ANNO XVIII Maggio 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Mercoledì, 01 Novembre 2017 00:00

In quel tempo, diceva Gesù «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo rassomiglierò? »

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Il regno di Dio.      Ti mostrerò chiaramente che ti occorre ricevere quaggiù tutto il Regno dei cieli, se vuoi entrarvi anche dopo la tua morte.

Ascolta Dio che ti parla in parabole: "A che cosa è simile il Regno dei cieli? È simile, ascolta bene, ad un granellino di senapa, che un uomo ha preso e gettato nell'orto; poi è cresciuto e, in verità, è diventato un albero". Questo granellino è il Regno dei cieli, è la grazia dello Spirito divino, mentre l'orto è il cuore di ogni uomo, là dove, chi l'ha ricevuto, nasconde lo Spirito nel profondo del suo animo, nei recessi delle sue viscere, perché nessuno possa vederlo. E lo custodisce con ogni cura perché cresca, e diventi un albero e si innalzi verso il cielo. 


      Se dunque dici: "Non quaggiù, ma dopo la morte, riceveranno il Regno coloro che l'avranno desiderato con fervore", sconvolgi le parole del Salvatore nostro Dio. E se non prenderai quel granellino, quel granellino di senapa, come egli ha detto, se non lo getterai nel tuo orto, rimarrai completamente sterile. In quale altro momento, se non ora, pensi di poter ricevere quel seme? 

      "Quaggiù, ricevi il pegno, dice il Maestro; quaggiù, ricevi il sigillo. Fin da quaggiù accendi la tua lampada. Se avrai buonsenso, per te, quaggiù, diventerò la perla (Mt 13,45), quaggiù sarò il tuo chicco di grano e come il granellino di senapa. Quaggiù divento per te il lievito che fa lievitare la pasta. Quaggiù sono per te come acqua e divento un dolce fuoco. Quaggiù divento il tuo vestito e il tuo cibo e la tua bevanda, se lo desideri". Questo dice il Maestro: "Se dunque, fin da quaggiù, mi riconoscerai come tale, lassù allora mi possederai ineffabilmente, e diventerò tutto per te".

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 
essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza 
di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 
Sapppiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; 
essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 
Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? 
Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. 




Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 13,18-21. 
In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo rassomiglierò? 
E' simile a un granellino di senapa, che un uomo ha preso e gettato nell'orto; poi è cresciuto e diventato un arbusto, e gli uccelli del cielo si sono posati tra i suoi rami». 
E ancora: «A che cosa rassomiglierò il regno di Dio? 
E' simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staia di farina, finché sia tutta fermentata

Simeone, il monaco greco teologo del 1000 d.C., chiarisce che il regno dei Cieli è quaggiù nel granellino di senapa colto e conservato scrupolosamente, curato come il lievito per lievitare la pasta, che diventa acqua o dolce fuoco di un progetto da realizzare nella vita. Una vita piena alla quale siamo invitati tutti. Il dono dell’invito.

Ho qua davanti il n.11 de La Voce della Cattedrale col fondo di don Silvano Chiamati a pienezza di vita comprensivo di “il dono dell’invito per cambiare il nostro atteggiamento di fronte all’esistenza” che mi invita a trasferirlo per esteso.

*

Chiamati a pienezza di vita.

Il rito di presentazione alla comunità dei bambini candidati al battesimo prevede la manifestazione del nome (che nome date…) e della esplicita richiesta (per…Filippo che cosa chiedete alla chiesa di Dio?).

In una occasione una mamma mi ha sorpreso, dicendomi: chiedo che sia felice!. Mi sembrava pochetto in rapporto a quello che stavamo facendo, e allora aggiunsi, e cioè? –Che riceva il Battesimo!- aggiunse tranquillamente la mamma.

Scoperta di novità assoluta, inesplorata e inattesa, il collegamento immediato, spontaneo e tranquillo del battesimo con la felicità. Motivo di riflessione interessante.

L’altra domenica, mentre mi reco alla Chiesa di Serravalle per il concerto d’organo, incrocio una coppia; lui tenendo stretto un fagottino dal contenuto facilmente intuibile, mi ferma, e: lei è un reverendo? –Un prete-, rispondo. –Le dispiace di dare una benedizione al mio piccolo Ermanno? È un amore di un mese!

Celebrati i convenevoli e data la benedizione, il papà aggiunge: che gli dia gioia e felicità per tutta la vita! Grazie!-. Ed era un papà, non una mamma.

La reazione di questi genitori mi sembra significativa: l’intuizione che il riferimento a Dio (battesimo, benedizione) è come fare il pieno del bene desiderabile per chi amiamo.

In chiesa la musica d’organo mi aiutava a rimuginare con piacere questi episodi, sorpreso e contento che quei genitori abbiano intuito la sostanza bella e positiva racchiusa e nascosta dentro i riti sacramentali, e cioè la pienezza della vita. Sostanza legata ai desideri più alti (felicità), che noi ecclesiastici temiamo forse racchiusa e infagottata dentro espressioni e linguaggi troppo teologici e formali che rendono difficile un immediato riferimento alla bellezza della vita.

Eppure ripercorrendo nei Vangeli gli incontri di Gesù con le persone, ci si accorge facilmente come in queste guarigioni del corpo, del cuore e dello spirito, si sprigiona una energia di felicità che fa lodare e benedire Dio, il che vuol dire gustare il senso profondo del vivere.

Quando pensiamo a Dio o parliamo di Lui, facilmente lo immaginiamo come l’oltre la nostra esperienza, e non come la profondità della vita e dei suoi desideri, il tesoro e la ricchezza profonda che ci poniamo dentro!

Lo sguardo del bambino indifeso e implorante risveglia in noi l’intuizione di un qualcosa di profondo e di grande che solo Dio può dare … certo attraverso di noi.

Tutto il vangelo (“gioia di lieto annuncio”) e tutto l’operato di Gesù tra la gente sono segni che Dio chiama a vivere una vita piena. E per rappresentare questa pienezza nella Bibbia si usa spesso l’immagine di un invito al banchetto nuziale. Un banchetto all’insegna dell’abbondanza, condivisione dei doni, all’insegna dell’amicizia con tutti, nessuno escluso, all’insegna di stare insieme gratuitamente, senza tempo e senza pensieri.

Certo, si può obiettare che la vita non è una festa, che il tempo del sacrificio, della rinuncia, della pesantezza, dell’affanno è ben più ampio di quello della contentezza. Questo perché in genere pensiamo che la gioia della vita dipenda da ciò che sta fuori di noi o non abbiamo ancora imparato a fidarci di Dio.

Il dono dell’invito è proprio per cambiare il nostro atteggiamento di fronte all’esistenza; se non sappiamo entrare nella logica, gratuita e lieve, del banchetto, allora tanto meglio non accettare l’invito e stare fuori a vivere come se non fossimo nel numero dei chiamati alla festa della vita. Quel che è certo è che Dio invita a entrare nella festa di nozze di suo Figlio, non lo fa per castigarci o rattristarci.

Siamo chiamati a vivere con il passo della festa e della gioia di chi si sente scelto e chiamato.

Ciò chiede che ogni giorno ci convertiamo a superare ripiegamenti e pessimismi, ed essere uomini e donne che amano la vita, che vivono positivamente la loro esperienza familiare e sociale, le relazioni con gli amici ed i vicini di casa, la politica, il lavoro, che sanno apprezzare l’esistenza con tutte le sue dimensioni: affetti, responsabilità, fatica, amore; che sanno dare un senso alle esperienze difficili che segnano il vivere di tutti: la malattia, il dolore, il limite, la solitudine, la morte; che non subiscono la loro umanità e le forme negative con cui si esprime la cultura

d’oggi. E questo non per ingenuità o leggerezza, ma perché credono che la vita è nelle mani di un Dio che è Padre e che, se provvede ai gigli del campo e agli uccelli del cielo, a maggior ragione si preoccupa dei suoi figli.  Don Silvano.

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