Più di 150 anni dopo la conquista del florido Regno Borbonico, industrialmente avanzato e ricco di risorse minerarie, l’Italia appare ancora enormemente scissa.
“Noi fummo da secoli calpestati, derisi, perché non siam popoli, perché siam divisi. Raccolgaci un’unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l’ora suonò.” Mameli docet e noi italiani abbiamo ancora molto da imparare: i governanti, che poco fanno per ammodernare le infrastrutture di un Mezzogiorno i cui primi partigiani (i briganti) nel corso della cosiddetta annessione furono ammazzati come fuorilegge, e gli opinionisti da tastiera, che sui social sentenziano “venti terroni in meno”.
A Bari, intanto, a poche ore dallo scontro, lunghissima la fila per donare il sangue. Dopo l’appello, decine e decine di persone sono accorse al Policlinico per effettuare il prelievo: un modo spontaneo, poi rimbalzato sui social, questa volta volano di pace e amore. La nostra regione, da decenni meta ambita per migliaia di turisti italiani e stranieri, sia esempio di unità e operosità, anche in questi giorni drammatici.
Luigi Pignatelli, presidente dell’Associazione Hermes Academy Onlus – Arcigay Taranto
Su quel treno c’erano studenti, operai, lavoratori precari. Gente che quotidianamente cercava il futuro. Gente invisibile agli occhi dell’Italia che indossa giacca e cravatta, a chi usa il denaro e il potere politico come strumento di dominio. Su un barcone che attraversava il Mediterraneo, anni fa, c’era un popolo dimenticato dal mondo. Anche quel popolo cercava un futuro. E come loro sono chiamati “immigrati clandestini”, noi siamo chiamati “terroni”. Che questo orrore ci aiuti a capire che non deve essere la morte, ma la Vita, a renderci uniti nella stessa lotta per la libertà e contro ogni forma di discriminazione e oppressione sociale. E alla fine dobbiamo andare, che sia per mare su un barcone, o per terra su dei binari, nello stesso domani, ma vi prego, tenendoci per mano.
Michele Ciavarella, attivista LGBT
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