ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Lunedì, 05 Giugno 2017 09:26

Potenza Pride: la potenza dell’amore e il potere della censura

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Riceviamo e pubblichiamo - “Non con le tette al vento si affermano le idee e i principi e le grandi battaglie e le conquiste che voi avete saputo fare.” Si conclude così l’intervento di uno dei rappresentati delle istituzioni comunali accorse al Potenza Pride, la prima parata dell’orgoglio omosessuale della storia lucana, fortemente voluto e promosso da Arcigay Basilicata.

La dichiarazione, che pare essere una citazione di Morena Rapolla (membro del direttivo dell’associazione promotrice), è stata fatta in apertura della manifestazione e profetizza quanto avvenuto durante la sfilata. La presidente del comitato locale Arcigay, Nadia Girardi, ha operato una “spedizione punitiva” (così ella stessa l’ha definita) contro una attivista transessuale, colpevole di aver esposto al sole i propri capezzoli.

Tornando alla testa del corteo, più volte Nadia ha ribadito al microfono che questi gesti non potevano essere ammessi all’interno del corteo, in quanto ella stessa si era fatta garante di sobrietà con l’amministrazione, unico modo per ottenere le autorizzazioni necessarie.

Pare anacronistico questo atteggiamento, se assunto da una persona che rappresenta la comunità arcobaleno, la cui storia e la cui battaglia parte dall’autodeterminazione dei corpi e dalla consapevolezza dell’immenso potere politico di cui questi sono permeati.

Molte associazioni hanno ritirato le proprie bandiere in segno di protesta. Poco dopo, quelle stesse realtà hanno giustamente preteso che anche il ragazzo immagine, che stava ballando sul carro con addosso solo boxer attillati, indossasse una maglietta. I capezzoli di una donna transessuale, quei capezzoli che per lo stato italiano appartengono ad un uomo, sono più oltraggiosi dei capezzoli di un ragazzo cisgender? A quanto pare, in un mondo eteronormato e sessista, ancora sì. E rammarica realizzare che persino un comitato della maggiore associazione italiana (che ha nel direttivo due donne trans) si lasci piegare dalla scure machista ed eteronormante impugnata da non poche amministrazioni.

Questo episodio mi riporta a un anno fa, quando difesi a spada tratta la libertà di partecipazione e di espressione della persona che sfilò al Taranto Pride con un abito di rete.

Chi oggi a Taranto, durante i propri comizi per le imminenti amministrative, parla al singolare quando dichiara di aver portato quella manifestazione a Taranto, dimentica di indicare il nome di chi (il sottoscritto) ha fortemente voluto che la Città dei Due Mari ospitasse il pride regionale, quando né lui né altri che hanno cavalcato l’onda del pride (fondando altre associazioni fantasma, pretendendo sobrietà e per questo scontrandosi con me e con il resto del Coordinamento Regionale) credevano nella sensibilità dei nostri concittadini e delle nostre concittadine, e soprattutto dimentica di dire che, assieme ad un paio di altri esponenti locali del movimento lgbt e a un numero infinito di leoni da tastiera, ha sporcato la bella immagine del Puglia Pride 2016 con istigazioni all’odio e all’omicidio. “Gli avrei dato fuoco a quello!”: è solo una delle espressioni usate per il manifestante che, semplicemente, ricordava a tutti, tutte e tutt* che il corpo è il più potente strumento politico che abbiamo a disposizione.

Rinfreschiamo la memoria con l’articolo che redassi il 3 luglio 2016.

http://hermesacademy.blogspot.it/2016/07/la-volgarita-e-negli-occhi-di-chi-guarda.html?q=negli+o

“Non dobbiamo permettere che ci insultino.” Giuseppina La Delfa, già presidente Famiglie Arcobaleno, lo ha dichiarato ieri a gran voce al microfono, dieci minuti prima che la parata partisse. Ma noi, intervenuti al Basilicata Pride e rimastici fino alla fine senza battere ciglio, abbiamo permesso che la storia del nostro movimento, che è storia dei nostri corpi e dei nostri amori, fosse insultato.

Chiedo scusa a tutte le vittime dell’omobitransfobia e dell’omobitransfobia interiorizzata di ieri, oggi e domani per aver abbassato la testa. Chiedo scusa a chi ancora oggi lascia la nostra terra per amare alla luce del sole. Chiedo scusa ai fratelli ceceni e alle sorelle cecene e tutte le persone LGBTIQ che vivono negli oltre 70 paesi in cui la non eterosessualità è un reato. Chiedo scusa a chi a Taranto e in ogni parte del mondo non può fare coming out.

Aspiriamo ad essere noi stessi. Null’altro. Nessuno/a/* ha il diritto di dirci chi dobbiamo amare, come ci dobbiamo vestire e come dobbiamo fare l’amore.

Il corpo, come ho espresso in un articolo immediantamente successivo all’attacco all’Unar (http://hermesacademy.blogspot.it/2017/02/il-corpo-inteso-come-strumento-politico.html) è il vessillo della Libertà ed è lo strumento principe della lotta del movimento LGBTIQ, il quale dovrebbe imparare a comprendere quanto la sua più forte arma altro non è che la moltitudine di punti di vista e di esperienze in esso contenuto.

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