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Sabato, 22 Dicembre 2018 12:34

Caracas nel caos, preda di miseria e saccheggi. Il dramma degli emigrati italiani che fuggono dal Venezuela

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Nel Paese sudamericano ci sono più di due milioni di connazionali che chiedono aiuto. "Servono leggi come ai tempi della crisi argentina"

Caracas nel caos. La profonda crisi economica che va avanti ormai da alcuni anni sta affamando la capitale del Venezuela. Il presidente Nicolas Maduro non ha strumenti per contenere le rivolte di piazza contro il carovita e la mancanza anche dei beni di prima necessità. Un reportage del Guardian fa la fotografia di una città un tempo viva e frizzante ricca di giovani trasformata in una grande bidonville. Il reportage racconta di un cataclisma che si è abbattuto sulla città, di cui Chavez voleva fare il centro della cultura e dell'arte in Sudamerica, simbolo di una rinascita economica e sociale. Ma, come gli esperti economisti sottolineano, "le politiche socialiste mal concepite, la corruzione sbalorditiva e il crollo dei prezzi del petrolio post-2014 hanno dato a Caracas l'aria di una nave che affonda". Oggi il Paese sembra arrivato a un punto di non ritorno: le imprese chiudono i battenti e le attività commerciali abbassano per sempre le serrande. Dovunque case all'apparenza abbandonate, infissi divelti e porte sbarrate con le travi in legno. La violenza e i saccheggi in città sono all'ordine del giorno.

In fuga dal Venezuela

Spinti dalla miseria e dalla paura, sono molti i venezuelani che ogni giorno si accalcano alle stazioni degli autobus e dei treni, piegati sotto il peso dei fagotti che racchiudono i pezzi essenziali della loro vita: si porta via quello che si può. L'unico modo per salvarsi spesso è lasciare il Paese. I voli a disposizione, quelli rimasti in attività, viaggiano a pieno carico e sono l'unico collegamento con il resto del mondo. Tra chi fugge ci sono italiani, emigrati iscritti all'Aire e oriundi che provano a riallacciare, per necessità, il collegamento con la patria da cui sono emigrati i loro nonni. Chiedono aiuto all'ambasciata o ai consolati, ma il rimpatrio non è cosa semplice.

La storia di Manuela e dei suoi sette figli

  "Stiamo riportato in Italia una famiglia in gravi difficoltà composta da una madre e dai suoi

sette figli piccoli", spiega a Tiscali News Michele Petraria, presidente del Comitato Molise Pro-Venezuela che da anni lotta per creare dei ponti sicuri per i cittadini italiani e per gli oriundi colpiti dalle difficoltà economiche e sociali. "Non appena termineranno le incombenze burocratiche, Manuela (questo il nome della donna ndr) e i suoi figli, ritirati da scuola per le grosse difficoltà a cui sono andati incontro in Venezuela, potranno raggiungere Roma e da qui Monacilioni, il paese molisano che li ospiterà".

Le leggi italiane non prevedono casi emergenziali come quello del Paese bolivariano, dove vivono circa due milioni di italiani oriundi - cioè con discendenza italiana ma cittadini venezuelani - e 142 mila emigrati iscritti all'Aire, il registro dei residenti all'estero. "Anche ai tempi della crisi argentina negli anni 2000 ci si mosse con leggi ad hoc. In questo caso siamo molto in ritardo", spiega Petraroia, impiegato presso il centro studi della Cgil ed ex consigliere regionale. "Quello che stiamo registrando è che tantissimi italiani chiedono di tornare e si stanno riversando presso i consolati per chiedere la cittadinanza del nostro paese sulla base di una discendenza familiare. Ma i consolati e l'ambasciata sono bloccati dalla mancanza delle risposte da parte dell'Italia".

 

I consolati in difficoltà

Il meccanismo che si innesca alla richiesta di cittadinanza è semplice nelle procedure ma difficile nell'applicazione, perché la pratica inoltrata al comune di origine del richiedente il più delle volte si arena. "Spetta ai comuni effettuare la ricerca anagrafica sulla discendenza, presupposto necessario per ottenere il passaporto - spiega -. Ma i comuni hanno il personale ridotto all'osso e oberato di lavoro". Così le pratiche rimangono bloccate per mesi senza risposta.

La cittadinanza italiana per molte di queste persone significa la salvezza: il passaporto è il lasciapassare per l'Europa, dove potrebbero rifarsi una vita. Ma si pensi anche ai piccoli paesi dell'entroterra italiano, oggi fortemente colpiti dallo spopolamento, da cui molti anni fa i loro nonni e bisnonni emigrarono per sfuggire alla miseria. "Qui si  potrebbe ospitare qualche famiglia e magari dare nuova linfa a servizi, come le scuole, che rischiano di chiudere per mancanza di bambini".

 

Dove solidarietà non basta

A Manuela e ai suoi figli, il comitato e l'Associazione Padre Giuseppe Tedeschi - dal nome di un missionario ucciso anni fa proprio in Venezuela - ha fornito tutto: una casa con l'affitto pagato dal comune che ora verrà arredata e attrezzata per il riscaldamento, vestiti e l'occorrente per la scuola. "E' ovvio che lo solidarietà non basta - dice però Petraroia - ci vogliono delle norme che favoriscano l'accoglienza per queste persone che potrebbero contribuire a rinverdire la popolazione dei nostri territori". Né più né meno di quello che ha fatto la Spagna che, più lungimirante dell'Italia, ha messo in campo da anni misure base che però fanno la differenza nell'integrazione; si pensi per esempio al riconoscimento dei titoli. "Significa che se arriva un medico, può svolgere la sua professione anche qui invece di essere costretto a rivolgersi ai servizi sociali", è il senso.

In Italia le leggi sono diverse ed è tutto molto più complicato. Anche in tempi di governi che innalzano la bandiera del "prima gli italiani", le risposte sono "a zero" con le istituzioni che "disconoscono l'italianità degli emigrati in difficoltà". "Noi chiediamo di insediare un tavolo di confronto permanente a livello regionale con tutti gli enti, tra cui prefettura, scuole e Asl, per seguire passo passo il dramma umanitario che sta obbligando tante famiglie italiane a rientrare nei paesi d'origine. Non possiamo abbandonare questi connazionali". (Antonella Loi) 

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