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Mercoledì, 10 Agosto 2016 06:30

Il cuore assente della riformulazione costituzionale

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Carlo Fusaro lo riconosce con chiarezza, tranquillamente (direi tranquillizzante).

In merito alla proposta di legge Costituzionale a cui saremo chiamati ad esprimerci tramite Referendum, non si tratta di una Riforma, ma di una riformulazione: “Non siamo dunque a un cambiamento della Costituzione, a una sua trasformazione in qualcosa di diverso, tanto meno – come pure i critici più accaniti sostengono – a un suo stravolgimento: siamo di fronte ad una incisiva modificazione che punta ad adeguare e ammodernare la sola seconda parte della Costituzione per renderla più funzionale (o meno disfunzionale…)[1].

Continuiamo ancora, come dal 1948 ad oggi, a “governare il vuoto”, come indica già nel titolo un magnifico libro di Peter Mair[2]. È la nostra storia, la nostra condanna, inesorabile e, finora, irreversibile: il vuoto politico da cui è sorto ha trasformato lo Stato italiano in un surrogato del potere incontrollato degli apparati dei partiti politici[3].

Questo è il “cuore” della riformulazione costituzionale proposta.

Non illudiamoci: “dar voce alle istituzioni territoriali e superare in quella direzione il bicameralismo paritario[4], è un bluff bello e buono che serve a far discutere di un argomento palesemente inutile, già noto e risolto dai costituzionalisti del 1948, per vincere il Referendum e ripristinare, in realtà, la restaurazione del vuoto giuridico su cui hanno dominato in tutti questi anni, incontrollati ed incontrollabili, gli apparati autoreferenziali dei partiti politici.

Il “cuore” della legge da giudicare non ha alcuna “logica costituzionale di fondo[5]. La legge sottoposta a Referendum non ha cuore e non ha alcuna logica costituzionale, tantomeno innovativa. È, forse, la più acerrima riformulazione costituzionale, delle tante che abbiamo avuto in questi anni, della esigenza di controllo e la definitiva totalizzante imposizione del potere fuori controllo di apparati autocratici che si lottano e si accordano nel simulacro di partiti politici che ci sono rimasti. È la riformulazione delle regole del gioco della “oligarchia che governa il mondo[6] a spregiudicato vantaggio di chi è totalmente fuori da ogni regola: le élite dominanti dei partiti politici.

Niente di nuovo sotto il sole, dunque.

Ci sono molti modi per vedere questa riformulazione autoritaria, ma non autorevole, del potere anarchico dei capi partito; e nasconderla dietro una nobile e necessaria riorganizzazione dello Stato, è la più becera delle mistificazioni.

Il modo migliore per smascherarla è l’analisi del “combinato disposto” degli artt.55 (comma 3°) e 67 – oltre altri – del testo di legge da referendare.

In sostanza in questi articoli si stabilisce che i nuovi senatori non hanno più rappresentanza nazionale mentre i deputati si.

La confusione è tanta.

Come fa un senatore che non ha rappresentanza nazionale e dunque legittimità istituzionale:

·       a esercitare “funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione Europea” (art. 55, c.4);

·       a concorrere “all’esercizio della funzione legislativa” (art.55,c.5) e in modo specifico “per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione costituzionale concernente la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’art.71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’art.65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma.” (art.70, c.1);

·       ad eleggere il Presidente della Repubblica (art.83, c. 1);

·       a restare in carica nonostante lo scioglimento della Camera dei Deputati (at.88, c.1);

·       a mettere in stato di accusa il Presidente della Repubblica (art.91);

senza alcuna rappresentanza nazionale?

E nell’esercizio di queste funzioni collettive nazionali ed internazionali, il senatore chi rappresenta?

Il suo elettorato? Quindi è legittimo che un rappresentate di un partito regionale autonomista, eletto al Senato in rappresentanza del suo elettorato personale, voti contro l’interesse nazionale in merito alle materie che riguardano la Costituzione, i referendum, l’Unione Europea, il Presidente della Repubblica? Ripeto: è legittimo che voti contro la Nazione, di cui non ha rappresentanza, in favore del suo personale elettorato di cui invece ha esclusiva rappresentanza?

Comunque, mettiamo da parte tutto questo che, come detto, non è il “cuore” della riformulazione costituzionale approvata dal Parlamento.

Il “cuore assente” della riformulazione è che la rappresentanza nazionale resta saldamente in pugno ad una Camera con deputati, la cui maggioranza è stata nominata da apparati di partito fuori da qualsiasi controllo (si può arrivare al 75% di nominati). Una maggioranza bloccata e costantemente ricattata che, oltre a fare tutto ciò che vuole delle Istituzioni, addirittura, tramite l’approvazione del suo regolamento “disciplina lo statuto delle opposizioni” (art. 64, c.2). Una maggioranza, comunque non eletta perché o nominata o composta con un premio su una base elettorale minoritaria, che promulga le leggi, in casi di urgenza, derogando alla pronuncia della Corte Costituzionale anche quando fosse chiamata in causa e stesse esprimendo il suo giudizio entro i trenta giorni previsti: cioè una maggioranza controllata da apparati di partito incontrollabili che, sulla base di una urgenza  indefinita e indefinibile, può promulgare leggi incostituzionali indipendentemente da tutto e da tutti (art.73, c.3).

Tutto resta saldamente dentro un vuoto giuridico esclusivamente trattenuto dal il potere anarchico dei propri apparati che riducono gli spazi di partecipazione dei cittadini sulle leggi di iniziativa popolare, la cui soglia di ammissibilità viene alzata da cinquantamila a centocinquantamila elettori, cioè triplicata, e che, per la cui presentazione richiede “un progetto redatto in articoli” (art.71, c. 3), competenza riservata, naturalmente, ad una élite tecnico, politica, intellettuale, spesso a semplici staff delle oligarchie dominanti.

La stretta autocratica, questa è l’unica logica della riformulazione costituzionale, millantata da un falso aggiustamento costituzionale, in perfetta sintonia con il costante deficit di democrazia che sempre abbiamo vissuto, dal 1948 ad oggi, e che sempre più estende la discrezionalità e il vuoto giuridico su cui si erge, concentrando tutto sul governo, che non a caso resta di nomina dell’unica Camera perfettamente controllata. Una Camera che, espressione di una minoranza diventa artatamente una maggioranza, elegge un Premier in quanto espressione di una maggioranza di una minoranza, cioè semplicemente il capo più forte, di volta in volta più forte, del partito maggiore.

La nomina della nomenklatura in un congresso di non si sa quanti iscritti, diretti o via web, è di fatto più importante della consultazione elettorale. E la possibilità che un capo partito non eletto sostituisca un Premier eletto, resta immutata e immarcescibile dal 1948 ad oggi.

Anzi, oggi di più e dunque peggio.

Pura autocrazia.


[1] Craiz Guido e Fusaro Carlo, AGGIORNARE LA COSTITUZIONE,Donzelli, Roma 2016.

[2] Mair Peter, GOVERNARE IL VUOTO, Rubettino, Soveria Mannelli 2016

[3] Maranini Giuseppe, IL MITO DELLA COSTITUZIONE, Ideazione, Roma 1996

[4] Craiz G. e Furaro C., cit. 2016

[5] Craiz G. e Fusaro C., cit. 2016

[6] Galli Giorgio e Bochicchio Francesco, SCACCO ALLA SUPERCLASS, Mimesis, Milano 2016

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