ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Domenica, 04 Giugno 2017 09:20

Carosino (Taranto) - In "Mi chiamo Eva" cinque storie di donne vittime del non amore

Written by  Elena Manigrasso
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È un libro che si legge tutto d’un fiato questo «mi chiamo Eva» dell’avvocato di Cassazione del foro di lecce Paolo Maci, non per la sua semplicità, ma al contrario per l’intensità delle storie. Cinque storie di donne abusate dai propri compagni. Queste le sue parole.

Nella sua intervista in conferenza stampa, quando lo ha presentato all’università di Taranto: “Spero che questo libro possa portare ad una battaglia comune, cioè ad una cultura di liberazione della donna, iniziando dal racconto di cinque donne sprofondate nella spirale dell’odio e persecuzione, ma che hanno avuto il coraggio di liberarsi da sole del loro aguzzino, per riprendersi la dignità e libertà violate.

Maci dice in prefazione: Dobbiamo sempre schierarci, la neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima; il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato, quello che è costretto a subire non solo violenza fisica ma anche sofferenze e umiliazioni”. Come schierarci di fronte alla vittima? Come fare per farla uscire dall’isolamento o dal silenzio? Nella prefazione l dice subito al lettore che le storie vorrebbe raccontarle come se fosse “lei”, capire come una donna cada nella spirale dell’amore malato, in un imbuto che la porta sempre più giù e non le fa muovere né braccia né gambe.

Capire la forza della donna che decide di raccontare la sofferenza nella sua famiglia, il nido che doveva amarla e proteggerla. “La tua amica ha fatto mille telefonate al marito, tu a me niente. Avevi altro da fare sicuramente”, e partono le offese a raffica. La toga come sfogo, come lacrime da asciugare; la toga come ultimo scoglio per risanare umiliazioni e credere ancora nella giustizia. L’amore folle e ossessivo non lascia via di scampo alla vittima. Lo confonde per troppo amore e ne rimane imprigionata. È uno dei più oscuri temi del genere umano perché fonde innamoramento e umiliazione, passione e prevaricazione.

È difficile denunciare quando c’è la dipendenza affettiva verso l’abusante? Le donne ne sono ferite ma alcune trovano la forza di reagire chiedendo giustizia nelle aule del tribunale. Qui essere credute è importantissimo anche perché non ci sono testimoni, dato che le umiliazioni si consumano nelle pareti domestiche, dove il compagno è sicuro di farla franca. A volte le offese sono sussurrate nell’orecchio della vittima: “Ti faccio fare una brutta fine”.

Oppure vengono manipolati i fatti: “Io? Non ti ho detto nulla, dormici sopra; non ti seguivo, facevo solo un giro”. L’amore che diventa manipolazione, senso di onnipotenza. Il tentativo di annientare o destabilizzare la vittima, o addirittura confonderla, sono processi consueti dell’abusante. La donna matura a poco a poco l’idea di riprendersi la libertà totalmente scippata dal compagno di vita, che ne fa ciò che vuole decidendo per lei. Questi gli elementi comuni delle cinque storie raccontate da Maci simili a migliaia di storie di donne, alcune raccontate altre no, per paura, pudore, difficoltà economica. Storie di chi ha vissuto e vive ancora la fanghiglia viscida del possesso fino alla fine dei loro giorni, storie di chi è riuscita a liberarsi per sentire l’odore fresco e cristallino della libertà.

Da leggere e da ascoltare al castello di Carosino ore 20,00 il 10 giugno 2017. Insieme a referenti di gruppi e comitati invitati per l'incontro: Avv Alessandro Gigante (comitato pari opportunità) Giovanna Massafra (Non una di meno) Lucia Calò (assessore pubblica istruzione) Cristina Leone (non una di meno) Lucilla Crivaglia (biblioteca Licia cavallo) Elena Monteleone (progetto babele) Elena Manigrasso (press)

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