ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Sabato, 03 Febbraio 2018 09:32

«No, Kim Jong-un non è quel pazzo guerrafondaio che sembra. Tutt'altro»

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Intervista a Loretta Napoleoni, in questi giorni in libreria con un saggio sul dittatore di Pyongyang che continua a tenere l'Occidente col fiato sul collo per la "guerra dei pulsanti" con Trump

 Kim Jong-un è un millennial, ama le donne, ha uno stile innovativo, punta sulla comunicazione, è ingrassato per somigliare al nonno, gioca sulla mitologia del leader eterno, il suo potere poggia su una religione assurda, Juche.

Ma non è un pazzo, ha una strategia chiarissima: nessuna guerra, il leader di Pyongyang vuole la deterrenza nucleare, e ora che l’ha quasi ottenuta, dopo aver tenuto col fiato sospeso il mondo, scatenando una gara di “pulsanti” con Trump, pensa alla distensione e al mantenimento della dinastia che controlla il potere in un Paese più unico che raro di cui al mondo fa comodo avere paura. Lo racconta in questa intervista all’Agi Loretta Napoleoni, in libreria con l'ultimo lavoro dal titolo ''Kim Jong-Un  - Il nemico necessario'' (ed. Rizzoli, pp. 260- 19,50 euro).

Chi non ha paura di Kim Jong-un? “Molti considerano la Corea del Nord un’aberrazione, l’antitesi della democrazia. Un regime totalitario, guidato da una dinastia di dittatori, che è riuscito a reinventare il feudalesimo. La Corea del Nord è anche un caso unico”, si legge nell’introduzione. Napoleoni ha scritto un libro “a 360 gradi” spinta dalla curiosità personale di capire cosa stia avvenendo in un Paese “così impenetrabile che spesso è difficile distinguere la realtà dalla fantasia”, talmente ermetico da alimentare equivoci sul rischio di una escalation militare -  ipotesi del tutto “irrazionale” (il libro è uscito prima dell’annuncio della partecipazione nordcoreana alle Olimpiadi invernali di Seul).

“Il ‘Regno Eremita’ è sopravvissuto all’implosione dell’Unione Sovietica”,  scrive Napoleoni, “e alla modernizzazione del comunismo in Cina – i suoi vicini settentrionali nonché finanziatori storici – senza nemmeno provare ad aprirsi all’Occidente. Tuttavia, nessuna delle definizioni che ne diamo coglie appieno la sua vera natura (…) Nell’era post-Guerra Fredda, abbiamo potuto dipingerla come la società distopica per antonomasia, il paradigma della malvagità, il termine di paragone che rende sempre e comunque desiderabile il modello della democrazia occidentale. Persino i regimi iracheno e libico appaiono migliori”. In questa intervista all’Agi Loretta Napoleoni ci spiega cosa ha capito di un “Paese circondato da un tale alone di mistero fa comodo al resto del mondo”.

Perché Kim è “il nemico necessario”?

"A partire dalla caduta del muro di Berlino (1989)  la febbre della democrazia ha attecchito ovunque meno che in Corea del Nord. La globalizzazione non ha portato a risultati positivi al 100%. Un esempio: oggi in Iraq c’è un sistema democratico ma la gente muore negli attentati dell’Isis. Gli esperimenti di esportazione della democrazia non sempre funzionano. E così, immaginare la Corea del Nord come l’impero del male ci porta a una conclusione rassicurante: nessuno sta male come a Pyongyang".  

Chi è Kim Jong-un?

"Kim, 34 anni, è un leader millennial, cresciuto in Svizzera, con una visione sull’Occidente diversa da qualsiasi altro leader nordcoreano. Ha un ottimo rapporto con le donne, da cui accetta consigli, è molto legato alla moglie e alla sorella più piccola, che è diventata parte integrante del regime politico. Pragmatico in politica, ha condotto una feroce campagna anticorruzione contro le élite. Pur mostrando continuità con i predecessori sul programma nucleare, Kim ha adottato uno stile diverso rispetto al padre, ricreando invece quello del nonno, Kim Il-sung, dal quale copia il modo di vestire, il taglio di capelli; si è persino ingrassato per somigliare al nonno cinquantenne. Kim vuole giocare sulla mitologia del leader eterno".  

Su cosa si regge il potere della dinastia Kim?

"La Corea del Nord è un Paese sui generis, più che un regime comunista possiamo definirlo un sistema feudale. Il potere si regge su una forte identità nazionalista alimentata da un concetto di razza superiore, molto diffusa tra la popolazione. I nordcoreani pensano di appartenere a una razza pura e percepiscono gli altri Paesi come una minaccia esterna. Si tratta di elementi feudali che sono stati introdotti negli anni ’50 (la Corea del Nord nacque nel 1948). Alla base della dinastia, dove il potere si tramanda di padre in figlio, c’è soprattutto una religione moderna e assurda, Juche, l’ideologia fondata da Kim Il-sung, padre della nazione, leader eterno, ritenuto dotato di poteri soprannaturali.  Altro elemento distintivo: tutto ruota attorno al sistema delle caste. Chi ad esempio ha combattuto accanto a Kim nella guerra di Corea (conflitto durato dal 1950 al 1953 che si concluse senza un trattato di pace, ndr) appartiene a una casta superiore".

Ha scritto che “per molti, anche l’Arabia Saudita è un’aberrazione in quanto antitesi della democrazia: una monarchia assoluta basata su principi assolutisti. Ma, come la Corea del Nord, l’Arabia Saudita ha dimostrato una straordinaria capacità di sopravvivenza, evitando persino i venti impetuosi della Primavera araba”. Cosa hanno in comune Corea del Nord e Arabia Saudita?

"Kim è un millennial come il principe saudita incoronato Mohammed bin Salman, 31 anni. Sono due Paesi non democratici, che da fuori immaginiamo attanagliati dall’immobilismo tipico dei regimi assolutistici, e che invece vivono trasformazioni profonde. In Corea del Nord c’è stata ad esempio l’apertura di mercati informali dove la gente può vendere e comprare liberamente".

Perché ha scritto questo libro? Come si è documentata?

"Negli anni ’80 lavoravo per un banca russa che agiva anche da istituto del commercio internazionale per la Corea del Nord, nel pieno del regime sovietico. Poi, qualche anno fa, ho deciso di fare una ricerca personale, spinta dalla curiosità di capire cosa stesse succedendo, come fosse cambiato il sistema al suo interno. Non pensavo di pubblicarlo, l’ho scritto per Loretta Napoleoni, è un libro a 360 gradi dove non offro né giudizi né consigli.  Le mie fonti? In gran parte diplomatici che vivono lì. Hanno deciso di parlarmi perché preoccupati da una possibile escalation militare, un rischio che dal mio libro emerge come assolutamente improbabile. Nessuno vuole una guerra, le conseguenze sarebbero catastrofiche per tutti. La partecipazione nordcoreana è una grandissima opportunità, l’apertura è reale, bisogna vedere come verrà giocata a livello internazionale. La penisola coreana ha un destino segnato dalla posizione geopolitica: troppi giochi di poteri nella regione".

Ipotesi di scenari futuri?

"Analizziamo il comportamento del leader coreano: ha accolto l’apertura di Seul, mantiene una linea diplomatica nei confronti del Giappone, della Cina e degli Usa. Il battibecco con Trump gli ha fatto gioco. Prevedere cosa succederà è difficilissimo. La chiave di volta è in mano alla Cina, da cui la Corea del Nord dipende per l’80% del suo approvvigionamento energetico. Trump ha ragione quando accusa Pechino, che non ha mai chiuso l’oleodotto, di non essere stata abbastanza dura nelle sanzioni. La Cina controlla la situazione più di quanto si pensi: c’è chi ipotizza che dietro Kim ci sia un gruppo di persone che fanno da ponte con Pechino. Il leader nordcoreano deve giocare la partita su più tavoli nel modo giusto. Fino ad oggi la sua strategia ha funzionato. Kim non è pazzo, e non lo è neanche Trump: sono due uomini estremamente intelligenti con un solido entourage alle spalle".

Cosa vuole ottenere Kim?

"La strategia è chiarissima: ha dovuto prima consolidare il suo potere, passando nella fase delle purghe (si sarebbe sbarazzato di rivali e nemici, a partire dallo lo zio Chang Sung-taek e il fratellastrao Kim Jong Nam) e del rinnovo della élite; si è dunque presentato con nuova leadership millennial, in cui si dà grande importanza alla comunicazione. Kim è presente ovunque, stringe la mano a tutti, apre asili nido. Nel 2017 ha potenziato il programma nucleare e ha raggiunto l’obiettivo della deterrenza. Nel 2018 sembra intenzionato a portare avanti una politica di distensione con l’obiettivo di liberarsi delle sanzioni".

L’obiettivo ultimo del regime?

"Il mantenimento della dinastia Kim. La riunificazione delle due Coree è improbabile, il desiderio di tornare sotto un’unica bandiera c’è ma la Cina non permetterebbe mai una riunificazione sotto il regime di Seul, e gli Usa non vogliono la riunificazione sotto Pyongyang".

Come si vive oggi nel 'Regno Eremita’?

"Ci sono progressive aperture nell’attrazione del turismo, ma resta un Paese chiuso. La parola dissidente in Corea del Nord non funziona. La gente neanche sa che esiste un’alternativa, ignora cosa sia la democratizzazione. Il numero dei dissidenti politici impallidisce rispetto a quello della vecchia Unione Sovietica. Per le persone è difficile andarsene perché hanno un fortissimo orgoglio nazionale. I dissidenti che ho incontrato hanno spesso un senso di nostalgia, raramente è gente che fugge dalla fame: chi se ne va lo fa perché ha i mezzi e ha capito che fuori può migliorare la propria condizione economica". (AGI Alessandra Spalletta)

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