ANNO XVIII Dicembre 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Giovedì, 23 Novembre 2017 09:02

Venezuela, inflazione al 4.000% e sempre meno petrolio estratto

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La crisi del Venezuela assume tratti sempre più drammatici. Produzione di petrolio in caduta libera e inflazione già salita a 4 cifre. Il default non sarà una passeggiata per gli obbligazionisti.

Il bolivar sta accelerando il suo collasso sul mercato nero. Per comprare un dollaro illegalmente in Venezuela servono ormai oltre 82.000 unità della moneta nazionale, il doppio di tre settimane fa e 25 volte tanto i livelli richiesti all’inizio dell’anno. Il crollo verticale delle ultime settimane segnala l’accelerazione dell’inflazione, stimata dal Professore Steve Hanke della John Hopkins University al 4.115%, una percentuale di gran lunga superiore al 1.430% annuo rilevata dall’istituto indipendente Ecoanalitica. Poco cambia, perché è evidente che i prezzi nel paese andino stiano esplodendo a ritmi sempre più consistenti e tali da fare temere che l’economia nazionale sia già precipitata nell’iperinflazione propriamente detta.

Alla base di questa crisi vi è una diffusa carenza di beni, alimentata dalla penuria di dollari. Le riserve valutarie sono crollate ad appena 9,8 miliardi, a causa delle basse quotazioni del petrolio, unico bene esportato da Caracas. E le notizie su questo fronte vanno di male in peggio. Secondo l’ultima valutazione dell’OPEC, cartello al quale il Venezuela appartiene, la compagnia petrolifera statale PDVSA avrebbe estratto a ottobre appena 1,863 milioni di barili al giorno, 109.000 in meno del target fissato dall’organizzazione. Secondo i dati ufficiali locali, invece, le estrazioni sarebbero state pari a 1,955 milioni di barili al giorno.

Crisi si avvita, default Venezuela sarà severo

Sempre secondo l’OPEC, rispetto al 2016 si registrerà una produzione media quotidiana inferiore di 250.000 barili e nel 2018 si avrà un ulteriore calo di 300.000 barili. Per i venezuelani, si tratta di una tragedia, perché senza una ripresa solida delle quotazioni e delle quantità esportate, non vi sarà nemmeno la speranza di trovare gli scaffali dei negozi un po’ meno vuoti nei prossimi mesi. Al contrario, i consumi interni potrebbero venire ulteriormente compressi, qualora affluissero ancora meno dollari nel paese.

E l’altro ieri si è appreso con stupore che PDVSA, anch’essa in default come il governo di Caracas, ha chiesto alla joint venture con Chevron, Petropiar, di consegnare il 45% della produzione programmata per novembre e che sarebbe stata venduta senza pagamenti immediati. La richiesta appare stramba, visto che le già difficili condizioni finanziarie della società non farebbero che aggravarsi esportando meno barili, ma sarebbe frutto dell’esigenza della compagnia di rispondere alla carenza di carburante nel Venezuela, a sua volta dettata dalla scarsa produzione di PDVSA, i cui impianti sarebbero attivi a non più di un terzo della loro capacità.

Sembra il cane che si morde la coda. Caracas avrebbe tutto il bisogno di questo mondo di estrarre più barili per esportarli e incassare più dollari con i quali pagare i debiti e ridurre la carenza diffusa di beni, aumentando le importazioni. Tuttavia, proprio i pochi dollari disponibili rendono ormai impossibili gli investimenti necessari e la produzione di petrolio non fa che arretrare, amplificando la tragedia economica del paese. La rinegoziazione del debito, avviata a parole nelle scorse settimane dal regime di Nicolas Maduro, riguardante bond per 64 miliardi di dollari, non sarà affatto sufficiente per impedire il collasso totale dell’economia venezuelana. I 18 miliardi di prestiti in scadenza nel 2018, va da sé, non potranno essere minimamente rimborsati. Il default sarà più doloroso di quanto ancora non appaia agli obbligazionisti. Si capisce meglio forse l’ondata di arresti di questi giorni che ha travolto i vertici di Citgo, la raffineria texana controllata da PDVSA, nonché decine di dirigenti minori di quest’ultima, tutti accusati di corruzione. La caccia al capro espiatorio per una crisi che si fa ogni giorno più drammatica è partita. Serve indicare al popolo chi abbia avvelenato i pozzi. (Giuseppe Timpone - Investireoggi.it)

 

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