ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Mercoledì, 06 Giugno 2018 18:44

Taranto - Alla Città che vogliamo, Gero Grassi sul caso Moro «in via Fani c'erano anche le Brigate Rosse»

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“Abbiamo voluto approfittare del percorso e dell’esperienza dell’on. Gero Grassi per capire ancora di più i passaggi che hanno caratterizzato un episodio che ha sicuramente segnato in maniera forte l’evoluzione della nostra comunità nazionale e, forse, internazionale: il rapimento, prima, e l’assassinio, dopo, dell’on. Aldo Moro”.

Così Gianni Liviano, consigliere regionale del Gruppo Misto, nell’introdurre l’on. Gero Grassi, componente la Commissione parlamentare d'inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, ospite martedì sera dell’associazione “Le città che vogliamo”.

“Chi e perché ha ucciso Aldo Moro? La verità negata", questo il tema del dibattito che ha visto l’on. Grassi intrattenere per quasi due ore le tantissime persone che hanno affollato la saletta riunioni di via Fiume 12 in una sorta di montagna russa delle emozioni per i temi toccati e per gli aspetti di una vicenda che, secondo il componente la Commissione parlamentare d’inchiesta, ha assunto i contorni di un omicidio di stato.

“All’on. Grassi - ha aggiunto Liviano - abbiamo voluto chiedere di aiutarci a comprendere le ragioni, le motivazioni, gli intrecci internazionali, se ci sono stati, o, al contrario, se tutta la vicenda vada ricondotta ad una scelta delle Brigate rosse in un più ampio progetto di destabilizzazione dello Stato o, ancora, se ci fossero intrecci politici o economici, o se questa sorta di compromesso storico tra Dc e partito comunista è stata alla base dell’intera vicenda”.

E l’on. Grassi, che nella sua attività volta all’accertamento dei fatti e alla ricerca della verità sull’intera vicenda legata al rapimento e all’assassinio del segretario della Democrazia cristiana, ha incontrato e parlato con tantissime persone che hanno avuto ruoli più o meno importanti in questa complessa vicenda, non si è tirato indietro. Andando dritto al nocciolo della questione.

“Su tutta la vicenda - ha esordito - si sono dette tante bugie. Oggi - ha aggiunto - abbiamo dei dati certi, abbiamo una relazione, approvata all’unanimità dalla Camera, che fissa le grandi novità di quel delitto. Se dovessimo sintetizzare - ha proseguito Grassi -, potremmo dire che in via Fani c’erano anche le Brigate rosse. Ma con le Brigate rosse c’era tantissima altra gente".

Già, le Brigate rosse. Nel suo lavoro di accertamento dei fatti, infatti, l’on. Grassi ha incontrato i brigatisti Faranda, Franceschini, Morucci, Etro. Così come ha discusso con importanti magistrati come Imposimato, Priore, Caselli e ha incontrato i parenti delle vittime di via Fani. Ha, infine, instaurato un rapporto di amicizia e fiducia reciproca con Maria Fida e Luca Moro i quali gli hanno donato un grande archivio personale, composto da documenti pubblici e privati e dall'intera rassegna stampa sul caso Moro dal 1978 ad oggi.

“Molto probabilmente in via Fani chi ha sparato non sono stati i due brigatisti che si sono autoaccusati, e il delitto Moro è la conseguenza di due obiettivi che il segretario della Dc aveva: il primo, il superamento di Yalta (la conferenza si tenne dal 4 all’11 febbraio 1945 in Crimea, durante la Seconda guerra mondiale, nel quale i capi politici dei tre principali paesi alleati presero alcune decisioni importanti sul proseguimento del conflitto, sull'assetto futuro della Polonia, e sull'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite) e quindi la chiusura di quell’accordo infausto che consegnava l’Europa a Stati Uniti e Russia; il secondo, fortemente contrastato, fu il progetto di democrazia compiuta, non compromesso storico, che avrebbe comportato, in Italia, la democraticizzazione del partito comunista e, quindi, l’alternanza di governo tra un partito cattolico, la Dc, e un altro di sinistra e progressista come il partito comunista, appunto. A tutto questo, - ha sottolineato con forza Grassi - tante forze nazionali e internazionali, lecite e non lecite, si opposero". Non solo, perché secondo quanto accertato nel suo lungo lavoro di indagine dall’on. Grassi, in tutta la vicenda un ruolo “lo ebbe anche la P2".

Numerosi i passaggi e gli aneddoti raccontati da Gero Grassi che hanno suscitato stupore tra quanti erano presenti all’incontro. Come quello del 14 marzo 1978, quando il professore Francesco Tritto, assistente universitario di Moro, a fine lezione, ricorda a quest’ultimo che il 16, quindi due giorni dopo, ci sarà la seduta di laurea. “Moro - ha raccontato Grassi riprendendo quanto da lui stesso scritto nel libro “Aldo Moro, la verità negata" -, replicando gli fa notare che non è mai stato assente. A quel punto Tritto dice: “Professore, potrebbe essere la sua ultima seduta di laurea. Sanno tutti che sarà eletto Presidente della Repubblica”. Moro replica: “Grazie professore, lei è troppo buono ma ingenuo. Non sarò mai eletto Presidente della Repubblica. Mi faranno fare la fine di John Kennedy”. E il 16 marzo, due giorni dopo quello scambio di battute, l’on. Aldo Moro fu rapito e la sua scorta trucidata.

“La verità - ha ribadito Grassi in conclusione di serata - sicuramente non resusciterà Aldo Moro. La verità è quella che emerge dalle indagini ed è suffragata da prove certe”. Prima della Commissione Moro II, infatti, la verità che si conosceva sul caso Moro era tutta rilevata dal Memoriale Faranda-Morucci. Nella terza Relazione Moro, approvata dalla Camera dei Deputati il 13 dicembre 2017, si dice, invece, “che emerge un particolare rapporto di Morucci con apparati dello Stato e figure istituzionali, con i quali si avviò nel corso degli anni ’80 una forma di interlocuzione, in un sovrapporsi di piani tra la vicenda criminale e quelle politico-giudiziarie”.

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