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Lunedì, 06 Gennaio 2020 03:46

Hong Kong, territorio in disputa

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Hong Kong, territorio in disputa foto e testo di sebastiano casella/AGORÀ MAGAZINE

Chiudiamo con questo articolo il reportage di Sebastiano Casella da Hong Kong, un’analisi storica di un’area geografica contesa da sempre. Per gli altri articoli del giornalista potete vedere giù dopo il nome dell’autore, gli altri servizi e filmati della cronaca delle ultime settimane.

Hong Kong, il porto profumato. Il primo punto di contatto tra inglesi, portoghesi e pescatori locali che vivevano lungo la costa cinese meridionale, durante il corso del XVI secolo, avvenne proprio in questi paraggi, a ridosso di un'insenatura ben protetta dai tifoni, un tratto di mare profondo e ideale per l'ancoraggio dei grandi mercantili. Hēung Gòng, come veniva allora chiamata in cantonese, era la zona costiera dove venivano immagazzinati gli arbusti d’incenso e i legni di sandalo prima di essere trasportati verso altre destinazioni del continente asiatico. Se ne poteva percepire il profumo intenso già in mare aperto, a miglia di distanza.

L’estuario del Fiume delle Perle, che separa Hong Kong da Macao e sbocca impetuoso nel Mar Cinese Meridionale dopo una corsa di oltre 2000 chilometri, era a quell'epoca infestato di corsari giapponesi, pronti a difendere il proprio dominio assoluto fatto di arrembaggi e ruberie, ma ciò non frenò le mira espansionistiche e l'avidità dei mercanti europei, cui si unirono di lì a poco anche gli americani e i russi. A partire dalla metà del XVI secolo e per tutto il periodo successivo, avviarono un fiorente commercio internazionale, basato fondamentalmente sullo scambio di argento con spezie e porcellana cinese.

Nel corso dei decenni, però, le cose mutarono drasticamente, e per il peggio. Chi ne approfittò furono proprio gli Inglesi, e soprattutto la Compagnia delle Indie Orientali. I mercanti occidentali cominciarono a pretendere dai contrabbandieri locali di pagare le spezie in oppio piuttosto che in argento. La “fragranza nera" era conosciuta in Cina sin dai tempi della dinastia Tang, tre secoli prima dell'anno Mille, ed era utilizzata in medicina erboristica per lenire i dolori.

Poi ne furono scoperti gli effetti ludici, legati soprattutto al sesso, e divenne la droga dell'elite imperiale: i membri della dinastia Ming, tra il 1300 e il 1600, la usavano assiduamente per garantire la fecondità delle donne e la virilità maschile. Con il passare del tempo si diffuse via via tra le classi popolari e molti intellettuali cominciarono a condannarne l'uso per gli effetti secondari e per la dipendenza che creava, indebolendo il fisico e lo spirito degli eserciti e del tessuto sociale. Per questo, nel corso del 1800, gli imperatori avvertirono il potenziale pericolo e ne bandirono il commercio: ma era già tardi.

Lo stratagemma usato era semplice e geniale allo stesso tempo: le navi da carico bypassavano il divieto trasferendo il prezioso lattice in alto mare, utilizzando dei magazzini galleggianti che permettevano alle più piccole imbarcazioni dei contrabbandieri locali di raggiungere indisturbate la costa, mentre quelle inglesi entravano regolarmente in porto per essere ispezionate dai doganieri cinesi. Pablo Escobar Gaviria, e il narcotraffico sudamericano, sarebbero giunti solo molto tempo dopo, non inventando nulla.

Attorno alla metà del 1800, l'equilibrio si ruppe definitivamente con lo scoppio in successione delle due guerre denominate, appunto, Guerre dell'Oppio.

Con un esercito obsoleto, l'impero della dinastia Qing dovette soccombere dinnanzi alle più moderne e meglio organizzate forze inglesi, cui si unirono in breve quelle di quasi tutte le potenze militari europee, coloniali e non. Con il Trattato di Nanchino del 1842, e con il successivo, concluso a Tientsin nel 1860, i mercanti inglesi imposero e ottennero il libero accesso a tutto l'Impero, il pagamento di risarcimenti stellari nei confronti della coalizione, la cessione in perpetuo dell'isola di Hong Kong, l’adozione della clausola della nazione più favorita, l'esenzione totale dai dazi commerciali, l’istituzione di consolati con carattere di extraterritorialità e la completa apertura al commercio europeo tramite l'assegnazione forzata di concessioni governative, con l'inclusione delle nazioni che avevano combattuto al fianco delle truppe inglesi: Prussia, Danimarca, Spagna, Olanda, Belgio, Russia, Stati Uniti e persino l'Italia.

Il commercio dell'oppio tornò così a essere pienamente legale. Il Celeste Impero, una delle più

antiche culture che l’umanità abbia mai visto nascere nel corso degli ultimi due millenni, cadeva allora definitivamente al tappeto, emarginato e sottomesso dalla comunità degli stati internazionali, senza nessuna colpa se non quella di avere il mondo contro. Con l'epoca buia dei “trattati diseguali", si apriva quello che viene definito il “secolo dell'umiliazione", ancora oggi ricordato dal popolo cinese come una delle pagine più tristi e disonoranti della loro storia recente.

A partire dall'acquisizione coatta dei Nuovi Territori avvenuta il 1 luglio 1898, la regione continentale che si trova immediatamente a nord di Hong Kong e che confina con il Guangdong cinese, ha inizio formalmente il dominio assoluto della Corona d'Inghilterra ed è da questa data che entra in vigore la locazione della durata di 99 anni che segna un prima e un dopo ben definito nella storia delle relazioni tra Cina e Gran Bretagna.

Dopo una serie di negoziati presieduti dall'allora Primo Ministro Margareth Thatcher e da Den Xiaoping al principio degli anni 80, nel 1997 sarebbe avvenuto il cosiddetto “handover", il definitivo passaggio di consegne tra i due paesi, regolato dalla Basic Law, la Legge Fondamentale, che avrebbe dovuto preservare i diritti speciali acquisiti dagli hongkonghesi rispetto alla Cina continentale e, cosa più importante, garantirne l'assetto democratico nonché il pieno rispetto dell’integrità sostanziale da parte del gigante comunista. Con la stessa legge, quindi, veniva stabilito che nei successivi cinquanta anni, sino al 2047, Pechino si sarebbe impegnata a non intaccare lo status privilegiato di Regione ad Amministrazione Speciale di Hong Kong.

Tutto andò come previsto, e il passaggio di consegne, a parte il giustificato timore dovuto nel 1989 alla tragedia dei cinquanta giorni delle proteste giovanili di Piazza Tienanmen, avvenne senza problemi: la città, dopo decenni di crescita economica quasi ininterrotta, crescita che raggiunse di media poco meno del dieci per cento annuo del PIL, cambiò di padrone e continuò ad essere, per volume d'affari, la seconda Borsa orientale dopo Tokyo, ponendosi a capo delle cosiddette Tigri Asiatiche, proprio in concomitanza della loro massima espansione commerciale.

Quello che un tempo era stato battezzato come il “porto profumato” per via del sandalo, dell’incenso e dell'oppio, aveva imparato a riconoscere nell'aria un altro profumo, ben più penetrante e prezioso di spezie ed oppiacei: quello del denaro. Che confluiva sotto forma di investimenti miliardari da ogni parte del mondo, grazie soprattutto alla politica distensiva tenuta dalla Cina e dalle nazioni occidentali, Stati Uniti in testa, che sin dagli anni 70 avevano avviato una politica di progressiva apertura, culminata, dopo diversi decenni di isolazionismo, con la teoria dell' “Open Door" promossa dall'allora leader de facto Den Xiaoping.

Lo scopo era quello di far giungere in maniera continuativa a Hong Kong fiumi di “fresh founds" dall'estero, benessere economico generalizzato e riconoscimento internazionale verso un sistema finanziario che sarebbe stato poi in grado di raggiungere, nel 2017, un reddito pro capite di 61000USD, contro i 59000 degli Stati Uniti, i 43000 della Gran Bretagna e gli appena 38000 dell'Italia. Un miracolo economico a tutti gli effetti.

La Hong Kong che gli Inglesi hanno lasciato nel 1997 era, per ovvie ragioni, profondamente diversa da quella che si trovarono ad amministrare 99 anni prima. La forza garantista e la certezza del diritto non scritto insite nei principi fondanti del Commonwealth britannico portarono indiscutibilmente una ventata di dinamismo nelle masse di cinesi che, in periodi successivi, emigrarono dalla Mainland continentale per tentare la fortuna a Hong Kong, in cerca di un futuro migliore rispetto a quello che si lasciavano alle spalle. Qui, finalmente, trovavano opportunità che mai prima d'ora avevano potuto avere. Ed esiste ancora un debito di riconoscenza verso l'Inghilterra. È sufficiente dare un'occhiata alle manifestazioni odierne per vedere l'Union Jack sventolare sopra un tappeto di mani rivolte al cielo, oppure basta chiedere in giro per sentirsi rispondere in modo quasi unanime che quello, secondo gli hongkonghesi, è stato di gran lunga il loro periodo migliore.

Ma Hong Kong è mai stata davvero libera, sotto Londra? Se a prima vista parrebbe di sì, la storia sembra portarci effettivamente da un'altra parte.

Assieme all'adozione del Commonwealth, gli Inglesi hanno portato nella nuova terra il blocco di caratteristiche proprie dello stile austero e del british colonialism, dove si respirava una forte aria di snobismo e la differenziazione di classe che, materialmente oltre che concettualmente, serviva a garantire la continuazione dello status quo esistente, ne era la sua più intima espressione.

La famigerata Peak Reservation Ordinance, pensata da Sir William Robinson, Governatore dell'isola dal 1891 al 1898, ed entrata formalmente in vigore nel 1904, ci aiuta meglio a capire il concetto in questione.

Sebbene fosse stata inizialmente concepita come una misura di carattere sanitario per separare l'etnia locale dagli Europei negli anni in cui, nella Cina meridionale, si verificò una terribile epidemia di peste bubbonica, che nel giro di pochi mesi segò la vita di quasi 200mila persone, in pratica, con il passare dei decenni si trasformò in un provvedimento di segregazione razziale. Analizzando la situazione dal punto di vista demografico, i medici governativi giunsero alla conclusione che i focolai di peste si trovavano tutti nella parte bassa dell'isola, a ridosso delle coste, dove viveva la stragrande maggioranza di famiglie cinesi in insediamenti malsani e carenti di igiene.

Da anni le elite europee si erano invece “rifugiate” più in alto, lungo i pendii scoscesi del Victoria Peak, nel centro dell'isola, che ancora oggi, con i suoi quasi mille metri di altezza, garantisce ai turisti fresco e viste capaci di togliere il respiro. Per garantire questa separazione, fu promulgata la legge che appunto prese il nome della collina e che faceva divieto ai cinesi e alle altre etnie di potervi abitare, con l'esclusione della servitù domestica, fino a un massimo di 20 impiegati per famiglia benestante.

Non solo. Quando venne costruita la prima linea ferrata, nei primi anni del ‘900, ai cinesi era vietato l'utilizzo del tram negli orari della mattina, prerogativa occidentale, e l'unico modo per raggiungere i posti di lavoro nelle residenze degli europei era quello di affrontare a piedi i lunghi tornanti dell’unica strada in salita.

Provvedimenti simili furono quelli tesi a garantire la sicurezza cittadina, come La Light and Pass Ordinance del 1888, ad esempio, che obbligava l'etnia cinese a camminare nelle ore notturne utilizzando una lampada a petrolio da tenere appesa al collo per essere riconoscibili dai poliziotti di ronda, e si basò sul razzistico convincimento che i cinesi fossero tutti dei criminali. Mentre la European District Reservation Ordinance, sempre del 1888, proibiva ai cinesi l'affitto di unità abitative che non fossero conformi al principio di “una casa per una famiglia", andando così a erodere le loro tradizioni secolari che prevedevano invece la convivenza, sotto lo stesso tetto, di più nuclei familiari consanguinei. Inutile dire, ovviamente, che ciò moltiplicasse il profitto dei proprietari delle case date in locazione, i cui terreni erano esclusivamente di proprietà occidentale.

Tutte le ordinanze in questione, dopo vari tentennamenti giuridici, furono abrogate solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945.

“La regina è nuda!" ama ripetere John Newsinger, il professore universitario inglese di orientamento marxista che ha scritto nel 2014 “Il libro nero dell'Impero Britannico”. Nessuno sarebbe in grado di azzerare lo splendore delle gesta eroiche e il contributo essenziale dato dalla Gran Bretagna allo sviluppo della civiltà umana nel mondo: e certamente neppure Newsinger vi è riuscito, semplicemente perché andrebbe contro quello che è il giudizio della Storia, ampiamente a favore di quella che qualcuno definì la “perfida Albione". Il testo è chiaramente di parte ma riesce, in maniera quasi dissacrante, a squarciare quel velo di “doppia morale" utilizzato da Londra, sin dai tempi dell’abolizione della schiavitù, per il mantenimento dei suoi territori d'oltremare, i pezzi pregiati di un Impero che non è stata mai realmente intenzionata a cedere. Hong Kong è ancora uno di quelli.

foto e testo di sebastiano casella/AGORÀ MAGAZINE

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