ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Giovedì, 04 Gennaio 2018 06:25

3.500 dollari per andarsene o la galera. I richiedenti asilo in Israele hanno due scelte

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Qualora rifiutino l'espulsione, ad aprile gli immigrati inizieranno a essere imprigionati. Netanyahu: "Non sono rifugiati, sono infiltrati"

 Un finanziamento da 3.500 dollari (circa 2.910 euro) per abbandonare il Paese, rimpatriando o chiedendo asilo altrove, o la prigione. Questa è l'alternativa che si trovano di fronte le migliaia di immigrati africani, in larga parte sudanesi ed eritrei, che hanno scelto di riparare in Israele, uno Stato che, sottolinea la Bbc, da quando ha firmato sessant'anni fa la Convenzione Onu sui Rifugiati ha accolto meno dell'1% delle richieste di asilo. L'afflusso di "lavoratori illegali che si infiltrano dall'Africa", aveva dichiarato nel 2010 l'anche allora premier Benjamin Netanyahu, "è una minaccia concreta al carattere giudaico e democratico del Paese". E "infiltrati" è il termine con cui il governo dello Stato ebraico definisce le persone che cercano riparo in Israele attraverso la frontiera con l'Egitto, tramite la quale i flussi si sono notevolmente ridotti negli ultimi anni grazie alla costruzione di una barriera al confine, completata nel 2013.

"Non sono rifugiati, sono infiltrati"

Gli africani presenti illegalmente nel Paese - secondo il ministero dell'Interno locale - sono 38.000, 27.500 dei quali provenienti dall'Eritrea e altri 7.900 in arrivo dal Sudan. Persone che provengono da note aree di crisi e che, quindi, godrebbero in larga parte del diritto alla protezione internazionale. Ma non per Netanyahu, secondo il quale sono tutti migranti economici. "Non sono rifugiati, sono infiltrati che cercano lavoro", aveva affermato il primo ministro lo scorso 31 agosto visitando il sud di Tel Aviv e l'area intorno alla stazione della seconda città del Paese, nella quale vive il 60% dei richiedenti asilo africani presenti in Israele. 

Tre giorni prima la Corte Suprema israeliana aveva stabilito che gli immigrati che chiedevano asilo in Israele potevano essere deportati in Uganda e Ruanda ma che, in attesa dell'espulsione, non potevano essere detenuti per più di sessanta giorni. Non abbastanza per Netanyahu. "Restituiremo Tel Aviv ai cittadini di Israele, questi non sono rifugiati ma infiltrati che cercano lavoro", disse il premier, incontrando i residenti, "se necessario, emenderemo la legge o cambieremo gli accordi con i Paesi africani, o entrambe le cose". Tre mesi più tardi, il ministro dell'Interno, Aryeh Deri, avrebbe annunciato il giro di vite: gli africani se ne dovranno andare con le buone, o finiranno in galera. Un annuncio al quale l'Unhcr, l'agenzia Onu per i rifugiati, rispose esprimendo "seria preoccupazione" e criticando "la segretezza e la mancanza di trasparenza" delle procedure di rimpatrio, che hanno reso "molto difficile per l'agenzia il monitoraggio sistematico della situazione". 

​Israele non ha però ceduto alle pressioni internazionali. Lo scorso 12 dicembre la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato a larga maggioranza la chiusura del campo profughi di Holot, i cui residenti potranno ora continuare a restare nel Paese solo dietro le sbarre. Pochissime speranze per chi ci viveva: dal 2009 Israele ha concesso asilo ad appena otto eritrei e due sudanesi, garantendo poi la protezione umanitaria ad altri duecento, tutti profughi del Darfur. Dei 38.000 cosiddetti "infiltrati" sono invece in carcere in 1.420. Avranno presto molta compagnia, se il piano di espulsioni non funzionerà. Espulsioni che, ha garantito il governo, saranno "volontarie" e non riguarderanno bambini, anziani e vittime di schiavitù o tratta. Ma, era stato il dubbio sollevato dalla Corte Suprema, è difficile parlare di deportazioni "volontarie" se l'alternativa è la galera. Non è quindi da escludere un nuovo intervento del supremo tribunale. Intanto, il governo ha annunciato che inizierà a incarcerare da aprile gli immigrati che non accetteranno di togliere il disturbo. (agi francesco russo)

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