A Lake tahoe un albergo misterioso posto al confine tra Nevada e California. Luogo dal nome a cavallo tra l’anima latina e quella americana, forse a rappresentare il vissuto dello sceneggiatore. Cresciuto nel Nuovo Messico con gli studi all’University Colorado e una carriera holliwoodiana descrive minuziosamente le caratteristiche dei suoi personaggi da “Buffy: l’ammazza vampiri” a “Daredevil”, al “Sopravvissuto – The Martian” valso una nomination, miglior sceneggiatura agli Oscar 2016. È un film che sa di denuncia tout court in abiti eleganti da dama e con i modi barbari del terrorista. Una denuncia antirazzista, anti-sessista, pacifista e del controllo tecnologico ai fini politico-militare del mondo. Racconta il grande fratello del potere e della tecnologia attraverso l’impossibilità umana di conoscerne le modalità e i fini. Valori terribilmente attuali se si pensa allo scandalo Facebook e alle elezioni Trump con la questione Russiagate, forse tematiche che avranno acceso ancor più la sua fantasia.
Gli interpreti, di tutto spicco, sono frame di persone che agiscono e vengono politicamente agite nella giostra dei “gringo” sempre al banco d’esame con il diktat socio-economico che divide sui diritti civili. È un’America tra conservatorismo e guerra fredda. Sono gli anni settanta, quelli che chiama in causa il regista, con il Presidente Nixon, conservatore, stratega militarista e rigido sui diritti civili.
Pirandello offre a Goddard penna e scalpello per disegnare le maschere e la struttura per metterle insieme nel puzzle di un contenitore filmico girato in un’unica location: Jon Hamm è il poliziotto integerrimo Laramie Seymour Sullivan; un finto parroco di nome Padre Daniel Flynn per Jeff Bridges; una vera cantante Cynthia Erivo nelle vesti di sognatrice disillusa dalla perversione del mondo dello spettacolo di nome Darlene Sweet; Dakota Johnson è la sorella maggiore vittima di violenza paterna che, nel ruolo di Emily Summerspring, protegge Rose. Mentre è Cailee Spaeny ad avere il difficile compito di interpretare Rose, ragazza mostruosamente fragile e terribilmente veemente con la psiche di bambina violata; la colpa e la coscienza incarnano il portiere risolutore Miles Miller col volto di Lewis Pullman; la follia del male e l’ambiguità volitiva del santone manipolatore a Chris Hemsworth nel ruolo di Billy Lee.
Di maschere e super eroi - dalla Marvel alla Sony - lo sceneggiatore è già maestro! Infatti, porta con sé Jeff Bridges che, da Obadiah Stane/Iron Monger, indossa le vesti del cattivo che si redime è il principe, figlio di Odino Thor, icona sexy del 2000, Chris Hemsworth che diventa il seduttore santone del male.
Questa nuova scommessa – rivela in conferenza stampa il regista – è in cantiere da cinque anni. Racconta i segreti dei sette personaggi che danno forma ad una narrativa che sa un po' di western, alla Sergio Leone, e un po’ di noir, ereditandone anche il ritmo. Ha il sapore di poliziesco a metà tra la costruzione della suspense di Dashiell Hammett e dell’azione di Raymond Chandler. È infatti l’agente Sullivan il punto di rottura fra i segreti di Stato e la fenomenologia sociale.
La figura chiave che impersona il fallimento del sogno americano è di certo interpretata dal portiere Miles Miller (Lewis Pullman), seppur si annida il germe in tutti gli altri. Un soldato della guerra in Vietnam segnato indelebilmente dagli obbrobri degli ordini politico-militari osservati. Lo stesso a cui spetta disporre le stanze di colore nero, a destra, e di colore rosso, a sinistra, poste a cavallo di due Paesi: la California e il Nevada, realtà molto diverse. Egli continua a garantire l’ordine e il controllo seppur cambiata la divisa. E sempre a lui spetta frapporsi tra bene e male per salvare, a costo della propria vita, la coraggiosa cantante, credente e di grande dignità, Darlene e il redento ladro, cauto altruista, Padre Daniel Flynn.
Bad Time at the El Royale (nella struttura un tributo a Tarantino) è un film che si fa super-eroe. La funzionalità scenica celebra e consuma i personaggi e ristabilisce l’equilibrio sconfiggendo il male. Tra fumetto e realismo il regista diventa mentore quando dichiara che lanciare un film originale di questi tempi non l’ha spaventato: “non mi preoccupo molto di cosa va di moda, faccio ciò che voglio fare!”.