ANNO XVIII Novembre 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Venerdì, 05 Maggio 2017 00:00

Il Papa vuole mediatori socialisti per il Venezuela

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“Il dialogo non ha funzionato” in Venezuela. Lo ha accettato per prima volta Papa Francesco durante la conferenza stampa rilasciata sul volo di ritorno dal viaggio in Egitto. Lo aveva già evidenziato la Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV) nell’Esortazione Pastorale pubblicata il 13 gennaio 2017: “il suo risultato è stato deludente, principalmente a causa del mancato rispetto da parte del Governo degli accordi a cui si era giunti nella riunione del 30 ottobre 2016”, tra questi l’adozione urgente di misure per rifornire di medicinali e cibo il Paese e la risoluzione del conflitto tra la Corte Suprema di Giustizia e il Parlamento.

Dopo sei mesi da quegli accordi, risulta evidente che entrambe le situazioni non sono state risolte: la mancanza di beni di prima necessità e soprattutto di medicinali (oltre l’80%) sta uccidendo le persone, e ci troviamo con un potere legislativo esautorato per ordine presidenziale, tramite la sentenza della Corte Suprema di Giustizia emessa il 28 marzo 2017. 

Le parole del Papa hanno subito riacceso la discussione. “Le proposte non erano accettate o si sono diluite, era un sì, sì ma no, no…”, ha risposto al giornalista spagnolo Antonio Pelayo, senza fare riferimento all’esortazione dei vescovi venezuelani che evidenzia la chiara responsabilità del governo di Nicolas Maduro nel conflitto. Invece è arrivato il forte giudizio del pontefice contro gli oppositori: “l’opposizione è divisa”. Ora ci domandiamo: è più importante fare una critica alle divergenze dentro la coalizione di opposizione o denunciare l’uso delle forze armate per reprimere un intero popolo disarmato? Perché il Santo Padre non ha mai denunciato la grave azione dei gruppi armati filogovernativi “colectivos” contro le manifestazioni? Entrambi hanno ucciso persone e aggredito anche la Chiesa venezuelana, come mai tanto silenzio? 

A sorpresa arriva la rettifica durante il Regina Coeli. “Non cessano di giungere drammatiche notizie circa la situazione in Venezuela e l’aggravarsi degli scontri, con numerosi morti, feriti e detenuti. Mentre mi unisco al dolore dei familiari delle vittime, per le quali assicuro preghiere di suffragio, rivolgo un accorato appello al Governo e a tutte le componenti della società venezuelana affinché venga evitata ogni ulteriore forma di violenza, siano rispettati i diritti umani e si cerchino soluzioni negoziate alla grave crisi umanitaria, sociale, politica ed economica che sta stremando la popolazione”, ha dichiarato Jorge Mario Bergoglio domenica scorsa. Comunque è chiaro che qualcosa “si sta movendo”, come aveva già affermato il Papa nella conferenza stampa, ora il problema è chi sta movendo di nuovo le acque. “Credo siano i quattro presidenti”, ha detto il Papa sul volo. 

Un dialogo senza il socialista Zapatero. L’ex candidato presidenziale e attuale governatore di Miranda, Henrique Capriles Radonski, ha risposto a Bergoglio: “Ho sentito una dichiarazione del Papa. Prima parla dell’opposizione divisa, ma non è vero. Parla come se alcuni volessero dialogare e altri no. Tutti noi venezuelani vogliamo dialogare, ma non siamo disposti a un dialogo allo stile Zapatero”, sottolineando che è importante che il pontefice sappia che dopo l’annullamento del Parlamento “sono stati uccisi più di 30 venezuelani, ci sono centinaia di feriti e oltre 1400 arresti arbitrari”. Ha approfittato per ricordare che, di conseguenza, il capo della Procura Generale, Luisa Ortega, ha riconosciuto che in Venezuela esiste una “rottura dell’ordine costituzionale”.

Ma chi sono questi quattro presidenti dietro il dialogo di Papa Francesco? José Luis Zapatero è un politico socialista, membro del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE), già premier della Spagna durante il periodo 2004-2011. Durante il suo mandato la Spagna ha sofferto una grave recessione, ma in parallelo “ha moltiplicato sei volte la vendita di armamenti” e il Venezuela “era il suo miglior cliente”, secondo quanto pubblicato nella testata spagnola El Confidencial il 25 maggio 2012. “La Venezuela di Hugo Chávez, ha comprato 567 milioni di euro in materiale militare”, si legge nell’articolo di Angel Collado. 

Appaiono legami di amicizia tra i presidenti e il “chavismo”. Leonel Fernández è un politico dominicano, presidente del partito della Liberazione Dominicana, promotore di un nazionalismo di sinistra, già presidente della Repubblica Dominicana per tre mandati (1996-2000 e 2014-2012). Interessante ricordare le sue parole durante la commemorazione dei 60 anni dalla nascita del defunto Hugo Chávez, a Caracas: “per la sua eredità di solidarietà, oggi diciamo dalla sua terra, viva la memoria di Hugo Chávez!”, si legge nel suo Twitter (@LeonelFernandez). Invece Martin Torrijos è un politico panamense, membro del Partito Rivoluzionario Democratico (iscritto alla Internazionale Socialista), presidente del Panama dal 2004 al 2009. Non ha mai nascosto la sua amicizia con il presidente Chávez, accompagnandolo anche il giorno del suo funerale. 

E anche legami ideologici con il Socialismo del XXI Secolo. L'ex presidente della Colombia (1994-1998) e attuale presidente dell’Unione delle Nazioni Sudamericane, Ernesto Samper, ha affermato che il modello socialista applicato in Sudamerica ha prodotto risultati positivi; ha riconosciuto che alcuni governi abbiano avuto difficoltà, ma secondo lui questo non significa che tutti ce l’abbiano adesso.

Arriva Maduro con la sua “Costituente Comunale”. Ma cosa sarebbe? Nicolas Maduro ha affermato che si tratta di una costituente “femminista, giovanile, studentesca, indigena e anzitutto operaia”. Invece si tratta di una costituente che, così come è stata presentata, favorisce il definitivo smantellamento della repubblica attraverso la redazione di una nuova Costituzione su misura, per dare rango costituzionale al cosiddetto “potere comunale”: le “comunas” sono le organizzazioni di base affini al Partito Socialista Unito del Venezuela, una struttura parallela alla tradizionale divisione politica del Paese, creata da Hugo Chávez per limitare l’acceso alle risorse dello Stato soltanto a quelle comunità di maggioranza “chavista”. Quindi l’intenzione sarebbe limitare ancora di più la partecipazione politica nel Paese, dando spazio soltanto ai militanti del partito di governo.      

Sarebbe il consolidamento dell’auto-golpe. “Quello che propone Maduro è una truffa” perché ha decretato la Costituente senza una consultazione popolare. L’ha denunciato il deputato Julio Borges, presidente del Parlamento venezuelano, il quale ha inoltre evidenziato che il presidente vuole cambiare la Costituzione per “non permettere più elezioni universali e dirette” visto che, con l’implementazione del “potere comunale”, il cittadino non potrebbe votare più direttamente ma solo attraverso la “comuna”.   

Con questo scenario è possibile parlare di dialogo in Venezuela? Con mediatori di parte non sarà mai possibile. E basta guardare ai fatti oltre alle parole, per capire che Nicolas Maduro non ha intenzione di dialogare: mentre parla di “pace”, sono state uccise una trentina di persone e ci sono oltre 500 feriti come risultato dell’azione dei “colectivos” e della forte repressione delle forze dell’ordine, ormai abituata dell’uso massiccio di lacrimogeni. Purtroppo il dialogo è diventato il “jolly” del governo “chavista” per perdere tempo e allungare l’agonia del popolo venezuelano: “noi venezuelani ci sentiamo delusi per il dialogo senza risultato” ha affermato la MUD (coalizione di opposizione), in una lettera di risposta al pontefice. “L'unico dialogo che si accetta oggi in Venezuela è il dialogo dei voti. Sarebbe l’unica via per superare la crisi e ristabilire la democrazia, oggi, in un Venezuela sotto sequestro”.

Pubblicato anche da La Nuova Bussola

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