con Canova.
Proverò l'impossibile: renderlo divertente, accostandolo con il presente". Dopo Caravaggio, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Pasolini, Dante e Giotto, cavalcando l'occasione del duecentenario della morte (1757-1822), Vittorio Sgarbi porta a teatro il massimo esponente del Neoclassicismo in scultura, "il nuovo Fidia", come fu ribattezzato. Sarà infatti Antonio Canova, tra innocenza e peccato il suo nuovo spettacolo per la stagione 2023-2024, atteso, tra le altre date, al Manzoni di Milano il 27 e 28 febbraio e dall'8 al 10 marzo al Teatro Olimpico di Roma. "Per le celebrazioni lo avevo già festeggiato non meno di un centinaio di volte - racconta il critico - per cui è un tema per me insopportabilmente noioso. Anche lui, Canova, è un po' noioso, frigido, freddo. Un meraviglioso scultore, la sintesi di tutto e la fine della nostra civiltà: il nuovo Raffaello, possiamo dire. Ma la sua fama fu giustamente stroncata dal mio iper-collega Roberto Longhi quando nel 1946, per commentare una mostra a Venezia dopo la guerra, disse: 'Antonio Canova, lo scultore nato morto, il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all'Accademia e il resto non so dove'. L'aveva annientato per sempre". Poi altri grandi storici e critici "l'hanno fatto rinascere ed è diventato quel che oggi sappiamo. Ma l'eco di quelle parole è sempre con me". Intimamente vicino alle teorie neoclassiche di Winckelmann e Mengs, Canova ebbe prestigiosi committenti, dagli Asburgo ai Borbone, dalla corte pontificia a Napoleone, sino alla nobiltà veneta, romana e russa. Tra le sue opere ci sono capolavori assoluti come Amore e Psiche, Le tre Grazie, Paolina Borghese, oggi esposti nelle sale dei musei più celebri al mondo, ma che per una sera torneranno insieme in scena tra i racconti e le immagini dello spettacolo. "Certo - prosegue Sgarbi - non si può negare che Canova rappresenti la bellezza ideale, soprattutto rappresenta la forza dell'arte che supera la vita. Pensiamo anche a La Muta di Raffaello o alla Gioconda: tutti ritratti viventi e parlanti, molto più di coloro che le hanno ispirate e sono diventate invece cenere e polvere. Paolina Borghese, che è una figura meravigliosa" nella scultura custodita alla Galleria Borghese a Roma, "è talmente vicina alla nostra sensibilità che lo scorso anno un austriaco le si è seduto accanto per un selfie e le ha rotto due dita. Eppure, proprio lei, Paolina, a un certo punto della sua vita, invecchiata, scrisse al marito Camillo: 'quest'opera, che è così oscena e viene mostrata a tutti quelli che entrano, vorrei che venisse buttata via, vorrei non vederla mai più'. La sua idea era cancellare l'arte perché la sua vita fosse rispettata. Quindi, l'arte come insulto alla vita: tu te ne vai e rimane il tuo ritratto". Ma Canova, prosegue Sgarbi, "è stato anche un grande politico, perché ha riportato in Italia molte opere che quel ladro di Napoleone aveva trafugato in Francia. Ecco - riflette - tutto questo si può raccontare in tanti modi. Però alla fine per cavarmela ho pensato a uno spettacolo che fosse più proiettato verso il futuro, accostandolo all'oggi e anche al suo diverso. Canova ha una forza tale che ispira gran parte della contemporaneità. Pensi a Helmut Newton e pensi a lui. Come per Robert Mapplethorpe, Edward Weston: un gran quantità di fotografi in bianco e nero che si ispira a un modello classico come il suo e lo porta al nostro tempo. E c'è anche Miroslav Tichy, un grande fotografo ceco che rubava le fotografie alle donne", scattando con macchine fotografiche fatte in casa e vivendo come un senza tetto. "Ecco - sospira Sgarbi - nel confronto con il moderno forse me la caverò". Ansa