ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Sabato, 02 Settembre 2017 00:00

Perdono = zum. -per-dun [-u-]

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Gesù, io ti chiedo perdono per non aver creduto in te vivo per la più parte della mia vita: ero agnostico e tu mi hai convertito nell’estate del 2003.

Io ti chiedo perdono per aver detto che nessuno mi avrebbe mai creduto e se ciò fosse, che un prete mai mi avrebbe dato ragione. Questo avvenne. Il canonico Rino Bechevolo mi ha citato nel suo Venanzio Fortunato, Vescovo di Poitiers, (2009).

A questo punto ascoltiamo anche cosa dice il prof. Carlo Forin, ricercatore di Archeologia del Linguaggio – Teonomasiologia fra Oriente ed Occidente.[…][1]

Io ti chiedo perdono per aver detto e scritto tante volte che un filosofo non mi avrebbe mai creduto. Oggi Vally mi ha detto che il ‘Vally’ che le ho dato è pesante; dunque non riesco ad essere levis. Perciò chiedo perdono anche ai lettori, alla redazione di Agoramagazine, a quella di Tellusfolio, che non si sono stancati. Oggi, la filosofa Marilena Perin, mi ha fatto pervenire questa riflessione dattiloscritta, che con un po’ di vergogna, vi trascrivo.

Ci si trova un po’ perplessi di fronte al lavoro compiuto dal Dr. Forin in questi anni, lavoro giunto ora al suo compimento ed edito integralmente[2]. Perplessi per la vastità della ricerca e per i numerevoli interrogativi che esso apre. Va subito detto che la sua è una ricerca filologica di indiscussa serietà; l’etimo della parola, l’origine prima su cui essa fonda è ciò che va scoperto. Da tanto tempo si dice che la nostra lingua è di origine indoeuropea; il lavoro di Forin invece va M.altrove, segue una traccia del tutto diversa sul sentiero aperto dal grande studioso della lingua Giovanni Semerano; un lavoro vasto e complesso, nuovo in quanto contro-corrente, talvolta non capito e non solo “fra i suoi familiari” ma anche da studiosi competenti.

Per dare il via alle tante domande che ci si pone si può dire che mai l’autore ha intrapreso questa ricerca. Forin è una persona che ama camminare in questa nostra bella terra di pianura e di colline. Conosce bene le strette vie di Ceneda, i sentieri che portano alle alture fra cui quello arduo del M. Altare. Da qui, dalla curiosità di sapere che cosa significa Ceneda, che senso ha il nome M. Altare e via dicendo è iniziata la sua ricerca.

Altare è Antares, una divinità antica e i nomi degli dèi sono lenti a morire. Il M. Altare s’erge roccioso e arduo a mezzogiorno, dolcissimo e ampio nella vasta conca a nord, invisibile da chi cammina al piano. Luogo protetto, sicuro e silenzioso, adatto al rito, luogo sacro che si perde nella notte dei tempi. Forin dai riti Celti è andato molto più in là, indietro nel tempo, fino ai Sumeri. Ha scoperto l’importanza ed il peso delle singole sillabe, la scrittura circolare di questo straordinario popolo, monito il primo, il peso delle sillabe, a pensare bene prima di pronunciare una parola, cosa incomprensibile ai nostri giorni; e monito anche l’altro aspetto, quello della scrittura rotonda, a cerchio, simbolo della perfezione, richiamo costante al divino. “Le parole che usiamo –cito Forin stesso – erano un dono di Dio prima di Cristo e dopo una nostra conquista”.

Per aprire un’altra soglia di valutazione di questo grande lavoro viene spontaneo chiedersi perché mai tanta fatica, quale il senso di tutto l’operato. Ho dato una mia interpretazione che qui propongo a chi scorrerà le pagine dell’opera come stimolo e invito perché altri appunto possano dire più e meglio di me.

Sfogliando le tante pagine ho notato che i sapienti studiavano gli astri e i movimenti dei pianeti, si sentivano parte integrante della natura, dell’universo, dell’Uno.

I Sumeri ponevano grande attenzione alle nascite, agli eventi naturali significativi, alle festività e ad altro. Il nato veniva portato al tempio dove il sacerdote gli dava il nome che sempre includeva, almeno in una delle sillabe, un segno di buon auspicio, una forma augurale, un segno di bene, in virtù del quale il nuovo essere vivente, e con lui il suo nome, fosse invitato al bene. Il nato e il suo nome erano sin dall’origine invitati al positivo. Se la scelta della persona poi, nel suo vivere, fosse diventata negativa doveva la persona stessa assumersi la responsabilità sia nei propri confronti, sia nei confronti altrui perché ogni essere è parte del cosmo, dell’universo. È bene onorare il nome cioè l’atto luminoso della nascita che la fragilità umana così spesso infrange.

Solo da Ur, città Sumera per eccellenza, poteva nascere Abramo, uomo ricco, appartenente ad una famiglia abbiente, uomo pio al contempo il quale intuì che la ricchezza non è tutto e che non è neppure duratura. Uscì con la sua gente da Ur e vagò per 40 anni nel deserto alla ricerca di una verità più sicura.

Ricordo a questo punto un passo di Berdjaev *[3] che forse fa sorridere ma anche molto pensare, il seguente: “Gli Occidentali sono sedentari, più attaccati alle forme perfezioniste della loro civilizzazione, hanno più a cuore il loro presente, aspirano al confronto sulla terra. Temono l’infinito, scorgendovi il caos, simili in ciò agli antichi greci”.

Ritornando a Forin dopo quanto detto mi è più facile capire come egli abbia potuto sorreggere una ricerca tanto faticosa, per anni, toccato anche dall’incredulità e dalla diffidenza altrui, perseverando nonostante tutto nella fatica. Questo va tutto a suo onore perché ha ascoltato la voce interiore, il suo io più profondo. Anche qui faccio una citazione di Vannucci * [4] che merita per la chiarezza. “Guardiamo tutti ai chicchi di grano che Dio ha seminato, cioè alle potenzialità che sono in noi e impegnamoci a portarle avanti con gioia perché siamo collaboratori di Dio nella sua creazione” ed un’altra citazione di Levinas * [5], simpatica ed anche poetica, la seguente * il bambino percepisce il silenzio della sua cameretta come brusio. Qualcosa di simile che si sente quando si avvicina all’orecchio una conchiglia vuota, come se il vuoto fosse pieno, come se il silenzio fosse il rumore”.

Forin è stato creativo non solo facendoci conoscere un popolo antico, ma i valori della vita, le potenzialità che sono in ciascuno di noi che abbiamo il dovere di rendere efficaci.

Con molta stima,

Marilena Perin   

barag, bara2, bar2, para10, par6 (per nds); bara5,6 [6]

   n., throne dais; seat of honour;   ruler, cult platform, base, socle; sanctuary, chapel, shrine; stand, support; crate, box; cargo; sack; sackloth, penitential robe; chamber, dwelling, abode (container plus ra (g), ‘to pack’) [BARA archaic frequency, ZATU].

  v., to comb out; to filter; to recover dehulled sesame seed kernels from the surface of saltwater with a comb, sieve, or coarse sackcloth.

  Adj., combed, filtered (said of wool, goat hair, sesame perfumes, flax). 

dun, du24; tun, tu10; tun2, tu11

  n., heaping up, accumulating (cf., ku3-dun, ‘profit’).

  v., to heap, pile up; to scrape, dig (a field, furrow, hole); to strike, smite; to open; to dig out the sides or bottom of a canal to create extra water capacity (to move + to raise high; cf., dul(6).[7]

u

  ten (cf.: ha3).

  Emesal dialect for lugal and en, ‘lord, master; lady; king [8]’.

U. U

  (cf., mana, man)[9].

U.U.U.

(cf., esh)[10].


[1] : 51. Stampa Tipse, Vittorio Veneto.

[2] Si riferisce ad H, archeologia del linguaggio, dattiloscritto in 182 pagine datole in copia.

[3] Nikolaj Berdjaev –“L’idea Russa – I problemi fondamentali del pensiero russo” – Mursia – Pag. 202.

[4] Giovanni Vannucci –“Esercizi Spirituali” – Pag. 186.

[5] Emanuel Lévinas –“Etica e infinito” –Castelvecchi – Pag. 65 “L’IL Y A”

Vittorio Veneto 30/08/2017.

[6] John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006 : 31.

[7] John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006: 51.

[8] John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006 : 283.

[9] John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006 : 283.

[10] John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Los Angeles, Logogram Publishing, 2006 : 283.

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