ANNO XVIII Aprile 2024.  Direttore Umberto Calabrese

Sabato, 29 Agosto 2015 08:06

Cos'è l'amaro? Ve lo spiega la Daniela Baldassarra nel suo ultimo lavoro

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Nella ripresa, ancora non è un mese, di agoramagazine, dopo i sei mesi di mutismo che fanno ricordare le ultime parole della poesia di Pavese: " Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", ritroviamo questo frammento dell'ultimo lavoro della nostra amica  Daniela Baldassarra che scrive quello che recita; per i cantanti si dice cantautore, per le si potrebbe dire parlautrice? A parte le divagazioni ecco il suo ultimo scritto-monologo che rappresenta il suo stile scenico, Buona Lettura.

 

“Bonsciur”. Era così che salutavo Mario, in un francese arrangiato, che però pensavo potesse mascherare il mio malumore. Mario, che mi aspettava sempre sulla soglia del Caffè con le mani in tasca, tutto stretto in quella giacchetta che doveva avere più anni di lui, mi salutava solo con un cenno della testa. Lui, non lo nascondeva affatto il suo malumore. Entravamo sempre assieme in quel Caffè, nessuno dei due sarebbe mai entrato senza l’altro…

(…)

Ci accomodavamo sempre allo stesso tavolo, il più vicino alla grande vetrata, opaca pure lei, che dava sulla strada. Anche questa non era una scelta casuale. Sì, perché io e Mario non sapevamo che diavolo dirci, e allora guardavamo fuori e ci fingevamo interessati alla gente che passava. Qualche commento sulle auto parcheggiate, come se potessimo permettercele tutte, e poi calava il silenzio. Non sono mai riuscito a pensare ad una situazione più triste di due persone sedute allo stesso tavolo che non sanno cosa dirsi. E’ l’immagine più terribile della solitudine dell’uomo.
“Un caffè amaro”, chiedevo puntualmente. 
Ormai il barista lo sapeva, eppure non dicevo mai “il solito”. Per me chiedere un caffè amaro era una dichiarazione. 


Ho sempre pensato che il modo di prendere il caffè segni le diverse categorie umane, è un modo di raccontare la propria storia. Chi beve il caffè zuccherato, molto zuccherato, freddo in tazza calda, caldo in tazza fredda, con schiuma, macchiato con latte freddo, macchiato con latte caldo, può permettersi di scegliere, anzi, ha capito cosa scegliere e perché. E’ importante sapere come si gradisce il caffè, è l’inizio…dopo uno sa anche scegliere il lavoro che vuol fare, la donna che vuol sposare, la cravatta da indossare. Prendere il caffè amaro, invece, significa sostare, stagnare in una vita che ha sempre lo stesso odore e lo stesso sapore, il sapore dell’amaro; significa non avere neanche voglia di berlo quel maledetto caffè, ma prenderlo giusto perché così si inganna il tempo che non passa mai…che non muore mai… 
Mario, poi, non si limitava mai a dire “lo stesso anche per me”, visto che prendeva la stessa cosa, ma lui lo gridava “un caffè amaro anche per me”, e scandiva bene le parole. La sua non era una dichiarazione, era davvero una disperata richiesta d’aiuto. Era come se chiedesse al barista: “Come cazzo faccio a cambiare questa miserabile vita?”.

Ci incontravamo da anni ormai, io e Mario, ma non sapevamo niente l’uno dell’altro. Eppure avevamo passato metà della nostra vita a quel dannato tavolo, ma mai nessuno dei due aveva chiesto qualcosa all’altro. Forse perché era come stare di fronte ad uno specchio, e ascoltare la pochezza dell’altro avrebbe significato vedere se stessi. Io passavo il mio tempo a guardare fuori dalla vetrata le belle donne che passavano velocemente per andare nei caffè di Viale Regina. Quanto erano belle le donne strette in quei tubini neri, con i capelli raccolti e con quel profumo che arrivava a schiaffeggiarci fin nel nostro Caffè, come a dire “E’ inutile che guardi. Non è roba per te”.


Allora io ripensavo a quella boccetta di profumo abbandonata da anni sulla mensola del mio bagno. Ormai sapeva d’aceto. Perché non l’ho mai messo il profumo? Boh, e chi se lo ricorda. Forse quando non si riesce più a sentire il profumo della vita, spruzzarsi addosso due gocce di colonia sembra solo un modo per prendersi in giro, per commiserarsi ancora di più. L’amaro del caffè, invece, mi somigliava così tanto…
Ad intervalli quasi regolari distoglievo lo sguardo da quella vetrata e mi voltavo a guardare Mario…Com’è stridente il contrasto tra il tubino di quella donna e Mario, pensavo…E’ il contrasto tra la vita e il tirare a campare.
(…)

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