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Giovedì, 09 Novembre 2023 08:08

La questione catalana infiamma la Spagna, la destra in piazza contro l'amnistia

Written by  Francesco Russo, Susanna Bonini
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Proteste contro l'ipotesi di amnistia agli indipendentisti catalani Proteste contro l'ipotesi di amnistia agli indipendentisti catalani

Per restare al governo Pedro Sanchez ha bisogno dei voti degli indipendentisti di Carles Puigdemont, disposti a concedergli i loro preziosi voti solo se i separatisti coinvolti nel tentativo di secessione del 2017 non saranno più perseguiti. I nazionalisti di Vox non ci stanno e si mobilitano nelle maggiori città del Paese. 

La destra e la magistratura spagnola ergono un muro contro il progetto di concedere l'amnistia agli indipendentisti catalani del primo ministro uscente, il socialista Pedro Sanchez, che ha bisogno dei loro voti per poter restare al governo, mentre i nazionalisti di Vox infiammano le piazze delle maggiori città del Paese per opporsi a quanto considererebbero un vero e proprio tradimento.

Il rischio di un ritorno alle urne

Sanchez, il cui partito è arrivato secondo alle elezioni legislative dello scorso 23 luglio, ha tempo fino al 27 novembre per ottenere la fiducia del Parlamento e rimanere al potere. Se non ci riuscirà prima della scadenza del termine, verranno automaticamente indette nuove elezioni.

Per ottenere l'indispensabile sostegno dei partiti indipendentisti catalani, senza i quali una maggioranza alla Camera è impossibile, Sanchez ha accettato la loro richiesta di preparare una legge di amnistia per i separatisti perseguiti dalla giustizia spagnola, in particolare per chi era stato condannato in relazione al fallito tentativo di secessione dalla Catalogna nel 2017.

Il pallino è in mano a Puigdemont

Dopo lunghe trattative, Sanchez ha ottenuto il sostegno dei sette deputati della Sinistra repubblicana della Catalogna (Esquerra Republicana de Catalunya, Erc), formazione separatista moderata che governa la regione, e ora deve solo garantirsi l'appoggio dei sette parlamentari di Junts per Catalunya, il partito di Carles Puigdemont.

L'ex presidente catalano, fuggito in Belgio dopo la fallita secessione, è stato incriminato lunedì scorso dalla giustizia spagnola anche per il suo ruolo nelle proteste del 2019 contro la condanna dei leader indipendentisti rimasti in patria, ai quali sono state inflitte pene detentive fino ai 13 anni. "Siamo al conto alla rovescia del patto, l'ultimo tratto di un negoziato che è stato difficile e che ci permetterà di aprire una nuova fase", ha dichiarato Jaume Asens, uno dei principali negoziatori socialisti.

Abascal chiede una "mobilitazione permanente"

Il controverso disegno di legge ha causato una sollevazione delle opposizioni di destra. "Non ci faranno tacere", ha tuonato il capo del Partito Popolare, Alberto Nùnez Feijòo, giunto primo alle elezioni di luglio ma incapace di mettere insieme una maggioranza sufficiente a insediarsi alla Moncloa. Il leader di Vox, Santiago Abascal, ha da parte sua partecipato a una manifestazione svoltasi lunedì notte a Madrid contro l'amnistia, conclusasi con l'intervento della polizia che ha lanciato gas lacrimogeni per impedire alle migliaia di dimostranti di avvicinarsi alla sede del partito socialista.

La protesta si è ripetuta la notte successiva e ha coinvolto anche in questo caso le maggiori città spagnole, a partire da Barcellona e Valencia. "Puigdemont, in prigione!" e "Sanchez, traditore!" tra gli slogan intonati dalle piazze. Abascal ha chiesto una "mobilitazione permanente, costante e crescente". Sabato 18 novembre è prevista un'altra grande manifestazione nella capitale spagnola.

Oltre alla destra, anche i giudici sono in campo. Il Consiglio generale della magistratura (CGPJ), l'organo collegiale che nomina i giudici, ha approvato con il voto favorevole dei conservatori una dichiarazione in cui denunciano che il progetto di amnistia potrebbe "degradare" e "trasformare lo Stato di diritto in merce di scambio".

Dopo essere salito al potere nel 2018, meno di un anno dopo il tentativo di secessione, Sanchez ha fatto della distensione in Catalogna una priorità. Nel 2021 il primo ministro ha graziato i nove leader separatisti condannati al carcere e, l'anno successivo, la sua maggioranza ha riformato il codice penale per eliminare il reato di sedizione per il quale erano stati processati. I secessionisti fuggiti all'estero, a partire da Puigdemont, sono invece ancora ricercati dalla magistratura iberica.

Guerriglia urbana a Madrid

Il timore è ora che la protesta nazionalista assuma caratteri sempre più violenti. Martedì notte sono stati almeno 7 mila i militanti dell'estrema destra mobilitati da Revuelta, piattaforma legata ad ambienti studenteschi vicini a Vox.

Circa 300 agenti antisommossa, secondo il quotidiano El Pais, erano schierati dietro barricate costruite a distanza di sicurezza per meglio proteggere la sede del partito socialista e sono stati costretti a disperdere il corteo con gas lacrimogeni e proiettili di gomma in risposta ai razzi lanciati dai manifestanti. Nella Capitale iberica la protesta è degenerata in guerriglia urbana, mentre frange del corteo sono riuscite ad avvicinarsi alla sede della Moncloa.

Il Pp, nel comunicato diffuso in merito ai tumulti, ha evitato un'esplicita condanna agli attacchi contro una sede di partito. Così facendo, ha sottolineato la portavoce del governo uscente, Isabel Rodriguez, il partito Popolare "cessa di esser un partito di Stato". 

"Non vogliamo fare la fine del Venezuela"

Contattato dall'AGI, Carlos Astiz, scrittore e commentatore della destra nazionalista, ha dato voce al dissenso dei manifestanti che "non vogliono fare la fine del Venezuela!".

 "Il premier uscente (Sanchez) si è messo in ginocchio a pregare i separatisti pur di tornare al governo - ha affermato - hanno lanciato un processo per distruggere l'unità nazionale e la democrazia in Spagna, ma poi saranno tutti gli spagnoli a pagare per questo colpo di spugna".

Dopo il fallimento dell'incarico affidato a Feijòò, il cui partito era arrivato primo alle elezioni di luglio,con le due infruttuose votazioni alle Cortes del 27 e 29 settembre, Re Felipe VI ha passato il testimone a Sanchez, che ha ormai meno di tre settimane per risolvere il rebus. 

Il timore di una Capitol Hill spagnola

"L'estrema destra sta cercando di spargere menzogne in Spagna e altrove", ha commentato all'AGI Steven Forti, professore di storia contemporanea dell'Università autonoma di Barcellona e autore di numerose pubblicazioni, incluso un libro sulle nuove destre europee, "Extrema Derecha 2.0".

"Le accuse che rivolgono a Sanchez di essere un 'traditore', di svendersi ai separatisti e volere la distruzione del Paese, non stanno nè in cielo nè in terra". "La Spagna - ha proseguito - non è ancora il malato d'Europa e, certamente, non è il Venezuela". Tuttavia, ha aggiunto, "noto che la destra spagnola si è definitivamente trumpizzata: convoca, appoggia e partecipa a manifestazioni che assaltano le sedi del partito socialista. Seminano paure, in vista del possibile accordo di governo tra Sanchez e gli indipendentisti. Vogliono una Capitol Hill spagnola!", ha ammonito lo studioso. AGI

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