Oggi dirige il reparto di maternità al St. Kizito Hospital di Matany, nella sua regione natale, la Karamoja, dove al momento “abbiamo circa 22 pazienti tra gestanti e puerpere”, dice.
Registrate casi di violenze o abusi? “No, non molti. Ma prima era diverso: se un uomo voleva una donna se la prendeva, spesso con il benestare dei genitori. Oggi c’è più libertà. Ma le violenze domestiche non mancano”.
ORA IL NEMICO E’ L’ALCOL
A rendere difficile la vita di queste persone è l’insicurezza alimentare: le forti siccità e una transizione forzata dalla pastorizia all’agricoltura sono causa dilunghe carestie. “Anche i casi di malnutrizione tra i bambini si sono ridotti”, assicura suor Hellen, perché ora il nemico è un altro: l’alcool. “La gente beve molto, convinta che sia un buon sostituto del cibo che manca”. Il bicchiere si riempie soprattutto di birra locale, quindi a buon mercato, oppure di whisky fatto in casa, il Waragi. Ce ne sono di mille qualità, tutti molto dannosi per la salute.
UBRIACHEZZA CAUSA VIOLENZE MA ANCHE SUICIDI, SOTTO I 30 ANNI
“Alcuni ne danno ai figli sin da quando sono piccoli. Ci sono quindi molti alcolisti, e questo genera violenze in casa, gravidanze indesiderate, tumori al fegato… e anche molti suicidi, per la maggior parte sotto i 30 anni. Di recente ne abbiamo contati fino a quattro in un mese. In momenti di difficoltà anche banali, come un litigio, capita che – ubriachi e confusi – ingoino grandi quantità di pillole oppure l’acido delle batterie. Se sopravvivono, avvisiamo subito gli psicologi e iniziano un percorso di sostegno. Mandiamo anche persone a parlare nelle comunità o nelle scuole, per creare consapevolezza”.
LE MEDICINE? DIFFICILE SPIEGARE COME USARLE
Suor Rosaria ha lavorato anche a Mapudit nel 2003, nell’attuale Sud Sudan, in piena guerra civile. “Cercavano un’infermiera per quattro mesi, sempre in un’ospedale comboniano. Sono rimasta sei anni. E’ stata una sfida enorme: le persone non erano assolutamente educate sui temi della sanità. Ad esempio era molto complicato fargli capire come e quando prendere le medicine. A volte, sulle ricette, dovevo disegnare tante caselle quante erano le somministrazioni, così riuscivano a regolarsi. Quando bombardavano- prosegue la missionaria- la gente si rifugiava in trincee scavate nel terreno. Ma erano piene di serpenti quindi dovevi scegliere: o morire per le bombe o per i morsi dei serpenti!”. Una lunga risata, fragorosa come se ne sentono spesso da queste parti. A lei non capitò mai, ma “con i miei occhi ho visto di peggio”.
INFIBULAZIONE STA DIMINUENDO
Torna seria, sta ricordando le giovani che ha visitato al St. Kizito, vittime dell’infibulazione ai genitali. “In Uganda non è una pratica diffusa. So solo di un villaggio qui vicino, Tepes. Le ragazze fino a qualche anno fa arrivavano da lì per partorire. A volte morivano. Una volta ricordo di una giovane che venne da noi perché non riusciva a restare incinta. La penetrazione nelle sue condizioni era impossibile. Aveva paura, il marito era sul punto di ripudiarla. Non so che fine abbia fatto. Ad altre spesso ho chiesto: quando vi tagliano, c’è un medico che vi assiste? Vi danno antidolorifici? Rispondevano di no. Al dolore si resiste. Per cicatrizzare il taglio (che prevede l’asportazione del clitoride e delle grandi e delle piccole labbra), le giovani mi hanno spiegato che stanno sdraiate per giorni con le gambe chiuse e fasciate strette. Poi lasciano che l’urina coli lentamente: lo considerano un disinfettante e un cicatrizzante. E’ terribile”. Ma forse anche a Tepes le cose stanno cambiando. Certo lo sono nel resto della Karamoja, anche dal punto di vista della pianificazione familiare, un argomento prima tabù: “Qui, essendo cattolici, insegniamo la contraccezione naturale. Ma molte ragazze vanno a Moroto – la città più vicina, ndr – per prendere la pillola o farsi fare iniezioni che bloccano l’ovulazione per qualche mese”. (agenzia Dire)
dalla nostra inviata in Uganda, Alessandra Fabbretti
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