Un porto sicuro significa un pasto sicuro, caldo e lontano dalle torture e dalla paura di annegare. È quello che ricevono i naufraghi al PalaSpedini di Catania: loro sono i 'salvati', oltre 500 persone che uno sbarco 'selettivo' ha tirato fuori dalle navi Humanity 1 e Geo Barents.
"Una volta riscaldate dal punto di vista fisico, con coperte e vestiti - spiega Stefano Principato, presidente della Croce Rossa di Catania e impegnato in queste ore al porto etneo per l'assistenza ai naufraghi di Humanity 1 e Geo Barents - adesso cerchiamo di riscaldarle dal punto di vista umano. Sono persone perbene. Cerchiamo di dar loro la possibilità di chiamare i parenti, mettendo a disposizione i nostri hotspot, e questo da loro molto sollievo. In questo momento lo spazio è sufficiente, ma credo che dovessero esservi altri sbarchi la prefettura troverà le soluzioni giuste".
Gli altri, quelli rimasti sulle navi, sono i 'sommersi': "Help us", hanno gridato dalla Geo Barents per tutto il pomeriggio, rivolgendosi ai giornalisti e a un centinaio di persone che manifestavano per loro.
Complessivamente, tra la nave di Msf e Humanity 1, restano a bordo in 249 "senza acqua, con i bagni chiusi e infezioni di scabbia in corso", secondo quanto hanno denunciato i parlamentari Angelo Bonelli e Antonio Nicita, al rientro da una ispezione a bordo della nave.
"Devono essere sbarcati rapidamente, senza ulteriori ritardi", intimano l'Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim) e l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati (Unhcr), mettendo nel pomeriggio un punto fermo in una vicenda che vede ancora una volta l'Italia cercare di tenersi a fatica in equilibrio sul diritto internazionale.
"Lo sbarco in sicurezza - proseguono le agenzie dell'Onu - dovrebbe essere seguito da una significativa condivisione delle responsabilità tra tutti gli Stati interessati attraverso accordi regionali e di cooperazione, in modo che tutti gli Stati costieri possano assolvere alle proprie responsabilità di ricerca, soccorso e sbarco. Un approccio frammentario e ad hoc in alto mare, che continui a lasciare soli gli Stati costieri, non può essere perseguito in questo modo e non è sostenibile. La priorità deve essere soprattutto quella di salvare vite e rispettare la dignità umana".
Tre migranti si sono gettati in mare nel pomeriggio, dopo le 14. Due si sono rifiutati di risalire sulla nave. Alle 22 erano ancora sulla banchina, per terra, all'addiaccio. Il gesto dei tre è servito a far arrivare davanti alla Geo Barents le ambulanze, per restare lì stabilmente: "Le chiedevamo da ieri", spiegano Bonelli e Nicita. "La situazione è molto critica. È successo in passato - ha spiegato Riccardo Gatti, capo delle operazioni di ricerca e soccorso di Msf- che man mano che aumenta la sofferenza delle persone, diminuisce la capacità di gestire la realtà. Può sucedere di tutto: tentativi di suicidio, azioni violente, gesti di autolesionismo, che accadono quando c'è un livello molto elevato si sofferenza umana".
"Tra di loro non si comprendono - ha aggiunto in serata Juan Matias Gil, capo missione di Geo Barents - e litigano. Non comprendono cosa succede e noi non possiamo dare risposte. Abbiamo chiesto alle autorità di fare una rivalutazione delle persone a bordo, perché non c'è stata alcuna valutazione psicologica. Non lasciamo il porto per il momento: i soccorsi finiscono, come sempre diciamo, quando le persone sopravvissute vengono tutte sbarcate in un luogo sicuro. Tutti i naufraghi sono vulnerabili".
Da un molo all'altro del porto di Catania, la determinazione delle ong appare identica: "Non ci muoviamo da qui finché ogni singolo naufrago non sarà sbarcato", ha detto ai giornalisti Till Rummenhohl, capo delle operazioni di ricerca e soccorso di Humanity 1. Accanto a lui, il capitano Joachim "indignato e turbato dal decreto illegale del governo". "Non parto con persone a bordo - ha affermato quest'ultimo - a cui non posso garantire la sicurezza. L'Italia deve farli sbarcare".
A terra, tra Roma e il palazzo di giustizia etneo, è cominciata la partita legale, avviata dalla ong tedesca contro Roma. "'Humanity 1 - ha spiegato Riccardo Campochiaro, dello team legale - ha avuto notificato il 6 novembre scorso il decreto interministeriale che disponeva la nave dovesse lasciare il porto dopo avere ultimato lo sbarco. Ma capitano ed equipaggio hanno deciso disattendere perché non hanno alternative. Nelle prossime ore sarà depositato il ricorso al Tar del Lazio. Chiediamo una sospensione, vista l'urgenza del caso del provvedimento. In caso positivo - ha aggiunto - non sarebbe più efficace. Inoltre, abbiamo già presentato la richiesta per la protezione internazionale delle persone rimaste a bordo. Tutti hanno richiesto di essere riconosciuti come profughi dal nostro Paese. La domanda è stata già inoltrata. Aspettiamo che venga processata".
"L'altra azione che stiamo portando avanti - ha spiegato il legale - è un ricorso d'urgenza che depositeremo al tribunale civile di Catania e che riguarda il diritto di queste persone di entrare in territorio italiano e che hanno, come le altre persone che sono già sbarcate, a un porto sicuro".
I tempi stimati sono brevi per l'azione legale a Catania, più lunghi per il ricorso al Tar contro il decreto del Viminale. Restano in mare le altre navi, non solo delle ong. Rise Above con 89 naufraghi si dirige verso reggio Calabria: all'imbarcazione della ong Sos Lifeline è stato assegnato il 'porto sicuro'. E sono state completate le operazioni di salvataggio di un barcone sovraccarico di migranti - le prime informazioni dicono vi fossero tra le 500 e le 600 persone - a circa 15 miglia da Capo Murro di Porco nel Siracusano.
È impegnato il rimorchiatore Nos Aries partito da Pozzallo, e il cui rientro sarebbe previsto dopo le 20 con 200 persone a bordo. Altre 88 sarebbero state imbarcate su una motovedetta della Guardia di Finanza e 30 sulla motovedetta della Guardia costiera la Cp 323, entrambe dirette ad Augusta.
Quanto alla Ocean Viking, la situazione a bordo è "esplosiva" e le persone, ha affermato l'quipaggio, vogliono buttarsi in mare". La nave è da venti giorni in attesa dell'assegnazione di un porto sicuro: "Incidenti gravi - prosegue la ong - possono verificarsi in qualsiasi momento tra i sopravvissuti o nei confronti dell'equipaggio. Tre pazienti hanno bisogno di un ospedale e un paziente con polmonite, al quarto giorno del secondo ciclo di antibiotici orali è ancora con febbre sopra i 38 gradi, è particolarmente preoccupante perché non risponde alle cure che possiamo somministrare a bordo. Ha bisogno di diagnosi e cure mediche adeguate a terra ed è ad alto rischio di peggioramento. Due pazienti presentano ferite che richiedono diagnosi e cure mediche adeguate, il rischio è di peggioramento e conseguenze a lungo termine".
Serve un riparo, un punto di approdo sicuro, un porto. "Il porto è misericordioso, nel porto - scriveva Herman Melville nel Moby Dick - c'è sicurezza, comodità, focolare, cena, coperte calde, amici, tutto ciò che è benevolo al nostro stato mortale". AGI