Ci sono voluti tre anni e mezzo. Ma alla fine Facebook sembra aver deciso come fare soldi con WhatsApp. Farà pagare le grandi imprese che vogliono usare il servizio per contattare direttamente i propri clienti. I dettagli non sono ancora noti, ma è questa la direzione scelta dal gruppo guidato da Mark Zuckerberg per monetizzare la gigantesca base utenti dell'app.
“Stiamo costruendo e testando nuovi strumenti – si legge sul blog ufficiale - tramite l'applicazione WhatsApp Business, gratuita e per piccole attività, e tramite una soluzione enterprise per aziende di maggiori dimensioni che operano su larga scala con una base clienti globale, quali compagnie aeree, siti di e-commerce e banche. Queste aziende potranno usare le nostre soluzioni per inviare ai loro clienti notifiche utili, come ad esempio gli orari di un volo, conferme di avvenuta consegna, o altri aggiornamenti”.
Verso la monetizzazione degli utenti
L'idea nasce dall'incrocio di esigenze e prassi: da un parte WhatsApp deve fatturare. Dall'altra sono stati gli utenti a piegare il servizio (in modo artigianale e non codificato) ai propri bisogni: “Abbiamo saputo di piccoli commercianti che usano WhatsApp per rimanere in contatto con centinaia di clienti da un solo smartphone”. E “sempre più persone hanno iniziato ad usare l'applicazione anche per comunicare con le aziende a cui sono interessate”.
Quindi perché non trasformare la consuetudine in fonte di ricavi? “Sappiamo – continua il post - che le aziende vogliono avere una presenza ufficiale, un profilo verificato, in modo che un utente possa facilmente distinguere il loro account da quello di un singolo individuo”. Da qui si parte: una spunta verde che indicherà i profili certificati, come avviene già su Facebook e Twitter. Quindi, ricapitolando: le imprese pagheranno per usare WhatsApp come piattaforma per promozioni e customer care. Si parte con un programma pilota, che sarà sottoposto alla risposta degli utenti: dopo aver atteso così tanto tempo per monetizzare, non è il caso di infastidire quel miliardo di persone che ogni giorno invia e riceve messaggi. La novità, quindi, dovrà essere tarata con cura.
Quando per WhatsApp la pubblicità era il Male
Di sicuro, però, si tratta di una piccola rivoluzione. Dal gennaio 2016, l'app è del tutto gratuita: l'appartenenza a un gruppo che macina miliardi di utili ha consentito il lusso di crescere senza l'affanno di avere ricavi significativi. In precedenza, quando era una società indipendente, WhatsApp campava con le sottoscrizioni. Pochi centesimi (89) per un abbonamento annuale.
Pubblicità? Un argomento che i co-fondatori Jan Koum e Brian Acton trattavano come la peste. In un post del 2012, scrivevano che “oggigiorno le aziende sanno letteralmente tutto su di voi, sui vostri amici, sui vostri interessi, e si servono di queste informazioni per vendere pubblicità”. Poi si rivolgevano agli utenti: “La pubblicità non è solo un’interruzione dell’estetica, è un insulto alla vostra intelligenza e un'interruzione dei vostri pensieri. Ricordate: quando si parla di pubblicità, il prodotto siete voi”. Con questi principi, la strada sembrava obbligata: l'abbonamento. “Quando le persone ci chiedono perché facciamo pagare per WhatsApp, siamo soliti rispondere “Avete considerato l’alternativa?”.
Poi arrivò Facebook...
Poi però arrivò Facebook, proprio una di quelle aziende che “oggigiorno sanno tutto su di voi e si servono di queste informazioni per vendere pubblicità”. Sborsa 19 miliardi di dollari e trova un'alternativa che Koum (tutt'ora ceo di Whatsapp) è pronto a battezzare.
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