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Domenica, 17 Luglio 2016 01:16

Cose Turche in Turchia

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Ieri sera, attorno alle 22, lo stato maggiore dell'esercito turco aveva annunciato sul suo sito: "Abbiamo preso il potere per proteggere la democrazia e ristabilire i diritti civili".

Gli insorti avevano giustificato il golpe con la "restaurazione dell'ordine costituzionale, della democrazia, dei diritti umani e delle libertà, garantendo che la legge regni di nuovo nel Paese".


Nel comunicato delle forze armate si era precisato che "tutti gli accordi internazionali sarebbero stati mantenuti, e le buone relazioni con tutti i Paesi del mondo continuate". I militari golpisti hanno istituito la legge marziale e disposto il coprifuoco.

Hanno poi preso il controllo e sospeso le trasmissioni della rete radiotelevisiva statale nella cui sede è avvenuta un'esplosione.

Sono stati bloccati gli accessi ai social network Facebook e a Twitter.

Ma la tv ha ripreso a funzionare nella notte, quando i soldati hanno lasciato la sede dell'emittente statale dopo l'ingresso nell'edificio di una folta folla lealista.

Il golpe dunque è fallito, anche se, nonostante le assicurazioni del governo, per tutta la notte e fino all'alba sono proseguiti gli scontri e i bombardamenti, concentrati soprattutto intorno all'area del palazzo presidenziale ad Ankara dove poco prima delle 5.30 c'è stato anche un nuovo bombardamento aereo con un F-16 che ha lanciato ordigni contro i tank schierati intorno al palazzo presidenziale.

Regista degli insorti sarebbe stato l'ufficiale Muharrem Kose, rimosso nel marzo scorso dallo staff dello Stato maggiore turco, mentre il comandante delle forze terrestri turche, il generale Hulusi Akar, capo di stato maggiore fedele al presidente, è stato preso in ostaggio dai golpisti e poi liberato. 

Si ritiene anche che, a sostenere il golpe (ma lui lo nega), sia stato Fethullah Gülen, un religioso, ex alleato di Erdoğan, che da diversi anni vive in esilio autoimposto negli Stati Uniti.

Gülen è promotore di una visione dell’Islam più liberale e, secondo molti commentatori, ha infiltrato i vertici della polizia e dell’intelligence con i suoi sostenitori.

Il presidente Erdogan, dopo una rocambolesca fuga nella notte nei cieli turchi, è ritornato ad Istanbul dopo aver avuto la certezza del fallimento del golpe.

L'evoluzione dell'insurrezione di parte dall'esercito organizzata dai colonnelli (coinvolti solo pochi generali), è stata seguita con la massima attenzione dalla Russia (tra i due Paesi è stata fatta di recente pace dopo un lungo periodo di forte tensione) e dagli USA, essendo il Paese componente della Nato.

Alla fine il bilancio parla di 1.563 militari arrestati ed oltre 200 morti, fra cui 104 golpisti, , 41 poliziotti, 2 soldati fedeli al governo e 47 civili. 

Come ricorda oggi il Post, in Turchia l’esercito viene considerato il garante della laicità dello stato, un principio stabilito dal fondatore del moderno stato turco, Mustafa Kemal Atatürk.

Dagli anni Sessanta a oggi, i militari turchi hanno realizzato con successo tre colpi di stato: nel 1971 non ci fu nemmeno il bisogno di fare uscire i soldati dalle caserme.
Restano in sospeso, comunque, molti interrogativi.

Ad esempio quanti militari siano stati coinvolti nel colpo di stato e perché sia stato tentato proprio ora.

Ancora (e soprattutto), quali saranno le conseguenze di quello che è successo, cioè se il potere di Erdoğan ne uscirà rafforzato o meno, dal momento che, negli ultimi mesi il governo turco non ha passato un gran periodo, con vari attentati terroristici (l’ultimo dei quali all’aeroporto di Instanbul lo scorso 28 giugno); lo scontro con i curdi che si è intensificato e la difficile gestione di centinaia di migliaia di profughi provenienti soprattutto dalla Siria.

Ciò che per oggi sappiamo (scrive il Corriere) è che la controffensiva del Governo non si è fermata solo alle forze dell'esercito.

Infatti, l’Alto consiglio di giudici e procuratori, massimo organismo di controllo dei magistrati, ha rimosso dall’incarico 2745 giudici in tutto il Paese, perché sospettati di collegamenti col religioso musulmano Fethullah Gülen, e, lo stesso Consiglio (equivalente del nostro Consiglio superiore della magistratura), ha emesso un ordine d’arresto per nove giudici della Corte Suprema.

La polizia ha inoltre arrestato dieci giudici del Danistay, il Consiglio di Stato e, secondo alcune indiscrezione, anche Alparslan Altan: uno dei 17 giudici della Corte costituzionale.

Di fatto, come scrive oggi Vincenzo Marinone, dopo il fallito golpe, la Turchia ha perso la sua spina dorsale: l’esercito, che di fatto ha tradito il ruolo di custode dell’eredità kemalista, un’eredità che è parte fondamentale dell’idea turca di nazione, che ha gettato radici e intessuto il legame sociale. È questo lo strappo più profondo e denso di conseguenze.

I turchi che continuano a sostenere il presidente, legando al suo successo politico il loro riscatto sociale ed economico, hanno ormai perso qualsiasi timore reverenziale nei confronti delle forze armate e della loro interpretazione dell’ideologia kemalista, e non sono più disposti ad accettare intromissioni dei militari nella politica.

I militari hanno fallito, ora l’esercito non significa più niente o forse significa altro, e questo “altro” non può che stare su un livello più basso.

Allo stesso tempo innalzando quello della politica e commettendo, di fatto, una sorta di suicidio o meglio di parricidio, distruggendo le fondamenta della nascita della attuale Nazione.

Dopo il golpe si è costituito un vuoto, con Erdogan pronto a reclamarne quel vuoto per sé, data l’incapacità degli altri partiti di rispondere ai bisogni della Turchia, e non solo di una parte di essa.

Dopo il 15 luglio esistono le condizioni perché il presidente turco possa chiedere poteri speciali per affrontare questa emergenza.

L’intera vicenda gli ha fornito il pretesto per nuovi arresti di oppositori, che potranno essere facilmente accusati di fare parte del cosiddetto ‘derin devlet’ (stato profondo), ossia di una sedicente alleanza di alti ufficiali militari e dell’intelligence, importanti magistrati e giornalisti, capi delle grandi industrie e alti esponenti del crimine organizzato che punta a rovesciare la democrazia.

Vedremo nel tempo cosa accadrà.

Più interessante è chiedersi (come ha fatto Matteo Colombo, giornalista e ricercatore dell’ISPI), perché il golpe è così miseramente fallito.

Il golpe è principalmente fallito perché non ha ottenuto alcun supporto politico nel paese e, ancora una volta, l’errore di chi ha tentato di prendere il potere è stato quello di riproporre un modello di colpo di stato ormai superato dalla storia, che prevede di azzerare il parlamento e attribuire temporaneamente il potere a un direttorio.

Così facendo, i golpisti si sono alienati il sostegno di chi si oppone a Erdoğan ma non ha intenzione di rinunciare all’attuale sistema parlamentare che, seppure fragile e imperfetto, è comunque per molti preferibile al potere militare.

La sconfitta dei golpisti nasce da una mancata comprensione dei cambiamenti nel paese e da una strategia troppo ambiziosa per un gruppo di ufficiali che agiva senza il supporto delle sfere dell’esercito e dei principali partiti di opposizione.

Un azzardo che avrebbe forse avuto qualche possibilità di successo soltanto se si fosse limitato a ottenere l’esilio o l’arresto del presidente Erdoğan, lasciando il potere nelle mani dell’Akp, magari guidato dall’ex premier Davutoğlu o dall’ex presidente Gül, o puntando alla formazione di un governo di unità nazionale per redigere una nuova Costituzione.

Certamente, però, dopo il golpe, si potrebbe assistere all’inizio di una grave crisi diplomatica tra Europa e Turchia, perché, come pare, se venisse confermato che la Germania ha rifiutato di concedere asilo ad Erdoğan, tale decisione scaverebbe un solco tra il presidente turco e il suo principale alleato europeo, creando ulteriori tensioni per quanto riguarda il processo di adesione della Turchia all’Unione.

Inoltre, potrebbe mettere in discussione gli accordi di collaborazione tra Ankara e Bruxelles per quanto riguarda il contrasto al terrorismo e la crisi dei rifugiati, delineando uno scenario che rischia di complicare le già difficili relazioni tra alcuni stati membri dell’Unione e la Turchia, e che avrebbe conseguenze ancora da valutare per l’intera regione mediterranea. 

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